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“Il crimine del secolo”, un’inchiesta gaddiana sull’attentato a Giovanni Paolo II

Il libro del giornalista Fabrizio Peronaci fa luce sulla fitta rete di misteri dentro e attorno ai fatti di piazza San Pietro a Roma

by Giuseppe Del Ninno
14 Maggio 2021
in Libri
1
Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II

“Quer pasticciaccio brutto de piazza San Pietro”. Così, parafrasando il titolo del romanzo di Carlo Emilio Gadda, avrebbe potuto intitolarsi il nuovo libro di Fabrizio Peronaci, “Il crimine del secolo” (Fandango Editore, pag. 358, Euro 20); e la parafrasi non sarebbe fuori luogo anche perché, come nel romanzo, pure nel caso dell’attentato a Giovanni Paolo II, le indagini non hanno portato a conclusioni certe ed esaurienti. Insomma, anche le vicende raccontate da Peronaci si sono rivelate, per dirla con Gadda, un vero e proprio “gliommero”.

 

Ma procediamo con ordine. L’autore, brillante cronista del Corriere della Sera, ha costituito un gruppo di “giornalisti investigativi” dedito soprattutto alle indagini sui casi irrisolti della “nera” di anni lontani, i cosiddetti “cold case”; in particolare, Peronaci ha rivolto la sua attenzione a quelli che in misure e modi diversi hanno riguardato la Citta del Vaticano, a partire dal rapimento di Emanuela Orlandi, fino a quest’ultimo “docu-romanzo”, che ha i tratti e l’andamento di una “spy story”.

 

Già in “Mia sorella Emanuela” – scritto con Pietro Orlandi nel 2011 – e nel “Ganglio” del 2014, aveva affrontato alcuni dei temi trattati in questo “crimine del secolo”; ma ora, sulla scorta di ulteriori aggiornamenti, scaturiti da nuovi documenti e incontri, Peronaci fornisce un quadro completo, seppur non privo di ineliminabili zone d’ombra, dell’attentato al Papa santo.

 

Seguendo gli spostamenti dell’unico responsabile riconosciuto del delitto, il turco Alì Agca, Peronaci ci guida in un labirinto di ipotesi, via via vagliate e poi scartate dai magistrati inquirenti, ma tali fa fornire argomenti ai sostenitori di questa o quella spiegazione del delitto. Quali furono e sono queste ipotesi? La più accreditata – quella che sembra convincere di più lo stesso Autore – individua nel progetto – escogitato o approvato dal Cremlino – che prevedeva l’eliminazione di un Pontefice “politico”, attivo per destabilizzare il regime sovietico; progetto che sarebbe stato posto in essere con l’intervento dei servizi segreti bulgari e della DDR, ma con appoggi – o connivenze – di una parte della Curia favorevole all’ostpolitik di monsignor Casaroli e in funzione anti-Wojtyla.

 

Altre ipotesi prese in esame: la “pista musulmana”, accreditata dall’appartenenza di Agca all’organizzazione nazional-islamista dei “Lupi grigi” turchi e da certe frequentazioni di quest’ultimo con elementi della criminalità di quel paese. Non potevano mancare i “servizi” USA e in particolare la CIA, ovviamente impegnata, all’epoca, nella guerra fredda con i paesi d’oltrecortina. Ma in tutto questo groviglio, Peronaci ritiene di dover inserire una serie di delitti, alcuni dei quali camuffati da incidenti, e di cui i rapimenti delle due ragazze romane, la Orlandi e la Gregori, sono solo due casi (fra gli altri, vi rientrerebbe anche l’omicidio del comandante delle Guardie Svizzere, appena nominato). Ad aggrovigliare ulteriormente la matassa, spunta il ruolo della criminalità organizzata, in combutta con alcuni detentori del potere finanziario del Vaticano, e, più di recente, l’irruzione di “rivelazioni” dove il comprovato e il verosimile s’intrecciano con il falso, ad opera di mitomani comunque al corrente di parti della verità fattuale.

 

Ne risulta una trama inquietante, ricostruita e narrata col ritmo incalzante delle più avvincenti “spy stories”, sul filo di ragionamenti avvalorati da evidenze e da incastri a cui spesso manca solo un tassello – magari per la morte improvvisa o l’inopinata “marcia indietro” di qualcuno dei protagonisti – per essere sanciti nelle opportune sedi giudiziarie.

 

Così, ricorrendo ad espedienti narrativi efficaci, come il flash back, Peronaci ci conduce più volte in quella piazza San Pietro prima quasi deserta, nei sopralluoghi degli attentatori, poi affollata da credenti in festa per l’udienza generale dell’amato pontefice, in occasione della ricorrenza della Madonna di Fatima. Ed è inchiodata nella memoria di tutti l’immagine dell’auto bianca del papa che fende la folla, dove spunta il braccio armato di Agca. Un’immagine che mi ha richiamato le sequenze dell’attentato al presidente Kennedy, caduto sotto i colpi – questa la verità giudiziaria ormai consolidata, ma che lascia ancora seri dubbi – dell’ex marine Lee Oswald. Anche in questo caso la verità senza aggettivi è stata avvolta da trame inestricabili che ne hanno coperto la nudità; anche nel caso del presidente americano, si è ipotizzato l’intervento di potenze straniere, della malavita, di lobby economiche, di poteri deviati dello Stato.

 

Il corpo del Re violato ha in sé una carica simbolica atta a cambiare la realtà politica, sociale, perfino religiosa: e questi cambiamenti, specie dietro il Portone di bronzo, sono sotto gli occhi di tutti, e sono tutti nel segno di quel “fumo di Satana” penetrato sotto la cupola di San Pietro, di cui per primo parlò un altro papa santo, Paolo VI. Peronaci ne ha fatto il cuore della sua indagine: del resto, nel corso della sua lunga attività, l’attenzione rivolta al mondo ecclesiastico ha portato allo scoperto in più di un’occasione e senza alcun pregiudizio o finalità ostili, il marcio che ha offuscato l’immagine della Chiesa. Nessuno conosce i disegni imperscrutabili dello Spirito Santo e nessuno dunque può formulare previsioni e meno che mai condanne; ma ogni tentativo in grado di far cadere qualcuno di quei malefici veli che coprono la verità va salutato con favore. E il libro di Peronaci è uno di quei tentativi.

 

 

Giuseppe Del Ninno

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Tags: fabrizio peronacigiovanni paolo IIgiuseppe del ninnoil crimine del secolo

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Comments 1

  1. Guidobono says:
    2 anni ago

    Nessun mistero. In quel momento GPII dava fastidio all’URSS ed il KGB incaricò, per non sporcarsi le mani, i servizi bulgari, sempre obbedienti, i quali a loro volta ‘girarono’ l’incombenza a quel ‘decerebrato’ di Alì Agca. Come mi raccontò una sera a Berna, 35-36 anni fa, il dottor Antonio Marini, venuto per sentire un testimone turco, lì detenuto, gli era chiarissimo che non si sarebbe mai potuto arrivare ai superiori mandanti, per ovvie ragioni di politica internazionale. Poi ci si può ricamare sopra , metterci dentro altre storie, colore, fare complottismo o dietrologia, tanto il Vaticano è una miniera, ma la sostanza dell’attentato è chiara come i mandanti… (che non vanno certo cercati lì, nella Curia romana…).

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