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«Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe dei suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.»
Un meriggiare pallido e assorto
Una condizione esistenziale di sradicamento, di crescente disagio, di mancanza di certezze caratterizza l’uomo del ‘900. Esemplari, per meglio cogliere il mutamento avvenuto nella cultura europea a partire dalla prima guerra mondiale, sono i versi di Meriggiare pallido e assorto, che nel 1916 il giovane Eugenio Montale dedicò all’estate, poi confluiti nella raccolta Ossi di seppia (1925). Montale esprime il proprio stupore di fronte ad un universo incomprensibile, anche se, nell’assenza di un senso, di una verità gratificante, sembra emergere l’attesa di qualche cosa, di un miracolo, che possa rivelare un varco, il punto debole del meccanismo. Gli ossi sono relitti, abbandonati dal mare durante la risacca. E’ evidente il valore simbolico delle cose, come pure del paesaggio, che è quello della natia Liguria, arido, secco, bruciato dal sole, ma vivificato dal mare. L’estate di Montale, al contrario di quella dannunziana, non è segnata dalla pienezza dei sensi e dall’eros, ma da una riflessione dolorosa sulla vita e sull’impossibilità di superare i limiti (i cocci di bottiglia). Non a torto Guido Ceronetti nei suoi Pensieri del tè osservava che «Montale non emana calore, non è erotico, è una grande, lucida, non ustoria lente». I suoni duri e secchi dei versi rappresentano l’espressione fonica della condizione umana e della difficoltà di vivere.
(2^ puntata)
In Montale c’è, mi pare, come una rinuncia alla ‘vita vissuta’ pienamente, non dissimile da quella di Borges. Evidente anche nel suo strano rapporto con le donne.