Domenica scorsa si è discusso qui della possibile possibilità di un “irruzione dei cittadini” nelle urne delle regionali. Con appena il 2% in più di elettori (rispetto al primo turno) che si sono degnati di andare alle urne, siamo lontani da ciò; mentre tutte le forze presenti avevano richiesto il suddetto “inizio”.
Era quindi logico che questi risultati del secondo turno confermassero, pur amplificandoli, quelli del primo. Si rinnovano i risultati dei Repubblicani e Socialisti. Gli ecologisti stanno prendendo tempo. I melenchonists rallentano. I macroniani sono inesistenti. Per quanto riguarda il partito lepenista, è in caduta libera: doveva vincere in tre regioni, non ne avrà nemmeno una.
Questa sconfitta è tanto più feroce che anche nel PACA, il candidato lepenista (ex gollista) Thierry Mariani, primo classificato domenica scorsa, viene seccamente battuto, cedendo più di dieci punti al suo avversario, Renaud Muselier, repubblicano. Cosa dedurre?
In breve: i risultati dei Repubblicani, che siano o meno fuori dal partito fondato da Nicolas Sarkozy, potrebbero essere problematici per una scadenza del 2022 annunciando una pletora di potenziali candidati, Xavier Bertrand, Valérie Pécresse, Laurent Wauquiez, per citarne solo alcuni e per non parlare dei litigi interni che ne derivano. C’è una destra di governo che torna quindi a sorridere, ma sappiamo anche, come obbliga la lezione di François Fillon, che una elezione presidenziale data per vincente può essere perfettamente persa. Quanto al Partito Socialista, mostra che sta tornando a quello che era sempre prima di François Mitterrand e della sua presa di potere nel 1971: un partito di notabili.
Molto più pericolosa è invece la situazione del Rassemblement Nazional. Anzi, il prossimo congresso del movimento lepenista, che dovrebbe tenersi a Perpignan la prossima settimana, si preannuncia molto amaro. Se la regione PACA fosse caduta nelle sue pieghe, Marine Le Pen avrebbe potuto sfruttare questo successo per nascondere le debolezze strutturali del suo partito. Lì rischia di ritrovarsi ai piedi del muro. Perché anche se la libertà di espressione interna non è proprio il segno distintivo di questo movimento, non potrà fare a meno di queste domande:
- Perché il 71% degli elettori lepenisti non è andato a votare? Si può certamente parlare di astensione di massa, ma i sondaggisti hanno assicurato che questo elettorato era il più sicuro del suo voto. È quindi innegabile che il partito lepenista non attrae più; e non si può dire che è colpa del “Sistema”.
- Perché è manifestamente incapace, a differenza del padre, di far coesistere all’interno del suo partito le diverse sfumature delle identità della destra, senza dimenticare coloro che hanno convinzioni e che non hanno necessariamente ragione? L’autoritarismo può ripagare, certo, ma a condizione che si raggiunga il successo; e quando le battute d’arresto si susseguono, l’autocrazia può assumere rapidamente l’aria della tirannia …
- Perché, e lì, imita il padre, polarizza sempre la strategia della RN sulle elezioni presidenziali, trascurando le elezioni locali e gli organi intermedi – compresi i suoi stessi dirigenti provinciali, troppo spesso presi dall’alto -, a vantaggio di questa eterna “madre delle battaglie”, questo stendardo così spesso brandito, ma privo del palo; evidenziando oltre il sostrato intellettuale e politico, uno scarso radicamento nella Francia profonda, radicamento forse troppo spesso invocato nei discorsi e non abbastanza nei fatti?
Naturalmente, il potere richiede l’incarnazione di una persona. E il nome Le Pen, che è uno dei suoi simboli, chiaramente non basta; o non basta più.
Marine Le Pen non potrà fare a meno di questa riflessione; ma questa volta non sarà in grado di guidarla da sola.
Da aspettarsi. Troppe giravolte, troppi cambi, personaggi poco credibili. Ma chi è la Le Pen?
È la politica tutta e non solo la Le Pen a doversi interrogare sulla marea astensionista
Si fosse votato per una delibera condominiale con solo il 30% dei votanti il risultato non avrebbe avuto nessun valore neanche per cambiare la plafoniera dell’ascensore
Le procedure “democratiche” si stanno risolvendo in una farsa a cui i tifosi della destra e della sinistra stanno continuando a fornire ossigeno
Profonde riflessioni quelle mai
Condivido soprattutto il punto 3, in Francia ci si concentra troppo sulle presidenziali
La democrazia in crisi, i suoi statuti e rituali ocsoleti e sempre meno creduti, non si riforma tornando all’assolutismo monarchico o alla dittatura personale. Occorre riformare dall’interno le regole della democrazia rappresentativa. Non cedere, sopprattutto alle tentazioni vane, della democrazia diretta, da piattaforma Rousseau…