Anche quest’anno a Cuba è stata celebrata la Festa Nazionale del 26 Luglio, che ricorda l’assalto alle caserme “G. Moncada” di Santiago e “C. M. de Céspedes” di Bayamo compiuto, la mattina del 26 luglio 1953, da un gruppo di giovani patrioti capeggiati da Fidel Castro e Abel Santamaría, con l’intento di rovesciare la dittatura militare di Fulgencio Batista. Dalle ceneri di quella disastrosa sconfitta era nato il movimento che avrebbe rovesciato il regime e reso Cuba una nazione sovrana.
Quest’anno si trattava del 60° anniversario ed è stato celebrato in pompa magna a Santiago e, in misura minore, a Bayamo. I consueti tre giorni festivi (25 – 26 – 27 luglio) coincidevano inoltre con il tradizionale Carnaval cittadino, legato alla festa patronale di S. Giacomo Apostolo. A causa di questo, la sfilata dei carri e dei corpi di ballo era stata anticipata in modo che terminasse alla mezzanotte, ossia cinque ore prima rispetto all’inizio della celebrazione. Appena finita la parata in Avenida Garzón, numerose persone erano confluite presso alla Posta n° 3 del Cuartel Moncada, dove aveva avuto l’assalto. Da qui si accede adesso al museo, ospitato nella ex-caserma (oggi convertita in un complesso scolastico), e all’ex-poligono di tiro, ora occupato da diecimila sedie azzurre davanti al palco. Tutt’intorno al complesso, poliziotti e militari montavano la guardia, mentre fervevano gli ultimi preparativi.
In occasioni simili, come già la visita del Papa, tutti gli edifici alti nel raggio di 1 km vengono presidiati e particolare attenzione viene riservata agli alberghi e alla presenza di stranieri in generale. Tuttavia, la popolazione ha sempre assistito in massa al discorso del Presidente, e questa festa resta particolarmente sentita, dalle persone anziane che hanno assistito allo svolgersi della Rivoluzione, così come dai giovani che ne sono stati cresciuti. Infatti, a notte ancora fonda il muretto di fronte all’ingresso si era spontaneamente affollato di Cubani che speravano di poter entrare ed assistervi, o almeno ascoltare da fuori il discorso. Né mancava qualche raro straniero, simpatizzante per la Rivoluzione o semplicemente curioso, dei molti che si trovavano in città per il Carnaval.
Tuttavia, intorno alle tre, sono stati invitati a sfollare dalla polizia, che ha comunicato che, per ragioni di sicurezza, le vie prospicienti all’ingresso dovevano essere sgombrate. Perciò, lungi dal dover costringere chicchessia ad assistere alla cerimonia, come potrebbe sostenere qualche maccartista fuori tempo massimo, si è dovuto piuttosto intervenire per impedire una partecipazione massiccia della cittadinanza, eccezion fatta per i circa diecimila delegati del Partito e delle associazioni provenienti da tutta l’isola, selezionati uno ad uno per merito (o per parentela). Anche così, le sedie non sono state sufficienti per tutti. Nondimeno, non era mai successo che il popolo fosse tenuto fuori da una cerimonia che è sempre appartenuta all’intera nazione cubana, e, li per lì, molti sono rimasti delusi.
Per certi versi, la scarsa trasparenza relativa all’organizzazione dell’evento testimoniava un’effettiva tendenza da parte dell’élite all’autoreferenzialità e alla paranoia securitaria, frutti avvelenati di mezzo secolo di assedio statunitense. D’altra parte, la settimana successiva, i servizi venezuelani hanno diffuso la notizia di un complotto per assassinare il Presidente Nicolás Maduro, in cui sarebbero coinvolti l’ex-Presidente colombiano Alvaro Uribe, il golpista honduregno Roberto Micheletti e il terrorista della CIA cubano-venezuelano Luis Posada Carriles. L’assassinio sarebbe dovuto avvenire il 24 luglio e, infatti, a quanto assicurano fonti riservate, Maduro sarebbe arrivato a Santiago alle cinque, appena prima dell’inizio della cerimonia, senza che la sua presenza fosse stata annunciata. A questo si deve un simile livello di attenzione da parte del Ministero dell’Interno, alla luce di questi eventi, pienamente giustificata.
A fianco del Presidente cubano Raúl Castro, in divisa da comandante delle Forze Armate Rivoluzionarie, erano presenti, infatti, anche il già citato Maduro – con indosso la giacca della nazionale olimpica, resa famosa dal suo predecessore – e il cocalero Evo Morales, Presidente della Bolivia, con una maglia con motivi indio. Seguivano, per l’Uruguay, il tupamaro José Mujica – per una volta vestito bene, in guayabera (l’equivalente cubano dell’abito), con le scarpe pulite, e con la moglie a fianco –, poi il Presidente sandinista del Nicaragua Daniel Ortega, anche lui con guayabera e consorte, il Cancelliere dell’Ecuador Ricardo Patiño, delfino di Correa, e, infine, gli alti rappresentanti di Dominica ed Antigua e Barbuda. Dietro al palco giganteggiavano le figure dei due grandi padrini della manifestazione, assenti nella carne ma presenti nello spirito: Hugo Chávez e Fidel Castro, che ha comunque inviato un messaggio.
Alle cinque e un quarto della mattina, ora in cui era avvenuto l’attacco alla sede militare, le celebrazioni sono state aperte dall’assalto simbolico da parte dei giovani Pionieri in divisa scolastica, armati di matite (in riferimento emblematico al motto martíano “Essere colti per essere liberi”). I ragazzi hanno chiamato uno ad uno i Caduti del 26 luglio, ogni volta rispondendo “Presente” e levando il braccio destro, matita in pugno.
Alle sette, poi, hanno avuto inizio i discorsi dei vari Presidenti presenti sul palco. Raúl non ha parlato per primo, quasi a rimarcare la dimensione internazionale dell’evento, ed è stato molto sintetico, diversamente dai leggendari discorsi fluviali di suo fratello. In generale, gli oratori hanno sottolineato il primato temporale e morale di Cuba nella lotta per la sovranità nazionale e per la giustizia sociale tra le nazioni latinoamericane, tracciando una continuità ideale tra il Movimento 26 Luglio e lo sforzo politico dell’ALBA verso l’integrazione continentale e la liberazione dall’imperialismo straniero. Non è mancato neanche l’omaggio postumo a Chávez. Ad esempio, Morales ha espresso il grande debito morale del proprio popolo verso il sostegno ricevuto da Cuba e Venezuela.
Dopo i discorsi, gli ospiti internazionali hanno visitato il museo, guidati da Raúl, che ha ripercorso gli eventi a cui egli aveva preso parte sessant’anni prima. Infine, si sono spostati al Cimitero monumentale di S. Ifigenia, dove hanno presenziato al tradizionale cambio della guardia presso il Mausoleo di José Martí e alla deposizione di una corona di fiori, seguita dall’inno nazionale, la Bayamesa. Celebrazioni di portata minore ma nello stesso spirito ci sono state nel resto del Paese e del mondo: dal saluto inviato dalla Presidenta argentina Cristina Fernández ai festeggiamenti dei volontari cubani, all’opera ad Haiti.
In questo modo, è stata riaffermata la decisione di celebrare il 26 Luglio come una festa, non solo cubana, ma di tutte le nazioni d’America, in lotta per la loro sovranità e per una società più giusta. Di fronte a questa chiara esigenza dei popoli, minimizzare con riferimenti al comunismo o ai diritti umani è una lettura fuorviante.
@barbadilloit