Fu, Guglielmo Ferrero, un personaggio famoso, in Italia e ben fuori i nostri confini nazionali, dalla vita ricca e piuttosto movimentata, dall’intelligenza vivace. Curioso, brillante, borghese progressista (non radical-chic) in gioventù e liberal-conservatore verso i 50 anni, come molti… Oggi ricordato, forse, più per la moglie ch’ebbe, Gina Lombroso, figlia del celebre e discusso criminologo Cesare, e per un’opera giovanile, scritta a quattro mani, proprio con Lombroso, La donna delinquente. La prostituta e la donna normale, pubblicato da L. Roux a Torino nel 1893, un testo ben rappresentativo del nostro positivismo, con un’incisione di Messalina sulla copertina, da assaporare sorridendo, per i toni assertivi ed il suo anacronismo, da parte dei maturi maschi d’oggi (categoria alla quale l’anagrafe purtroppo mi condanna) e … da far rizzare i capelli in testa a chissà quante femministe che ignorano o, peggio, denigrano aprioristicamente le sofferte e non banali riflessioni sulla condizione femminile della di lui moglie Gina Lombroso.
Il testo integrale de La donna delinquente è disponibile in Internet: https://wellcomecollection.org/works/neggkzqn/items?canvas=73.
Guglielmo Ferrero (Portici, 21 luglio 1871 – Mont-Pèlerin, 3 agosto 1942) è stato un giurista, criminologo, storico, sociologo, economista, scrittore fecondo, giornalista, romanziere, divulgatore, di notevole spessore e rilievo per molti, poligrafo erudito ed accattivante, ma superficiale per altri. Vitale e debordante nella scrittura come nell’esistenza si potrebbe dire, oggi alquanto dimenticato. Borghese abbiente, laico, di idee e sentimenti politici più liberali che socialisteggianti, aperto, un riformista con un elevato, subalpino senso dello Stato.
Nato a Portici nella famiglia piemontese di Vincenzo Ferrero, ingegnere delle Ferrovie, e Candida Ceppi, Guglielmo frequentó poi i corsi di giurisprudenza all’ Universitá degli Studi di Pisa, quindi a Torino, nel 1889, dove conobbe e collaboró con Lombroso.
Cesare Lombroso nacque a Verona, allora cittá del Regno Lombardo-Veneto asburgico, nel 1835, da una ricca famiglia ebraica di origine sefardita, osservante, ma egli precocemente divenne un libero pensatore. Compiuti gli studi universitari di Medicina e Chirurgia a Pavia, Padova, Vienna, il giovane partecipò come medico militare alla campagna contro il brigantaggio, successiva all’unificazione, fu docente di Clinica Psichiatrica e di Antropologia a Pavia, svolse ricerche sul cretinismo e sulla pellagra. Fu poi direttore del manicomio di Pesaro e ordinario di Medicina Legale e di Igiene Pubblica a Torino, nel 1876; pioniere degli studi sulla criminalità e fondatore dell’antropologia criminale. La moglie, Nina De Benedetti, che gli dará cinque figli, apparteneva alla comunità ebraica di Chieri, blandamente osservante. Lombroso diventerà nello spazio di un decennio la figura centrale del mondo scientifico subalpino. La Torino di quegli anni è una città, non piú capitale, non ancora la ‘Detroit italiana’, aperta alla cultura europea ed alle nuove idee, all’esaltazione del progresso scientifico propria del positivismo. Di questo humus contagioso Cesare, e le prime due figlie specialmente, nate nel 1871 e ’72, Paola e Gina, si nutriranno. (Da https://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Lombroso).
Lì Ferrero ebbe contatti con il radicalismo repubblicano e si laureò, ventenne, nel 1891 con una tesi su I simboli. In rapporto alla storia e filosofia del diritto, alla psicologia e alla sociologia. Quello stesso anno Ferrero conseguiva anche la laurea in Lettere all’Universitá di Bologna. L’influsso del Lombroso, del quale condivise subito la fede nel positivismo, lo avvicinó ad ambienti socialisti – socialismo al quale, tuttavia, egli mai appartenne – alla collaborazione con «Critica Sociale» di Filippo Turati ed a studi di storia, sociologia, antropologia criminale: nel 1893 pubblicava, come detto, La donna delinquente. La prostituta e la donna normale, scritto con il Lombroso, l’anno successivo il Mondo criminale italiano, scritto con Augusto Guido Bianchi, torinese, cronista di giudiziaria e poi criminologo, e Scipio Sighele. Con Sighele, sociologo e criminologo bresciano,
Ferrero dará alle stampe, nel 1896, le Cronache criminali italiane.
