Nella sua nuova fatica letteraria, L’eco della Germania segreta. “Si fa di nuovo primavera”, Giovanni Sessa si interroga intorno alla matrice comune che lega pensatori apparentemente molto distanti tra loro, quali Ludwig Klages, Stefan George, Karl Löwith, Ernst Jünger e Walter Benjamin. Si tratta di una raccolta organica di saggi, edita da Oaks editrice e impreziosita dall’introduzione di Marino Freschi, dalla prefazione di Romano Gasparotti e da un’appendice di Giovanni Damiano (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 225, euro18,00).
L’acume critico di Sessa riesce a far colloquiare questi illustri “cittadini”della “Germania segreta”, terra analogica, territorio franco di «opposizione e resistenza all’epoca contemporanea». L’esegesi dei cinque autori non si risolve in un loro elogio reazionario; piuttosto, ci vengono presentati come tramite verso il pensiero originario e, in quanto tale, foriero di nuovi possibili inizi. Tema centrale dell’opera è il Nuovo Inizio: il libro di Sessa ci permette di apprezzare i pensatori analizzati quali latori di una visione cosmica, espressione del logos physikós, che Giorgio Colli ritenne cuore vitale della Sofia presocratica.
L’uomo post-moderno, l’uomo dell’oblio dell’essere è, innanzitutto, l’uomo che non vive le possibilità implicite nella physis, l’uomo che non si rapporta più ad essa, se non in termini di puro dominio tecnico-pratico. Di tale approccio è responsabile il logocentrismo, quint’essenziale alla metafisica e alla scienza. Occorre allora rivolgersi a sentieri poco battuti, al pensiero poetante e al “canto”, alla dimensione poietica, in grado di «sciogliere le fissità della natura». A ciò conduce lo sforzo di cui fu latore Stefan George, con il suo poetare quale «rifondare e ri-sacralizzare la vita» corrispondendo all’ “armonia” della physis. La creazione poetica, secondo Mircea Eliade, implica sempre «l’abolizione della storia concentrata nel linguaggio» e il poeta «scopre il mondo come se assistesse alla cosmogonia, come se fosse contemporaneo del giorno della creazione». Vero poeta è colui che vive la pienezza dell’Origine, fonte inesauribile del sempre possibile. Così il richiamo alla Primavera e al suo farsi sempre nuovo, è chiaro riferimento alla vita inesauribile della physis pensata sotto il segno di Dioniso, quale potenza del divenire incessante, della vita piena, energia sempre cangiante e mai oggettivabile senza violenza.
Tale “violenza” è ben espressa dalla logica eleatica quale logica escludente e dalla tendenza del pensiero moderno che, da Cartesio in poi, costruisce gabbie concettuali in cui staticizzare il reale. Tra gli autori indagati da Sessa, Klages, da buon fenomenologo della physis, tenta di liberare gli animali e gli esseri di natura dall’abbraccio mortifero del logocentrismo, conscio che essa può essere conosciuta realmente solo come immagine. Il suo sforzo è quanto di più lontano si possa immaginare dall’attività prometeica e, anche per questo, il suo pensiero è stato derubricato quale espressione di puro irrazionalismo. Klages prova, al contrario, a uscire dai sentieri già delineati dalle coordinate Spirito-Intelletto-Volontà, per incontrare la vita nella sua forma più sfuggente e imprendibile. La teoresi di Klages risponde, come bene sottolinea Sessa, a un impianto “indicativo” condividendo «alcuni tratti dell’esperienza conoscitiva che il pensiero di Tradizione definisce di “sovrarazionalità”», un ambito gnoseologico ulteriore alla ragione intesa in senso moderno e che richiede l’esperienza e il vedere degli iniziati.
Il recupero dell’esperienza del pensiero di Tradizione è considerato dall’autore come la migliore risposta ad una modernità centrata sulla volontà di potenza, che ha prodotto la desertificazione della terra. Al riguardo, il quarto capitolo del libro intitolato Physis e Storia. Critica del moderno e scepsi naturalistica in Karl Löwith risulta centrale, sia rispetto all’opera in questione, quanto in riferimento all’itinerario di pensiero di Sessa. Karl Löwith invita l’uomo teoretico alla contemplazione della physis: tale naturalismo cosmologico consente di acquisire notevole fermezza d’animo di fronte all’instabilità del Tutto, come accadeva agli Stoici. Questi, come tutti gli assertori del logos physikós, non speravano né disperavano, erano alieni dalle prospettive di filosofia della storia, riuscendo a scorgere «le cose come (effettivamente) sono», in tal modo riuscendo ad apprezzare e cogliere l’eterno in ogni attimo.
Contiguo a tale atteggiamento, è quello di Ernst Jünger che, nei due saggi Al muro del tempo e il Libro dell’orologio a polvere, offre la possibilità di una visione altra rispetto alla temporalità illuministica. Il tempo cui egli si riferisce, non è astratto e matematizzato ma è l’orizzonte di senso cui corrisponde l’agire più elevato dell’individuo, un agire “ozioso” che, libero da necessità utilitaristiche, si pone in religioso ascolto del mondo. La contemplazione della physis non è il fare escludente proprio della contrapposizione di soggetto e di oggetto, ma la compenetrazione erotica, foriera di meraviglia, di uomo e mondo. L’eterno di Jünger, come sottolinea Sessa, non è simbolo di staticità, ma è uno stare nel tempo della vita: «l’eterno è nel tempo» e si esplicita in quell’Uno-Tutto che è il mondo. La filosofia di Löwith, riproponendo l’esperienza della physis, si caratterizza quale vero pensiero della libertà e del possibile. Löwith oltrepassa tanto la concezione vettoriale del tempo, discendente dalla teologia ebraico-cristiana, quanto le visioni cicliche, altrettanto chiuse e incapacitanti. La visione “aperta” del percorso umano può essere considerata antidoto all’esegesi reazionaria del pensiero di Tradizione. Il richiamo all’origine non si esaurisce nella nostalgia per l’età dell’oro, piuttosto, si tratta del richiamo alla pienezza iniziale, come foriera di possibilità ulteriori e inespresse, è il richiamo al sempre possibile, ma mai scontato, darsi dell’origine.
Al riguardo, sono di fondamentale importanza le riflessioni di Sessa sull’Eingedenken (immemorare), teorizzato da Walter Benjamin. L’espressione non rinvia ad un semplice recupero del passato; nell’immemorare è in gioco l’origine «quale Ur-sprung che, in ogni momento, può sopraggiungere e scompaginare il reale, facendo emergere nel “tempo ritrovato” non la semplice restaurazione di ciò che fu, ma una “nuova e originale esperienza del presente”, un Nuovo Inizio». In questo richiamo alla libertà noi cogliamo l’aspetto principale dell’opera recensita, che ben si inserisce all’interno dell’iter teorico di Sessa e che meglio definisce tesi già espresse in opere precedenti, quali, Julius Evola e l’utopia della Tradizione e Itinerari nel pensiero di Tradizione.
Ci auguriamo che, L’Eco della Germania segreta, possa aiutare il lettore a trovare il suo personalissimo sentiero per lasciarsi alle spalle il tempo presente. I pensieri di Sessa, parafrasando Ernst Jünger, invitano a riallacciare il rapporto con gli astri, con la realtà profonda della natura, che può condurci al «tempo della quiete e di tutte le occupazioni più elevate, un tempo umano sobrio e misurato. Esso ci conduce alle porte dei giardini eterni, dove non battono le ore».