La pandemia da Covid-19 ha cambiato profondamente, senza ombra di dubbio, le nostre vite. Da oltre un anno ci stiamo confrontando con il diffondersi del virus, che ha determinato mutazioni ad ogni livello: restrizioni delle libertà personali, dirigismo politico, crisi economico-sociale senza precedenti. Il distanziamento umano al quale siamo ancora costretti rappresenta un attacco alla nostra natura di “animali sociali”. Tutto ciò ha indotto un numero considerevole di intellettuali e studiosi ad interrogarsi su quanto sta accadendo. Un contributo assai rilevante crediamo lo abbia fornito Gianluca Montinaro nella sua ultima fatica letteraria, Peste e Coronavirus 1576-2020, nelle librerie per i tipi dell’editrice La Mandragora (per ordini: info@editricelamandragora.it, 0542/642747, pp. 199, euro 15,00). Il libro è arricchito dalla prefazione del virologo dell’Università di Genova, prof. Matteo Bassetti e dalla postfazione di Vittorio Sgarbi.
Montinaro in queste pagine mette in luce il legame che unisce la pestilenza che colpì l’Italia settentrionale nel 1576 e la situazione emergenziale prodotta nel nostro paese e nel mondo dalla pandemia attuale. Per farlo è costretto a mettere in campo tutta la sua competenza di storico delle idee e di appassionato bibliofilo (dirige infatti la rivista “la Biblioteca di Via Senato”) ed attraversa così i luoghi più significativi della letteratura classica, nei quali è stata di fatto codificata l’idea di peste quale archetipo ciclicamente ritornante nella storia e nella cultura europea. Nella seconda metà del Cinquecento, l’autorità politica e i rappresentanti della scienza titubarono di fronte ad un nemico sconosciuto e provocarono l’insorgere tra la popolazione di ulteriori e gravi danni, che andarono a sommarsi a quelli prodotti dal morbo sconosciuto nella sua eziologia e per il quale non esistevano efficaci terapie. Nell’ultimo anno abbiamo assistito ad una situazione non dissimile e siamo costretti a registrare oltre ad un inaspettato numero di decessi provocati dal Covid-19, al dirompere di una crisi economico-sociale assai grave, dovuta anche alle incertezze, ai ritardi e all’incapacità della classe politica italiana.
Il terrore per la peste e le epidemie è entrato a far parte dell’immaginario dell’uomo occidentale a muovere da Tucidide e da Lucrezio. Il primo narrò il propagarsi di un’epidemia che: «nata in Etiopia, passata in Egitto e in Libia, giunse ad Atene attraverso il Pireo (430-429 a.C.) contagiando e portando alla morte anche Pericle» (p. 33). Il secondo si provò a dare una spiegazione naturale del diffondersi delle malattie nel IV libro del De rerum natura, mentre Tito Livio utilizzò i termini pestis e morbos ad indicare quelle malattie che, causate dall’ “ira degli dei”, si erano abbattute, nel corso della storia, su Roma. La medesima concezione emerge in molti luoghi delle Sacre Scritture. Montinaro, inoltre, presenta la peste che, esplosa a Costantinopoli nel 542, giunse a Roma nel 590 facendo stragi nell’intero territorio peninsulare. Ricorda la peste nera del 1320, giunta in Europa su navi genovesi partite da Caffa in Crimea, provocando milioni di morti. Si disse allora che: «alla collera di Dio verso il suo popolo non si può sfuggire, se non pentendosi o modificando i propri comportamenti peccaminosi» (p. 40).
Tale il modello di risposte determinate dall’idea di peste. Rispetto al suo diffondersi, nel Medioevo si prospettarono tre cause diverse: vi fu chi attribuì il morbo alla corruzione dell’aria, provocata da fenomeni celesti quali le comete, chi individuò negli untori, in particolare negli ebrei, i responsabili dell’epidemia e chi la ritenne giusta vendetta di Dio. Le città furono così invase da flagellanti, che espiavano i peccati in cui l’umanità era incorsa, Milano vide numerose processioni mirate a invocare la grazia di Dio e che, al contrario, si risolsero in veicoli privilegiati della diffusione del bacillo. In altri casi, i medici sottoponevano i malati a salassi e purghe, che sortivano l’effetto opposto a quello sperato, indebolendo pazienti già provati. Chi poteva abbandonava le città, per gli altri non restavano che i lazzaretti o la reclusione in casa. Furono creati apparti statali, formati da funzionari dei più diversi livelli, incaricati di gestire l’epidemia, ma ciò ebbe un costo economico ingente e non fece che moltiplicare il pauperismo.
Di fronte all’epidemia da Coronavirus, nonostante un salto temporale rilevante, le autorità scientifiche e quelle politiche, si sono comportate, rileva Montinaro, in modalità non dissimile da quelle del Medioevo. L’analisi del nostro autore, rispetto a quanto è ancora in corso in Italia, è supportata dallo scrupoloso vaglio di quanto è emerso dai mezzi di comunicazione. Da un punto di vista generale, abbiamo assistito alla sospensione radicale delle garanzie costituzionali. Ciò, e non solo da noi, è avvenuto grazie ad una narrazione, creata ad hoc da mass media eterodiretti, mirata a diffondere la “paura” per la malattia. Una comunicazione emozionale che ha, in un lasso di tempo brevissimo, trasformato il cittadino, attivo politicamente e cosciente dei propri diritti, in paziente non più in grado di interloquire con il Potere, ma voglioso di lasciarsi guidare dallo Stato paternalista, incarnatosi nella figura, televisivamente suasiva ed onnipresente, del Presidente del Consiglio Conte, pronto a promulgare, dall’alto del suo scranno, una serie di DPCM che hanno svuotato il parlamento della sua funzione sovrana. Ancora una volta, la quarantena è stata ritenuta l’unica soluzione capace di fermare l’epidemia, ma dopo aver arginato (con un numero di decessi rilevantissimo) la prima ondata ed aver sbandierato ai quattro venti che le scelte sanitarie italiane erano ritenute un modello a livello internazionale, ecco divampare la seconda ondata!
All’inefficacia sanitaria ha fatto seguito l’assoluta mancanza di una strategia atta ad arginare il vero e proprio dramma economico, che stava esplodendo nel paese: esso vede alcune categorie produttive sempre più marginalizzate. Per non dire dell’emergenza educativa, determinata dal fatto che, da circa un anno, le nostre scuole hanno “funzionato” attraverso la didattica a distanza. Di fronte a tale situazione Montinaro si chiede cosa sia possibile fare per andare oltre il disastro creato dal Covid-19. Certo, se si guarda solo alla classe politica, si è immediatamente colti dal pessimismo della ragione. Il nostro è un ceto politico dedito al compromesso, incattivito, incapace di pensare ad un progetto per il futuro. In ogni caso, l’attuale potrebbe essere il momento giusto per scelte individuali di cambiamento. Il Covid ha imposto il silenzio attorno a noi e ci ha consentito di comprendere che è necessario aderire ad: «nuovo modo di pensare e di vivere più rispettoso delle persone, degli animali, del mondo naturale […] che non ponga più al centro il consumo […] ma che si prodighi affinché ciò che ci è dato vivere sia vissuto felicemente» (p. 194). E’ un intento che condividiamo.