Partendo dall’ingenua presunzione di descrivere ‘la donna normale’ (Parte I) su scala universale, la sua psiche, mentalitá, comportamenti, caratteristiche caratteriali ecc. gli autori, riportando brani di vari altri studiosi (specialmente di Paolo Mantegazza, noto medico fisiologo e neurologo, antropologo darwiniano), aggiungendovi un po’ di comune sentire, osservazioni tratte dalla condizione umana, dalla storia, dall’antropologia comparata (alla buona), dalle Scritture, dalla letteratura, dalla nascente sociologia, pescando analogie – o presunte tali – pure dalla zoologia e dal naturalismo darwiniano, biologico e sociale, mescolando cultura accademica con saggezza, detti e tradizioni popolari, pregiudizi diffusi, talora provincialismi, confezionano un trattatello (pur sempre di 578 pp.) erudito e pretenzioso sulla Donna delinquente, cioé sulla criminologia femminile, empiricamente positivista e pseudo-scientifico, che venne dato alle stampe nel 1893. Spacciato per pura scienza, quella, come orgogliosamente anticipato nella Prefazione, che gode “il vantaggio della cieca osservanza dei fatti, l’unico segreto dei nostri trionfi sugli avversari aprioristici, che ci opponevano solo la logica ed i sillogismi”! Il testo dell’opera é suddiviso in 4 parti: I. La donna normale; II. Criminologia femminile; III. Anatomia patologica e antropometria della donna criminale e della prostituta; IV. Biologia e psicologia delle criminali e delle prostitute.
Divertenti, in fondo, le numerose caratteristiche negative attribuite alle prostitute, fra le quali la ‘menzogna’: le prostitute, come i criminali ‘mostrano una tendenza invincibile a mentire, anche senza ragione’! In quanto alla maternità ‘una nuova e gravissima stigmate di pazzia morale è la mancanza dei sentimenti materni, che fa delle prostitute-nate le sorelle gemelle delle criminali-nate’!
Fino a giungere ad una conclusione ai nostri occhi sorprendente:
‘Ci è ora lecito risolvere con dati sicuri la tanto dibattuta questione dei rapporti tra la prostituzione e la criminalità. L’identità psicologica come l’anatomica tra il criminale e la prostituta-nata non potrebbe essere più compiuta: ambedue identici al pazzo morale, sono per assioma matematico eguali tra loro. La stessa mancanza di senso morale; la stessa durezza di cuore in entrambi; lo stesso gusto precoce del male; la stessa indifferenza della infamia sociale che fa sopportare all’uno la condizione di galeotto e all’altra quella di donna perduta; la stessa imprevidenza, mobilità, tendenza all’ozio; lo stesso gusto per i facili piaceri, per l’orgia, per gli alcoolici; la stessa o quasi la stessa vanità. La prostituzione non è che il lato femminile della criminalità’.
Prima delle finali fisionomie fotografiche di donne criminali e prostitute russe, delle stampe dei cranî di criminali italiane, dei disegni di anomalie vulvari ecc., molte pagine sono dedicate alle prostitute isteriche, alle analogie dell’isterisno con l’epilessia.
Insomma, una specie di laica filippica agostiniana contro il demone donna! Trattatello intriso massicciamente di tratti ‘maschilisti’, tipici dell’epoca come dei secoli precedenti, e dello stesso positivismo che postula la naturale inferiorità della donna, ‘naturalmente monogama e frigida’, come ripete il saggio. Non avevano, credo, Lombroso e Ferrero letto nulla della Parigi e Versailles del ‘700 e del pensiero libertino… Peraltro, in buona compagnia, giacchè lo stesso Sigmund Freud (che con il positivismo allora dominante nell’Impero Austro-Ungarico ebbe un rapporto un po’ controverso) solo da vecchio ammetterà, dopo decenni dedicati allo studio della psiche femminile e varie pubblicazioni, che della donna in realtà non era riuscito…. a capir nulla!
