Cinquant’anni fa, agli inizi del 1971, uscì il primo numero della Rivista di Studi Corporativi. A leggerne, oggi, i fascicoli si ha la percezione immediata dell’importanza del progetto editoriale e del valore innovativo di una pubblicazione che, ben lontana da ogni nostalgismo, raccoglieva e rilanciava l’esperienza del pensiero corporativo post-fascista e della cosiddetta “sinistra nazionale”.
Al primo filone appartenevano Gaetano Rasi, attento studioso di problemi economici, e Diano Brocchi, dirigente del Settore Corporativo della Direzione missina e sindacalista della Cisnal. Al secondo, Ernesto Massi, professore di Geografia economica alla Sapienza di Roma ed animatore del Centro Studi “Nazione Sociale”, poi confluito, nel 1972, nell’Istituto di Studi Corporativi.
Presentando la rivista (“L’alternativa”, Rivista di Studi Corporativi, N. 1, gennaio-febbraio 1971), Brocchi poneva l’accento sulla crisi della concezione classista, ormai superata dalla rivoluzione tecnologica e dallo sviluppo sociale, che ha “sostituito le classi con le categorie professionali, fatalmente sospinte verso una necessaria integrazione operativa, verso una collaborazione funzionale”. Da qui – scriveva Brocchi – la necessità di intensificare gli studi corporativi, non solo per correggere false interpretazioni storiche, quanto piuttosto al fine di chiarire gli aspetti più moderni del corporativismo, magari riprendendo quanto “abbozzato da alcuni ‘corporativisti’ democristiani, una ventina di anni fa, che, memori delle origini corporative della scuola cristiana sociale, si preoccuparono di esaminare s’era possibile che il corporativismo andasse a braccetto con la democrazia”. Lettura dunque “problematica”, quella di Brocchi, a cominciare dall’annosa questione sul ruolo e lo spazio del Sindacato in un Sistema Corporativo e sullo “spirito di classe che ancora anima l’azione di alcune categorie cosiddette imprenditoriali”.
Il numero d’avvio della Rivista di Studi Corporativi tracciava le linee strategiche dell’impegno dei suoi animatori. Primo Siena vedeva nella rappresentanza corporativa “l’alternativa che la libertà nell’ordine oppone al tirannico regime fondato sulle oligarchie di partito e sulla entocrazia, cioè sulla proliferazione di enti germinati nel sottogoverno a beneficio dei partiti e che vivono parassitariamente sulla comunità nazionale”. Rasi analizzava la moderna concezione del termine “corporativo”, il quale definisce “un indirizzo che coordina le attività e gli interassi dei singoli gruppi verso un fine comune contemperando le diverse esigenze per ottenere un diffuso e costante sviluppo economico e sociale. Il corporativismo, proprio perché è dottrina organica e globale, non intende raggiungere gli obiettivi sociali attraverso una imposizione coercitiva, come quella mortificante propria delle economie collettivizzate e burocratizzate del centralismo comunista”. Massimo Magliaro, che ricoprirà il ruolo iniziale di coordinatore editoriale e poi di caporedattore, di fronte al divorzio tra società civile e partecipazione politica, individuava nell’inscindibile rapporto tra rappresentanze. e partecipazione lo strumento in grado di superare la crisi del sistema partitocratico: “Bisogna immettere le competenze e le categorie, cioè le corporazioni, nello Stato. Bisogna cogliere gli uomini nei luoghi di lavoro, di ricerca, di studio, di creazione”.
Per dare concretezza alla proposta corporativa, la rivista coniugò scelte di fondo e realtà economico-sociale, individuando, di volta in volta, “soluzioni corporative” per il problema della casa, per il riassetto della scuola, per la riforma della mezzadria, per una nuova politica dei redditi. Nello stesso tempo si tracciavano le linee di un’organica riforma, insieme istituzionale e sociale.
Rasi fissò i momenti del processo programmatico corporativo in quattro fasi: previsione, decisione, organizzazione, realizzazione. Adriana Palomby pose la cogestione, cioè la collaborazione fra i fattori produttivi entro l’azienda, come uno strumento di “elevazione sociale del lavoratore”. Magliaro parlò di “presidenzialismo corporativo”.
La Rivista di Studi Corporativi svolse una sorta di lavoro preparatorio in vista della costituzione dell’Istituto di Studi Corporativi (Isc) , che avvenne, a Roma, nell’ottobre 1972. Presidente fu eletto Massi, direttore Rasi, segretario amministrativo Giuseppe Ciammaruconi.
Tra la Rivista di Studi Corporativi, l’Istituto ed il Msi-Dn si creò una stretta collaborazione. Convegni di studio (dei quali la rivista pubblicò gli atti), seminari di formazione ed analisi economico-sociali, finalizzate all’attività politico-legislativa del partito, vedono protagonisti i collaboratori della Rivista di Studi Corporativi. Tra i “documenti” è pubblicata la proposta di legge (N. 3548 del 6 marzo 1975), presentata dai deputati del Msi-Dn, per la “Regolamentazione dei rapporti derivanti dalla partecipazione dei lavoratori al finanziamento delle imprese per effetto dell’accantonamento dei fondi di anzianità”. Il “Programma sociale ed economico del Msi-Dn 1976” (Rivista di Studi Corporativi, N. l-2. gennaio-aprile 1976) individua nella “programmazione impegnativa e concertata” lo strumento attraverso il quale favorire l’affermazione dei valori etici e garantire la libertà dei singoli e dei gruppi, “coordinandone le aspirazioni e le attività a fini di giustizia distributiva e di maggior benessere”.
