Cosa sta succedendo in Terra Santa tra israeliani e palestinesi? E’ questa la domanda che, in televisione e sui giornali, viene da qualche giorno ossessivamente rivolta ad analisti e veri o presunti esperti della questione. Ma cosa volete che stia succedendo, di che vi stupite, si dovrebbe rispondere. E’, come dicono gli anglosassoni, business as usual: non c’è nulla di diverso da molte altre situazioni precedenti. La rabbia dei palestinesi per la situazione disperata in cui si trovano ha scatenato un nuovo incendio e gli israeliani lo stanno spegnendo con il solito massacro annunciato (nel momento in cui scriviamo le vittime palestinesi sono 220, mentre gli israeliani uccisi sono una decina).
Si dice, lo dicono in particolare tutti i governi occidentali che si sono precipitati ad offrire la propria solidarietà allo Stato ebraico, che questa volta sono stati i miliziani di Hamas e della Jihad a Gaza a iniziare lanciando razzi, mentre Israele si starebbe solo difendendo. E’ una ricostruzione falsa perché, a rendere incandescente la situazione, hanno incominciato le forze di sicurezza israeliane con il violento attacco, che ha provocato centinaia di feriti palestinesi, alla Spianata delle Moschee, arrivando perfino a lanciare dei gas lacrimogeni all’interno di al-Aqsa, il terzo luogo più sacro dell’islam. Si è trattato di un’invasione che ha riportato alla mente la provocatoria “passeggiata” che, accompagnato da centinaia di guardie armate, fece Ariel Sharon il 28 settembre del 2000 nello stesso luogo, provocando per reazione la seconda intifada. In questo caso l’irruzione della polizia era stata preceduta da alcune manifestazioni dei coloni e dei nazionalisti ebrei che avevano compiuto numerosi gesti di violenza e intimidazione nei confronti dei cittadini arabi.
I palestinesi erano già in subbuglio a causa del programmato sgombero di una quarantina di persone nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est delle cui abitazioni dovrebbe prendere possesso un gruppo di coloni israeliani. Si tratta dell’ennesimo episodio di quegli espropri che avvengono di continuo, nella Città Santa come in Cisgiordania, ai danni dei palestinesi, per favorire l’estensione della presenza ebraica nei Territori occupati. Oltre alle abitazioni, il governo israeliano, dal 1967, anno dell’occupazione, ha espropriato il 35% del territorio della parte orientale di Gerusalemme ignorando diverse risoluzioni Onu che lo vietavano, ma è ben noto in quale considerazione esso tenga le deliberazioni del Palazzo di vetro… L’afflusso illegale di nuovi coloni nelle zone di occupazione è avvenuto sotto tutti i governi, di qualsiasi colore, a dimostrazione della continuità di un piano di sostituzione di popolazione che, nel passaggio dalla sinistra alla destra, cambia solo nei toni e, in parte, nell’intensità.
I palestinesi di Gerusalemme Est, non avendo cittadinanza, non dispongono di passaporti, sono considerati residenti temporanei e assai difficilmente possono ottenere i permessi per costruire. La mancanza di diritti si perpetua da 54 annui: la situazione resta apparentemente tranquilla per lunghi periodi – durante i quali comunque continua lo stillicidio di uccisioni di palestinesi da parte di polizia e ed esercito nei più svariati contesti, come dimostrano le statistiche anno per anno- poi, imprevedibilmente, arriva la classica goccia che fa traboccare il vaso della rivolta. Non c’ è quindi da sorprendersi per quanto sta avvenendo, considerando anche che, in soli 12 anni, quello in corso è il quarto attacco militare ad alta intensità contro la striscia di Gaza.
Alcuni osservatori, senza tema del ridicolo, invocano la ripresa del piano di pace inaugurato dai negoziati di Oslo dell’ormai lontano 1993, quando invece è chiaro che ogni prospettiva in questo senso è morta e sepolta da molto tempo. Sono stati gli israeliani, con la loro intransigenza, le loro finte concessioni, a decretarne la fine, rendendo chiaro che non accetteranno mai la sola soluzione ragionevole a disposizione: uno Stato palestinese che, in buona sostanza, comprenda Gerusalemme Est e l’intera Cisgiordania, senza le innumerevoli colonie ebraiche che, insieme ai check point e al muro, segmentano i territori palestinesi, rendendo grama la vita dei suoi abitanti. E questa che, per i dirigenti dello Stato ebraico, è una condizione inaccettabile, sarebbe per gli arabi una concessione minima, dal momento che si tratta solo di un terzo della Palestina storica in cui vivevano da secoli. Poiché la verità sottaciuta va invece ribadita, occorre anche ricordare che la presenza ebraica, prima delle grandi ondate di immigrazione del Ventesimo secolo, non raggiungeva il 5% del totale della popolazione di tutta quella regione.
Quanti credono in una possibile ripresa delle trattative, guardano ovviamente agli Stati Uniti come all’unico mediatore credibile. Quanto può considerarsi, però, al di sopra delle parti Washington che, nel 2019, ha fornito ad Israele aiuti militari per la somma di 3,8 miliardi di dollari? Non si pensi che tale stratosferica somma sia solo il frutto della volontà del “destrorso” Trump: Obama, precedentemente, aveva deciso di aumentare notevolmente gli aiuti militari per il periodo 2019-2028, portandoli a 38 miliardi di dollari. Per gli Stati Uniti, senza soluzione di continuità tra democratici e repubblicani, Israele rimane l’alleato principale, le cui ragioni vanno difese sempre e comunque, al quale, al massimo, si possono rivolgere delle preghiere affinché attenui la sua inflessibilità. Non male, come possibile negoziatore imparziale, anche Joe Biden che, proprio in questi giorni di sanguinosi bombardamenti su Gaza, ha approvato la vendita ad Israele di armi a guida di precisione per 735 milioni di dollari…
Lo Stato israeliano ha poco da temere, sul piano militare, dalla rivolta palestinese e dai razzi lanciati da Gaza, il suo strapotere è acclarato anche grazie ai 146 miliardi di dollari in aiuti che i contribuenti statunitensi gli hanno versato dalla sua nascita al 2020. Potrà quindi continuare l’occupazione militare a tempo indeterminato, accettando di pagare il costo della morte di qualche suo cittadino a causa del conflitto. I media europei e statunitensi che, in altre situazioni, non esitano a invocare la difesa dei diritti umani anche a suon di bombe, non trovano, alla fine, nulla di scandaloso nel trattamento riservato ai palestinesi, limitandosi al più a invocare la moderazione delle due parti e la cessazione dei combattimenti. Come se si potesse essere equidistanti in una vicenda dove, chiaramente, c’è un occupante illegittimo sotto tutti gli aspetti, che sfrutta il suo immenso arsenale bellico, e un popolo privato da molti decenni della propria libertà e dei propri diritti civili che combatte con mezzi quasi ridicolmente inferiori.
La ribellione palestinese è senza speranza, ma l’Occidente liberale è sempre più senza vergogna.
L’Occidente liberale ha poche colpe. La dirigenza israeliana ha scelto l’opzione della ‘guerra permanente’ come soluzione per la sopravvivenza (e gli aiuti e le forniture belliche statunitensi). E l’Europa che ci potrebbe fare? Mandare inesistenti sue truppe da sbarco per costringere gli shalom ad una pace che non vogliono, non meno dello Stato Palestinese?