Facendo anche delle vittime, non solo delle isteriche riccastre viziate, ad esempio Alice di Battenberg (1886-1969), bisnipote della regina Vittoria, andata in sposa al principe Andrea di Grecia, madre del duca di Edimburgo, Filippo, consorte di Elisabetta II. Tramite la cognata, la ricca principessa Maria Bonaparte, psicoanalista alunna di Freud e sua benefattrice, quando ad Alice, nel 1930, a seguito di un profondo esaurimento nervoso e/o di una crisi religiosa, venne diagnosticata la schizofrenia (e ricoverata in una clinica dalla quale tentò più volte la fuga) al padre della psicoterapia analitica, ossessionato con il sesso, non venne in mente idea migliore – diagnosticando che il disturbo della povera Altezza Reale (madre di 5 figli, alcuni già adulti) era dovuto all’eccesso innaturale di libido – che prescriverle la bizzarra terapia inventata da un altro viennese, Eugen Steinach, un fisiologo pionere nel campo della endocrinología. Cioè di indurle la menopausa castrandola, ‘bruciandole’ le ovaie con reiterate sessioni di raggi X…Una vera tortura e non risolvendo, ovviamente, i suoi problemi.
Alla fine del 1893 Ferrero partì per Londra, soggiornandovi alcuni mesi ed entrando in contatto con esponenti dell’ Independent Labour Party, appena fondato. Tornato a Torino l’anno successivo fu coinvolto nella repressione del movimento socialista ordinata dal governo di Crispi e rinviato a processo per attività sovversiva con Oddino Morgari, Claudio Treves ed altri. Nell’estate del 1895, finalmente, si ebbe la sentenza, non molto severa, che gli imponeva il soggiorno obbligato di due mesi ad Oulx nell’Alta Val di Susa. Il giudizio di Ferrero su Francesco Crispi, vecchio mazziniano repubblicano, diventato monarchico ed imperialista, era aspro, come scriverà più tardi
in Pouvoir (1942):
‘Inimicò l’Italia e la Francia, rovinò l’antica economia del regno liberale, a base agricola, precipitandola nelle avventure del protezionismo industriale: lanciò l’Italia nella grande politica degli armamenti a oltranza, delle rivendicazioni generalizzate. Crispi cercò di mantenersi al potere sfruttando la paura della rivoluzione e il prestigio delle conquiste, l’una e l’altra immaginarie. Proclamò che la rivoluzione sociale era imminente e in gran fretta montò una macchina di repressione sul ben noto modello: legge marziale, bavaglio alla stampa, dispersione e persecuzione dei socialisti, attentati più o meno autentici, regime poliziesco, deportazione amministrativa’.(Potere, a cura di G. Ferrero, Milano, Edizioni di Comunità, 1947).
Prima della sentenza Ferrero e Treves avevano, comunque, avuto il permesso di partire per un viaggio di osservazione e contatti, visitando Berlino, dove conobbero il dirigente socialdemocratico Adolf Braun, la cui moglie diventerà traduttrice in tedesco ed inglese delle opere di Ferrero. Viaggiarono quindi in Svezia e nell’Impero Russo, dove fecero la conoscenza di Lev Tolstoj, quando Jasnaja Poljana si convertiva in una meta di pellegrinaggio dell’intelligenza progressista continentale. Tolstoj, patriarca laico che nel 1896 scrive una Lettera agli italiani (che verrà pubblicata solo molti anni dopo) contro la guerra italo-abissina. Risultato di queste esperienze, giudiziarie e di viaggio, furono l’opuscolo anti-crispino Il fenomeno Crispi e la reazione, del 1895, e L’Europa giovane. Studi e viaggi nei paesi del Nord, del 1897.
Ne L’Europa giovane Ferrero, secondo un’ottica politica radical-democratica ed una sociologia di ascendenza spenceriana, rilevava come nei Paesi latini, come l’Italia, la società fosse «governata da classi che non rappresentano il lavoro produttivo» ed esprimesse un governo «ladrone e mecenate a un tempo, spogliatore ed elemosiniere». Esaltava le società del Nord-Europa, dove era in pieno sviluppo il moderno capitalismo industriale, nemico delle aristocrazie. Egli denunciava con enfasi i difetti della politica italiana: il trasformismo dei parlamentari e l’indifferenza della popolazione, delle plebi meridionali soprattutto. In quell’anno, dopo la sconfitta di Adua e la percezione diffusa di una involuzione autoritaria, Ferrero, convinto che occorresse «modernizzare il Paese, industrializzarlo, organizzarlo, democratizzarlo, risvegliare lo spirito civico, dargli un regime parlamementare serio, in cui partiti ben organizzati si disputassero il potere» (Pouvoir, 1942), divenne collaboratore del quotidiano milanese “Il Secolo”, organo di grande tiratura (oltre 100 mila copie) della sinistra democratica e radicale, che poi sosterrà Giolitti, diretto dall’amico Ernesto Teodoro Moneta, giornalista, aristocratico possidente, patriota, Premio Nobel per la Pace nel 1907.
