*Pubblichiamo la lettera inviata da Pietrangelo Buttafuoco a Marcello Veneziani per la riunione promossa il 15 luglio 2012, nel Monastero di Valledacqua ad Ascoli, sul futuro dell’area politica culturale patriottica.
Ciao Marcello,
ho appena cercato di spiegare a mio padre cosa succede oggi e l’unica formula facile è stata questa: ad Ascoli Piceno si celebra l’atto fondante del Partito. Mi guarda e mi chiede: “Quale Partito?”. Mi sono sentito come il figlio di Ignazio quando la maestra, alle elementari, lo interrogò a proposito di una frase scritta nel tema in classe.
La proposizione in questione era questa: “Ieri, come ogni domenica, prima della partita, con mio padre siamo andati al partito”. Ebbene, la maestra, fece la stessa domanda di mio padre, ieri: “Quale partito?”. Ecco, non ho potuto fare a meno di rispondere allo stesso modo del figlio di Ignazio.
La nostra è pur sempre una storia di padri e figli e perciò ho detto: “Come, quale Partito? Il Nostro”.
Il Nostro, appunto.
Oggi nasce qui un mondo che deve essere un partito. Non deve conoscere carriera, non possiamo dettare condizioni perché non abbiamo massa da manovra, non faremo deputati e perciò non potremo che essere il lievito per una generazione finalmente in grado di forgiare il nuovo.
Il Nostro partito, di cui ricordiamo la fiamma tricolore e la dizione “sociale”, non è liberale, non è più nazionale, tanto meno europeo se l’Europa è questa, né occidentale se l’Occidente è la satrapia del pensiero unico ma una casa che è carne di una storia, parte della tradizione dove tutti noi – padri e figli – riusciamo a trasmettere un codice che possa dare alla nostra esistenza un’identità e non la caricatura cui è stata costretta la cosiddetta destra.
Noi, col nostro Partito, non siamo di destra.
Noi siamo gli eredi di un genio pragmatico che seppe fare dell’ideologia italiana l’alfabeto della modernità.
Siamo quelli che devono stare svegli per avvisare i ragazzi di ciò che sta succedendo: l’Italia è alla deriva, l’Italia di oggi è peggio di quella di vent’anni fa quando venivano ammazzati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, morti inutilmente se la mia Sicilia è, adesso, la fogna del potere.
L’Italia di oggi – che pure ha avuto la cosiddetta destra al governo – ha visto cadere l’ultimo velo di ipocrisia sotto il maglio dell’Euro. E tutti sono più poveri e tutti sono più schiavi perché l’Italia non ha sovranità politica.
Non l’ha mai avuta, la sovranità, da quando abbiamo perso la guerra e l’Italia è ridotta ad essere periferia perché l’ha persa quella guerra. Non senza il carico d’odio di una guerra civile che dura ancora perché se c’è un passo zoppo in questa nostra Italia, c’è perché ci ritroviamo sciancati in ragione di una condizione d’eterno esilio cui sono stati costretti i nostri padri, noi pure e tutto ciò che è derivato dal pragmatico movimento politico molto italiano e tutto moderno, quello.
E’ quello che seppe portare le città in campagna – come si fece nel latifondo, sottraendo il territorio alla mafia per fondare i borghi come neppure nell’età del barocco s’era visto nel Meridione e nelle terre d’Africa.
Il movimento politico molto italiano e tutto moderno che ingoiò la palude e restituì alla vita la moltitudine degli italiani arrivati dal Veneto per scavare il Canale.
Un movimento politico molto italiano e immancabilmente pragmatico che ancora oggi dovrebbe leggere Nicolò Machiavelli, chiudere il Novecento e capire Marco Polo.
Come seppero fare un tempo, fondando l’Istituto Orientale, perché vale solo la regola della strada e c’è solo una direzione: la Via della Seta.
L’Italia è universale e il Partito, il nostro Partito, nasce pur sempre nel deserto. Con Berto Ricci e con tutti gli altri combattenti che hanno costruito il nostro futuro nel segno di un’Italia cominciata mille e mille e mille anni fa: facendo dei remi il folle volo,
Ti abbraccio,
Pietrangelo