Risalgono a pochi giorni fa le drammatiche notizie della nave carica di rifiuti affondata al largo dello Sri Lanka e dell’indagine della Procura di Brescia sul traffico di fanghi contaminati usati come fertilizzanti in molti terreni agricoli di Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. Dalle carte emerge una intercettazione-choc, un’indagato che al telefono dice: «Ogni tanto penso al bambino che mangerà il mais cresciuto su questo campo».
Il tema della eco-criminalità e delle eco-mafie ha spesso occupato le pagine dei giornali e i palinsesti delle televisioni, ma di rado è diventato fonte d’ispirazione per romanzi di denuncia, neppure nel composito mondo giallo/noir, che com’è noto è diventato il principale genere letterario di critica sociale, in Italia come in molti altri Paesi del mondo. Sembra che gli autori (e gli editori) preferiscano rincorrere le solite e consunte storie di serial-killer immaginari invece di approfondire le lacerazioni – reali – che emergono dalla cronaca nera e dagli ambienti della criminalità italiana.
In questo senso è una piacevole sorpresa l’ultimo romanzo di Gian Luca Campagna, “Mediterraneo nero”, da poco in libreria per la nuova collana Giungla Gialla di Mursia Editore, diretta dallo scrittore e giornalista bergamasco Fabrizio Carcano. L’opera di Campagna riesce infatti a coniugare in modo magistrale il ritmo e la suspense di un thriller d’alta scuola con l’impegno di denuncia sociale che poggia le sue basi su una solida documentazione giornalistica e giudiziaria. Nel romanzo si riesuma infatti il lontano e misterioso fenomeno delle “navi a perdere”, che risale agli anni Ottanta e Novanta, quando decine di “carrette del mare” vennero riempite di rifiuti tossici dell’industria nazionale e poi mandate a scaricarne i veleni in Africa o, ancora più spesso, auto-affondate nel Mediterraneo per disfarsi di quei carichi pericolosi e allo stesso tempo incassare i premi assicurativi. Una pratica poi abbandonata all’inizio degli anni Duemila, quando le eco-mafie trovarono altri sistemi di smaltimento illecito dei rifiuti tossici.
Protagonista del romanzo è uno di quei classici personaggi ai quali ci ha abituato Campagna: il giornalista barese (ma trapiantato a Roma) Francesco Cuccovillo, quarantenne disincantato, indeciso e sornione che nasconde un cuore romantico sotto il giaccone da marinaio, oltre a un notevole fiuto per trovare notizie e cacciarsi nei guai. Una figura che rimanda inevitabilmente al pantheon dei protagonisti dei libri precedenti (il vulcanico e scoppiettante detective argentino Josè Cavalcanti e il giornalista romano in crisi coniugale Federico Canestri), ma questa volta con un pizzico di malinconia in più, forse per via del tema tragico che Cuccovillo si trova ad affrontare. Non a caso la colonna sonora del romanzo è “Oblivion”, tango triste di Astor Piazzolla.
La miccia che fa scoppiare l’intera vicenda è l’incontro di Cuccovillo, più di vent’anni dopo, con la donna di cui era innamorato da adolescente, nel frattempo sposata con uno dei suoi più cari amici della giovinezza. Amico che ora sta morendo di mesotelioma pleurico causato dall’amianto della fabbrica barese che esisteva vicino a casa sua e che in precedenza ha già ucciso suo padre. Il nonno del moribondo, che a suo tempo portava Francesco e gli altri ragazzi a pescare nell’Adriatico, consegna al giornalista una bizzarra lattina di Coca-cola sigillata artigianalmente e gli dà un compito apparentemente impossibile: deve portarla a un enigmatico ingegnere lombardo che trent’anni prima dirigeva la fabbrica della morte e che, forse, era anche il burattinaio delle famigerate “navi a perdere” che hanno disseminato il Mediterraneo di fusti tossici.
Fedele alla promessa fatta al vecchio e speranzoso di imbattersi nello scoop delle vita, Cuccovillo si mette in cerca dell’ingegnere, ripercorrendo vecchie tracce sbiadite che risalgono a decenni prima, muovendosi per mezza Italia sulle sponde del mar Mediterraneo alla ricerca di una verità che sembra sfuggirgli ogni volta di mano. E alla fine della corsa la sua ricerca si incrocerà con quella di altri due singolari personaggi che attraversano le pagine del romanzo di Campagna: la killer a pagamento Marie, figlia di un indipendentista còrso ucciso molti anni prima; e il tunisino Khaled, un immigrato clandestino che vuol vendicare il figlio annegato su uno dei barconi della morte che solcano il Canale di Sicilia guidati dai trafficanti di esseri umani.
«Tutti i miei romanzi», dice lo scrittore di Latina, «partono da fatti reali e da inchieste giornalistiche. Ma lo scrittore, a differenza del giornalista, non è frenato dalla paura delle querele e può permettersi di azzardare delle ipotesi e delle soluzioni, grazie al fatto che siamo nel campo della narrativa. E aprire così gli occhi al lettore».
*Gian Luca Campagna, Mediterraneo nero, Mursia, 286 pagine, 17 euro
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