Pubblichiamo il contributo di Barbadillo al numero speciale di Charta Minuta (la rivista della Fondazione Farefuturo) dedicato all’analisi della “maldestra”. In questo intervento ripercorriamo le tappe della nostra avventura.
«Ma chi, il giocatore dell’Avellino?». Capita così, spesso, quando ci presentiamo per un’intervista o durante una conversazione. «Sì, siamo di Barbadillo, un giornale on line che porta il nome di un’icona del calcio degli anni ‘80». E poi: «Parlate di calcio?». E noi: «Anche, perché rappresenta una chiave di lettura fondamentale per capire il Paese». «Capire il Paese?». Sì, «perché Barbadillo si occupa di politica, di attualità, di cultura, di costume». Superate le fasi “shock” della conversazione, il nostro interlocutore di solito si arrende all’evidenza: stiamo parlando sul serio. E, da parte nostra, stiamo cercando di fare sul serio.
Andiamo con ordine. Barbadillo.it nasce da un’idea di Michele De Feudis, giornalista appassionato di politica e immaginario, come approdo «nel mare del web» per tutto un ambiente conscio che all’interno del mainstream della comunicazione lo spazio vitale per un’informazione differente sia praticamente assente. Già un anno e mezzo fa, e dopo una serie di discussione sul “che fare” assieme a due colleghi Roberto Alfatti Appetiti e Giovanni Tarantino, si era capito che qualcosa – all’interno della cultura anticonformista italiana – stava per essere messo in seria difficoltà, a causa di una crisi di identità delle grandi culture politiche italiane rispetto alle quali la destra si sarebbe trovata colpevolmente sprovvista di ogni strumento di difesa. Dopo qualche mese, infatti, l’implosione della destra alle elezioni Politiche di febbraio ha aperto un vuoto politico che si è ripercosso fatalmente anche a livello editoriale.
Se l’inizio della Seconda repubblica – con tutto il suo carico di aspettative e di occasioni – aveva significato per tutto un mondo anche il tentativo di investire su alcuni prodotti culturali – da L’Italia Settimanale ad Area – che hanno formato una generazione di giornalisti, di intellettuali, di promotori, la cifra della destra italiana che si affaccia alla Terza repubblica è desolante: chiude l’edizione cartacea del Secolo d’Italia, i settimanali non esistono più e nessun investimento è stato fatto dalla cosiddetta destra di governo per quell’industria culturale che è la Rai. Di fatto, stando così le cose, una generazione rischia di essere spazzata via per responsabilità di una classe dirigente – politica ma anche intellettuale – che ha dimostrato non solo di disconoscere la prassi della costruzione di un’egemonia culturale ma anche la più elementare e prosaica costituzione di una cinghia di trasmissione tra società e politica. I risultati, dal punto di vista dell’impatto sul dibattito pubblico, sono sotto gli occhi tutti.
Davanti a questo – per l’iniziativa di Michele De Feudis e del sottoscritto e dopo una seduta con alcuni amici come Angelo Mellone, Marco Valle, Gianfranco de Turris, Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco – è nata l’idea, a gennaio di quest’anno, di utilizzare proprio Barbadillo – un sito, dato significativo, a vocazione impersonale (molti articoli sono firmati con nomi di grandi giocatori di calcio, da George Best ad Eric Cantona) – per iniziare a tastare il terreno di un possibile esperimento. «Utilizziamolo per qualche giorno e poi vediamo», ci eravamo detti. Da quel momento, invece, non ci siamo più fermati. Con il passare dei giorni, infatti, Barbadillo ha iniziato a raccontare la quotidianità: dal dibattito politico, alla società, dalla cronaca di un’Europa sempre più inquieta ai nuovi linguaggi della comunicazione digitale. Con una particolare attenzione, poi, a tutto ciò che sta avvenendo nell’arcipelago di quella destra italiana che si è dimostrata fragile proprio perché deficitaria di elaborazione, di argomenti per resistere e comprendere la crisi di un centrodestra sempre più schiacciato e personalizzato sulle questioni di Silvio Berlusconi.
Una potenzialità e un’esigenza, quella di Barbadillo, che – nel giro di qualche mese – è diventata poi una piccola ma (perdonate l’accenno di immodestia) significativa esperienza editoriale. Lo testimoniano non solo i numeri, ma anche e soprattutto la qualità della collaborazioni, l’entusiasmo di una redazione giovanissima e motivata, la varietà degli argomenti, delle inchieste che il magazine ha prodotto. Barbadillo, insomma, si è posto fin da subito come prodotto innovativo (per lo meno “a destra”) per un motivo in particolare: l’idea è stata quella di mettere su il primo tentativo “generazionale” di giornalismo partecipativo. Una piattaforma di informazione, cioè, che ha scelto di utilizzare le categorie della cultura pop, della contemporaneità e della cultura per raccontare, per far riflettere, per informare. Il risultato è un giornalismo fresco, di impatto, multimediale. Un giornalismo che ha acceso i riflettori non solo sul dibattito politico ma anche su temi come la cultura animalista, la difesa del territorio dalle speculazioni, le grandi questioni sociali. Un giornalismo che ha incuriosito diversi interlocutori per nulla riconducibili alla destra, che ha aperto il confronto su temi, aspetti che solo una lettura macchiettista vorrebbe estranei o eterodossi.