Lo sforzo della rivista fu anche diretto ad evidenziare la crescita della dottrina “partecipativa” e delle esperienze di cogestione in Europa (dalla “Mitbestimmungsgestz” tedesca alle commissioni miste del Belgio, dai “Comitati d’impresa” dei Paesi Bassi alla “democrazia industriale” scandinava).
La Rivista di Studi Corporativi realizzò un ruolo di “mobilitazione” delle energie intellettuali e professionali più sensibili al progetto partecipativo, visto in una fase di transizione della società italiana: “Oggi – scrive Rasi (“Necessità di strutture unitarie e finalizzate per l’economia italiana”, Rivista di Studi Corporativi, N. 5-6, settembre-dicembre 1984) – la dottrina corporativa, nelle sue basi filosofiche, giuridiche ed economiche, assume una particolare validità non soltanto quale risposta alla crisi delle vecchie concezioni – ossia non solo quale rimedio alle insufficienze dello Stato liberal-democratico – bensì quale concezione specifica per interpretare ed esprimere la nuova società della partecipazione diffusa e delle decisioni decentrate nell’ambito della programmazione unitaria e per realizzare la nuova economia prodotta dalle tecniche avanzate e dalle comunicazioni in tempo reale”.
Rispetto all’intensificarsi del dibattito politico italiano intorno al tema delle riforme istituzionali, la rivista approfondì la scelta presidenzialista, coniugando, nello stesso tempo, il problema dell’efficienza a quello della rappresentanza. Quasi a sintesi del lungo itinerario intellettuale che ha portato la Rivista di Studi Corporativi dai primi Anni Settanta alle soglie degli Anni Novanta, venne pubblicato (N. 5-6, settembre-dicembre 1989) un fascicolo speciale dedicato a “La nuova rivoluzione culturale – Dibattito sul futuro del corporativismo”, che raccoglie le relazioni, le comunicazioni ed il dibattito, svoltosi nel seminario interno, tenuto dall’Isc a San Martino al Cimino (Viterbo), dal 6 al 9 aprile 1989.
Di fronte alla crisi dei Paesi dell’Est si evidenzia il rischio che nell’ex blocco comunista emerga un sistema partitocratico ed un mercato anarchico, “privo di garanzie istituzionali che assicurino una concorrenza paritaria e di organismi di orientamento concertato ai fini dello sviluppo”. Nello stesso tempo il “forte dinamismo evolutivo in tutta Europa” si scontra con la crisi della “vecchia concezione dei governi espressi dall’instabilità parlamentare e l’inefficienza nella gestione dei grandi sistemi”. L’affresco, delineato alla fine dei lavori,è quello di un’Europa corporativa, capace di coniugare, tra capitalismo finanziario e capitalismo di Stato, la programmazione con il mercato. Con il primo fascicolo del 1992 (gennaio-febbraio), la Rivista di Studi Corporativi premette, nella testata, il titolo Partecipare. “Si tratta – si legge nell’editoriale di presentazione – di rispondere alla necessità di esprimere con un termine sintetico sia il nostro proposito che il nostro programma. In altre parole, di esprimere con un unico termine il complesso della dottrina oggetto dei nostri studi e anche dei nostri indirizzi”. Il concetto di “partecipazione” è visto come un principio informatore dell’azione politica, sociale ed economica, “punto di partenza per ogni ulteriore svolgimento delle consapevolezze acquisite dall’uomo post-moderno”, ma anche “presa di coscienza” di un lungo itinerario, fatto di punti fermi e di verifiche operative (determinante il contributo dell’Isc nella formulazione della proposta di legge N. 5424 del 30 gennaio 1991, riguardante l’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano dell’”Istituto dell’impresa partecipativa”).
Partecipare-Rivista di Studi Corporativi allarga, nella fase finale, lo spettro dei suoi interessi, guardando ai nuovi problemi dell’Est europeo, all’emergere della povertà in Occidente, alla sfida del “Trattato di Maastricht”, ai termini del dibattito ambientale.
“Insormontabili difficoltà economiche”, ma anche l’esaurimento dei compiti di ricerca e di studio dell’Istituto, in una fase di profonda trasformazione del quadro politico nazionale, portano, nel 1992, alla cessazione delle pubblicazioni: un errore – alla prova dei fatti – visto il valore di quell’esperienza, non solo per la destra italiana.
A sintesi di quel lungo percorso editoriale e dell’attività dell’Isc rimangono migliaia di pagine dense di analisi, di approfondimenti, di proposte autenticamente “alternative”, di una dottrina organica e globale, in grado di declinare quelli che Rasi, nel suo ultimo libro (Storia del progetto politico alternativo dal MSI ad AN, Edizioni Solfanelli, 2015), identificò essere i principi essenziali del corporativismo: il superamento dell’antinomia tra capitale e lavoro, la partecipazione dei lavoratori alla gestione e ai risultati economici dell’impresa, la programmazione economica nazionale concertata tra lo Stato e le categorie produttive e della cultura.
A cinquant’anni dall’uscita del primo numero della Rivista di Studi Corporativi questioni e principi di grande attualità per un’Italia costretta a fare i conti, da decenni, con la sua crisi sistemica, politica, sociale e culturale.
Studiarono talmente bene il corporativismo che si convertirono sulla via di Arcore.
Il corporativismo non è mai esistito, semmai un capitalismo attento a certi valori sociali, in un quadro tutelato dallo Stato.