Sia ne L’Europa giovane che in un ciclo di conferenze tenute nel 1898, Ferrero pose le basi del progetto di una storia di Roma antica, che sarebbe divenuto la Grandezza e decadenza di Roma. Ferrero pensava che il militarismo fosse una pratica politica volta al tramonto presso le nazioni moderne, proprio quando gli Stati Uniti sottraevano le ultime colonie alla Spagna, l’Inghilterra era impegnata nel conflitto boero e l’Europa tutta, con la Francia e la Germania di Guglielmo II in testa, si preparava ad un grande, decisivo conflitto. Egli costruì una storia sociale e prese a modello il Mommsen, rovesciando però le conclusioni della Römische Geschichte, Qualificando Cesare un demagogo ed esaltando Augusto. L’opera, assai criticata nell’ambito accademico italiano, fu premiata dalla Académie Française con il Prix Langlois. (Da https://it.wikipedia.org/wiki/Guglielmo_Ferrero).
Gina Lombroso, secondogenita di Cesare, fu iscritta dai genitori nel 1891 alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, nonostante desiderasse diventare medico. Gli studi intrapresi si rivelarono poco interessanti mentre l’Antropologia Criminale e la Psichiatria, anche per l’incessante collaborazione col padre, l’appassionavano in misura crescente. Dopo aver conseguito la laurea, a pieni voti, nel 1897, Gina si iscrisse alla Facoltà di Medicina e Chirurgia di Torino all’età di venticinque anni e si laureò nel 1901. Gina Lombroso sposò Guglielmo Ferrero il il 2 gennaio 1901 con rito civile ed in forma privata. Gaetano Mosca, allora professore di Diritto Costituzionale, fece da testimone. Alle nozze si giunse dopo un lungo e complicato fidanzamento. Gina ebbe difficoltà a lasciare gli orizzonti rassicuranti della propria casa e ad accettare l’idea di dover allentare i rapporti di cooperazione scientifica con il padre. A questo si aggiunsero le sue perplessità nei confronti della complessa personalità del marito, uomo grave, ponderato, ma anche introverso ed individualista. Una volta sposatasi, Gina Lombroso avvertì l’esigenza di una maggiore vicinanza alla vita e agli interessi del marito e s’ impegnò a costruire con lui un solido rapporto di collaborazione intellettuale, come quello che ebbe con il padre. Tale collaborazione tra i coniugi era, però, destinata a fallire. Ad ostacolarla furono la diversa natura delle loro intelligenze e l’incapacità caratteriale di Guglielmo Ferrero di collaborare in modo costruttivo con chicchessia.
(Da https://it.wikipedia.org/wiki/Gina_Lombroso).
L’ambiente familiare nel quale erano cresciute le sorelle Paola e Gina era quello di un ebraismo assimilato, universalista, in cui lo spazio dell’osservanza era ridotto al minimo: un percorso analogo alla gran parte del mondo ebraico del tempo ed in particolare di quello torinese, avverso al sionismo. Fin da adolescenti, le due ragazze divengono collaboratrici del padre, del quale curano la corrispondenza, stendono gli appunti, leggono e recensiscono libri per la sua rivista Archivio di Psichiatria. Da qui la loro precoce attività pubblicistica e l’impegno politico. (Anna Foa, Lombroso Paola e Gina, in ‘La Stampa’,https://www.150anni.it/webi/stampa.php?wid).
