Nell’agosto 2019 la Business Roundtable, l’ associazione della Corporate America con oltre 180 imprese, ha aggiornato la propria “dichiarazione di principi” mettendo in primo piano le responsabilità nei confronti di lavoratori, fornitori, ambiente e comunità. L’ultima volta che aveva modificato i propri orientamenti etici lo aveva fatto, nel 1997, a favore della centralità degli azionisti nelle decisioni aziendali, esito di sforzi ispirati da Milton Friedman già a partire dagli Anni Settanta del ‘900.
Nella aggiornata dichiarazione della Business Roundtable viene espressa la convinzione che “Il business svolge un ruolo vitale nell’economia creando occupazione, stimolando innovazione e offrendo beni e servizi essenziali”. Nel contempo però le aziende affermano che “se ciascuna delle nostre imprese individualmente serve propri scopi corporate, condividiamo un impegno di fondo nei confronti di tutti gli stakeholder. Ci impegniamo a fornire valore a tutti loro, per il futuro successo delle nostre aziende, delle nostre comunità e del nostro Paese”.
Questi orientamenti di fondo sono confermati da una serie di scelte compiute, a partire dal 2015, dalla finanza internazionale e dai grandi gruppi capitalisti che hanno portato allo sviluppo di fondi di investimento eticamente orientati, gestiti secondo criteri di sostenibilità ambientale, sociale e di conduzione d’impresa.
Le nuove spinte al cambiamento hanno a che fare con il ruolo dei consumatori e con quello dei lavoratori. Visto che i millennials e i GenX non sono solo investitori ma soprattutto consumatori, le scelte di consumo iniziano ad essere sempre più frequentemente orientate da nuovi valori, con crescenti quote di consumatori interessati a valutare non solo la qualità e l’impatto dei prodotti, ma anche quella dei processi produttivi.
Secondo uno studio di Daniel Hedblom, Brent Hickman e John List, pubblicato dal “National Bureau of Economic Research” (Toward an Understanding of Corporate Social Responsibility: Theory and Field Experimental Evidence, NBER Working Paper No. 26222, September 2019) essere responsabili conviene all’impresa, non solo perché in questo modo verrà premiata da consumatori sensibili, ma anche perché riuscirà ad attirare lavoratori più motivati e produttivi, che ne condivideranno le scelte non-profit.
Rispetto a queste forme di capitalismo etico non va sottovalutato un problema d’immagine e di sostanza con cui il capitalismo internazionale ha fatto i conti, a partire dagli eccessi dell’alta finanza che hanno scatenato e aggravato la grande crisi del 2008, mentre pesano le critiche ai colossi della “gig economy” a causa delle condizioni salariali e di lavoro inadeguate dei dipendenti, che hanno portato ad aumentare la differenza tra le paghe dei top executive e quelle della massa dei lavoratori, facendo crescere le diseguaglianze di ricchezza e reddito all’interno dei diversi Paesi.
La vera etica non può essere allora una questione d’immagine o ridursi a qualche dichiarazione di principio sull’uguaglianza (tra i sessi), sul rispetto delle minoranze, sulle scelte non-profit. Ci vuole ben altro,a cominciare da un reale bilanciamento nelle scelte aziendali, da una concreta distribuzione degli utili, da un rispetto della figura del lavoratore. Meno formalismi allora e più attenzione ai problemi del mondo del lavoro, nel segno di una socialità autentica, in grado di riequilibrare le trasformazioni tecnologiche, riportandole alla loro dimensione funzionale, in una visione più ampia però del ruolo dell’impresa e della centralità del Lavoro.