Tutto questo Barbadillo lo ha potuto fare grazie a decine di “redattori” alle prime armi ma di talento, così come al contributo di un animatore come Angelo Mellone, di firme importanti (da Giorgio Ballario de La Stampa ad Augusto Grandi de Il Sole 24Ore, fino allo scrittore ed autore Rai Andrea Di Consoli e l’autore di In Onda Giovanni Marinetti), ai testimoni storici dell’impegno intellettuale (uno su tutti Gianfranco de Turris) e grazie al mondo accademico (i docenti universitari Spartaco Pupo e Nuccio Bovalino, il costituzionalista Felice Giuffrè). Lo spazio digitale, insomma, sembra offrire quell’occasione che lo spazio della politica non concede più: aprire il dibattito alla società civile “altra”, quella che non trova tribune né luoghi di confronto e proposta. Quella società che è stata sistematicamente snobbata da un classe politica che ha pagato, in termini elettorali, proprio una scarsa conoscenza del Paese reale. Da parte nostra ci siamo accorti – ma lo sapevamo – che esiste invece un vasto fronte che porta con sé un’idea differente del Paese: registi, autori, scrittori, economisti, tutti pronti a dare contributi e professionalità se solo la politica desse loro ascolto. E poi semplici appassionati e cittadini che hanno preso a utilizzare Barbadillo come proprio punto di riferimento, di “orientamento”, in mezzo a una situazione caotica: il sito, possiamo dirlo, ha praticamente sostituito il circolo.
La rete – quindi – si è affermata come la culla di un rinnovato senso di comunità, come nuova “tribù” digitale di persone unite da una passione e da un’idea come prefigurato dal sociologo Michel Maffesoli. La rete è diventata ancora di salvataggio dinanzi al deficit di rappresentanza incarnato da un sistema politico che ha disatteso le promesse e le premesse per le quali era stato scelto. Il web magazine autoprodotto, allora, è diventato la dimostrazione da parte di una comunità autogestita di giornalisti che è possibile – nonostante l’assoluta mancanza di sostegno politico e lo sconforto autoassolutorio di un determinato fronte culturale – produrre comunicazione professionale e incidere nel dibattito con pochi mezzi ma tanta buona volontà.
I risultati? Nel giro di qualche mese sorprendenti, se è vero che anche le testate nazionali si sono accorte del sito. Il Foglio di Giuliano Ferrara, ad esempio, ha accettato di pubblicare l’appello di Barbadillo riguardo la creazione di un’accademia della politica e della cultura con le risorse della fondazione Alleanza nazionale. Il Giornale, con Marcello Veneziani, ha riconosciuto al sito l’importante ruolo di diffusione del lavoro del “samurai d’Occidente” Dominique Venner. L’Huffington Post ha segnalato articoli di Barbadillo così come Adelphi e Feltrinelli. Luca Telese e Nicola Porro, poi, durante una puntata di In Onda hanno ricordato – si parlava di diritti civili – come proprio Barbadillo rappresenti un’esperienza anticonformista che riempie un vuoto lasciato anche su certi argomenti. Barbadillo, poi, ha già acquisito una sua fisicità, grazie a un ciclo di incontri organizzati in collaborazione con la casa editrice Rubbettino dove si è discusso di diritti di chi vive l’esperienza del carcere, del rapporto tra cinema e politica, della crisi delle élite in Italia, della questione delle donne di mafia, di musica pop e del suo utilizzo come canale di rivolta o di evasione. Insomma, nel giro di qualche mese Barbadillo ha attirato decine di collaboratori, un’attenzione trasversale e, dato significativo, una centralità nel dibattito sulla destra che ha iniziato ad interessare anche settori tutt’altro che marginali della politica stessa.
Tutto ciò dimostra come c’è bisogno di confronto e di politica, nel senso e nella sua forma originaria di luogo della discussione, profonda ma comprensibile, piacevole ma impegnata, popolare e perciò vera, carnale. E la piccola avventura di Barbadillo si è immersa nelle acque torbide di una politica ridotta a megafono di personalismi e di attori senza arte ma purtroppo con parte, proprio per imbarcare gli “invisibili”, farsi voce delle loro esistenze che paradossalmente snobbate sono invece l’architrave silenziosa e laboriosa della società. Il tutto con l’ottimismo e la volontà dei semplici. E dei determinati, perché appassionati.
@rapisardant