Alla fine degli anni ’80 l’incontro con Anna Kuliscioff, rivoluzionaria russa, ebrea, residente in Italia da una decina d’anni. Legata a Filippo Turati dal 1885, Anna dopo la laurea in Medicina a Napoli nel 1886, nel 1888 si specializzò in Ginecologia, prima a Torino, poi a Padova. La Kuliscioff per un periodo divenne assidua frequentatrice di casa Lombroso e vi fece irrompere un modello di vita femminile prima di allora ignoto a Gina e Paola, ed inconsueto per i tempi, quello di una donna assai attiva in politica, autonoma, emancipata. Madre di una bambina avuta da Andrea Costa, primo deputato socialista della storia d’Italia, ma non sposata, il modello anticonformista di donna da lei incarnato risultò agli occhi delle sorelle Lombroso carismatico, avvincente. Al contrario della sorella Paola, Gina mantenne però nei confronti del nascente socialismo (il PSI viene fondato nel 1892) un atteggiamento critico e distaccato, in accordo con le sue idee liberal-positiviste, e cioè che l’uguaglianza predicata dal socialismo contraddicesse l’evidenza di una realtà sociale e culturale troppo complessa, diversificata per essere ricondotta ad uniformità.
Gina ritenne di dover abbandonare i suoi studi di medicina per dedicarsi alla famiglia ed alla vita matrimoniale. Riprenderà più tardi un’intensa attività pubblicistica. L’area di interessi alla quale è legata la fama di Gina Lombroso in ambito scientifico, sarà quella relativa all’approfondimento della condizione femminile, ove darà sfogo al paradosso esistenziale che la vide protagonista per tutta la vita, posta di fronte alla contraddizione tra la concezione lombrosiana della donna e la realtà della sua educazione. Il padre, infatti, teorizzava da un lato l’inferiorità biologica della donna rispetto all’uomo, dall’altro la validità del suo impegno scientifico. Gina convertirà l’inferiorità in diversità, specificità, guadagnadosi… anche la fama di antifemminista! Paola aveva sposato nel 1899 Mario Carrara, l’allievo prediletto di suo padre, uno dei padri della Medicina Legale italiana, socialista, al quale darà due figli. Morirà ultraottantenne, nel 1954. Con la sorella maggiore Gina intrattenne, per tutta la vita, un legame costruito sulla complementarità e reciproca dipendenza.
Nel 1903 nacque il primo figlio di Gina e Guglielmo, Leo. L’evento rasserenò i rapporti tra i coniugi. Nel 1906, a Ginevra, Ferrero tenne varie conferenze ed al Collège de France di Parigi un corso di lezioni sulla storia di Roma. Nella capitale francese conobbe Emilio Mitre, il proprietario dell’importante quotidiano bonaerense «La Nación», al quale egli già collaborava, che invitò i coniugi Ferrero ed il figlio Leo (1903-1933) in Argentina. Qui stettero nell’estate del 1907, trasferendosi poi a Rio de Janeiro, invitati dal governo brasiliano.
Tornato a Torino in novembre, ricevette l’invito del presidente statunitense Theodore Roosevelt. Nel 1908 tenne così lezioni e conferenze negli Stati Uniti, riassunte nei due libri Characters and events of Roman history, del 1909, e Ancient Rome and modern America del ’14. A tanti successi, che favorivano l’immagine della cultura italiana all’estero, corrispose il progetto del governo italiano di assegnargli nel 1910 una cattedra di nuova istituzione, quella di Filosofia della Storia presso l’Università di Roma. Tutte le maggiori autorità della scienza storica italiana, per ostilità al Ferrero, insorsero contro la proposta che fu dibattuta in Senato ed infine respinta. Nel 1913 usciva Fra i due mondi, nel quale Ferrero teorizzava l’esistenza di due storiche civiltà tra loro contrastanti, la civiltà europea erede del mondo classico ed ormai al tramonto, che egli definiva qualitativa, e all’opposto, la moderna civiltà industriale, o quantitativa, realizzata e trionfante nel Nuovo Mondo. Nel 1915 egli si dichiarò favorevole all’intervento in guerra dell’Italia (scrisse Le origini della guerra presente, Milano, 1915), ma si avvide presto di aver commesso un errore.
Nel 1916 Ferrero e la famiglia – nel 1909 era nata la figlia Nina (1909-1887) – si trasferirono a Firenze. Qui egli vi diresse la «Rivista delle Nazioni Latine» e «France-Italie». Divenuto più conservatore in politica, ne La tragedia della pace (1923) guardò con timore ai mutati equilibrî che la fine della guerra e la scomparsa dei tre grandi Imperi aveva prodotto in Europa, e disapprovò le umilianti condizioni imposte alla Germania dal Trattato di Versailles del 1919.
(Da https:// it.wikipedia.org/wiki/Guglielmo_Ferrero)
Dal canto suo, Gina pubblica nel 1920 L’anima della donna, dedicato alla decenne figlia Nina. Il libro si caratterizza per una sofferta, ma serrata critica al femminismo, che Gina Lombroso definisce come la tendenza del mondo moderno a mascolinizzare le donne; tendenza che priverà la società di un aiuto prezioso, senza dare alla donna quella felicità che s’ illude di procurarle. Il femminismo radicale fu da lei additato come il peggior nemico della donna, poiché altera l’equilibrio della sua esistenza, imponendole obiettivi di emancipazione estrinseci, allontanandola dal compimento della sua missione naturale e dalla possibilità di realizzare il senso profondo della sua esistenza.
Un altro nucleo di interessi che orientò nel corso degli anni il lavoro intellettuale di Gina Lombroso è costituito dal tentativo di dare risposta ad una serie di questioni economiche e sociali.
Gina si accostò al tema del ‘macchinismo’ nei primi anni di matrimonio. Riprese il tema del macchinismo in un secondo tempo, dopo la guerra, negli anni di più intensa attività pubblicistica autonoma tra il 1925 e il 1930, su incoraggiamento del figlio Leo, rinfrancata anche dall’accrescersi della schiera dei pensatori antindustrialisti. Nel 1930, pubblicò Le tragedie del progresso. Partendo da una rigorosa documentazione sul sorgere e l’affermarsi dell’industrialismo, Gina pose l’accento sugli “sconquassi” dell’industrializzazione. La sua analisi non investì soltanto l’aspetto economico-sociale del macchinismo, ma fu condotta anche da un punto di vista ideologico.
Gina Lombroso mise in luce gli squilibri nel rapporto tra l’uomo e il suo ambiente naturale
indotti dalla grande industria ed evidenziò le conseguenze nefaste in essa implicite, come le cicliche
crisi di disoccupazione e l’esodo selvaggio dalle campagne. Inoltre espresse i presupposti ideologici della sua riflessione sul macchinismo, responsabile della decadenza intellettuale e morale degli individui, scempio dell’idealismo, dell’individualità, delle gioie intellettuali.
Del Fascismo Guglielmo Ferrero fu subito deciso, aperto avversario. Aderì all’Associazione
proporzionalistica, contro le riforme costituzionali e la legge Acerbo, ed all’Associazione per il controllo democratico, promosse da Filippo Turati. Egli sostenne l’Unione nazionale di Giovanni
Amendola, contribuì alla stesura di Giacomo Matteotti nel I anniversario del suo martirio; firmò il ‘Manifesto degli intellettuali antifascisti’, redatto nel 1925 da Benedetto Croce.
Minacciato di confino e sottoposto a stretta vigilanza della Polizia, gli fu ritirato il passaporto. La famiglia Ferrero si ritirò nella villa dell’Ulivello, in Strada del Chianti, frazione del comune di Greve in Chianti, acquistata nel 1917. Finita la collaborazione con «Il Secolo», trasformato in un quotidiano filo-fascista, nel suo forzato isolamento Ferrero continuò a collaborare con la stampa estera, con il quotidiano «La Dépêche de Toulouse», con la rivista «L’Illustration» e con l’inglese «Illustrated London News». Contemporaneamente, pur continuando a redigere opere di divulgazione storica su vari argomenti, il prolifico Ferrero iniziò a scrivere romanzi, ambientati nell’Italia umbertina e nel Corno d’Africa delle imprese coloniali, della serie La terza Roma: il primo di essi, Le due verità, fu pubblicato nel 1926, La rivolta del figlio nel ’27, Sudore e sangue nel ’30.
Alcuni amici stranieri si adoperarono per far espatriare i Ferrero: i due figli Leo e Nina lasciarono l’Italia per Parigi nel 1928 ed i due coniugi per Ginevra nel febbraio del 1930, grazie all’intervento personale di Alberto I, Re dei Belgi – che era appena divenuto suocero del principe ereditario Umberto dopo il suo matrimonio con María José – presso il Duce. L’ Università e l’Institut de hautes études internationales di Ginevra affidarono al poliglotta Ferrero la cattedra di Storia Contemporanea. Grande fu successo dei suoi corsi, ai quali assisteva, insieme con gli studenti, un folto pubblico attratto dalla fama del professore italiano. Il cognato Mario Carrara, marito di Paola, successore di Cesare Lombroso nella cattedra di Antropologia Criminale a Torino, fu uno dei 18 accademici che nel 1931 rifiutarono di prestare il giuramento di fedeltà al Regime Fascista.
Il figlio Leo, anch’egli giovane e promettente scrittore, morì in un incidente stradale a Santa Fe nel New Mexico, nel 1933. Il padre curò la stampa degli scritti del figlio e pubblicò a Lugano nel 1936 il proprio romanzo Liberazione, quarto ed ultimo della serie La terza Roma. Non trascurò i suoi studi storici, ora dedicati al tema della ‘legittimità del potere politico’. Ne sono frutto L’ Aventure. Bonaparte en Italie, del 1936, e La Reconstruction. Talleyrand à Vienne, del ’40, e infine Pouvoir, pubblicato a New York nel 1942, pochi mesi prima della morte, che lo colse improvvisamente nella sua residenza presso Vevey.
Fu sepolto accanto al figlio nel Cimetière des Rois di Plainpalais, a Ginevra, dove due anni dopo lo raggiunsero le spoglie della moglie Gina. La figlia Nina sposò il diplomatico e giornalista croato Bogdan Raditsa, autore dei Colloqui con Guglielmo Ferrero, pubblicati a Lugano nel 1939. Nina Ferrero visse in Italia e negli Stati Uniti, insegnando francese ed inglese alla Fairleigh Dickinson University di Madison, nel New Jersey, e fu membro della International League for Human Rights di New York. Morì il 4 settembre 1987 nella villa paterna di Strada in Chianti.
(Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Guglielmo_Ferrero; poi, sulla personalità e l’opera del Ferrero: Corrado Barbagallo, L’opera storica di Guglielmo Ferrero e i suoi critici, Milano, Fratelli Treves, 1911; Bogdan Raditsa, Colloqui con Guglielmo Ferrero, Lugano, Nuove Edizioni Capolago, 1939; Luciano Pellicani, Il pensiero politico di Guglielmo Ferrero, Giuffré, 1969; Giuseppe Sorgi, Potere tra paura e legittimità. Saggio su Guglielmo Ferrero, Milano, Giuffrè, 1983; Lorella Cedroni, I tempi e le opere di Guglielmo Ferrero. Saggio di bibliografia internazionale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1993; Lorella Cedroni, Guglielmo Ferrero. Una biografia intellettuale, Roma, Aracne Editrice, 2006; Luca Fezzi, Matthias Gelzer, Guglielmo Ferrero e Gaetano Mosca, Quaderni di Storia 76 (2012); Luca Tedesco, Guglielmo Ferrero e l’antiprotezionismo militante in Luca Tedesco (a cura di), Guglielmo Ferrero antiprotezionista, Torino, IBL libri, 2016; Luca
Tedesco, Dal socialismo al liberismo. Guglielmo Ferrero e la politica economica italiana dalla crisi di fine
secolo alla svolta democratica di inizio Novecento in Lorella Cedroni, Aspetti del realismo
politico italiano, Roma, Aracne, 2013).
Bell’articolo. Ferrero fu una figura complessa, anche nella sua filosofia della storia. Figlio della stagione positivista, sviluppò un’interpretazione autonoma e stimolante del divenire universale. A questo proposito mi permetto di ricordare un saggio poco noto, pubblicato da una piccola casa editrice di Salerno, poco più di una tipografia (anch’io ci pubblicai un volume), scritto da una valente studiosa di storia delle idee, Daniela De Rosa: Il divenire storico nell’opera di Guglielmo Ferrero (Gentile Editore, Salerno 1978), forse ancora oggi reperibile via internet.
Un particolare ameno: interessato da quel saggio, proposi all’ingegner Volpe, editore e promotore della Fondazione intitolata a suo padre Gioacchino, uno scritto su Ferrero. Volpe (me lo ricordo come fosse oggi, eravamo al caffè della stazione di Firenze Santa Maria Novella, credo fosse il febbraio o il marzo del 1980, mi tacitò dicendo che Ferrero aveva fama di jettatore…
Sì, lo sguardo è un po’ inquietante. Ma so che nell’Università e nell’Amministrazione Pubblica (quella che non ha ora la minima idea di come spendere bene i fondi del Recovery) quando si vuol bruciare qualcuno si comincia a diffondere il sospetto del jettattore…