La parola fine di questa “guerra dei vent’anni” – passata l’ubriacatura – non è stata scritta. Neppure con il “sangue” versato della condanna della Cassazione che ha giudicato inequivocabilmente Silvio Berlusconi “colpevole” di frode fiscale. La guerra non è finita perché il leader del Pdl, o meglio di Forza Italia, non ha alcuna intenzione di accettare l’esclusione dalla vita politica né di firmare una resa incondizionata. Lo ha ribadito in un videomessaggio che non rappresenta l’omega del suo ciclo iniziato con quel «l’Italia è il Paese che amo», ma l’ennesima congiunzione della sua parabola. Nessuno – nemmeno l’interdizione – può tecnicamente impedirglielo e nessuno sembra avere politicamente la forza di contrastarlo, neppure nella veste di presidente «pregiudicato».
La confusione politica che regna il giorno dopo la sentenza dimostra allora tutta la debolezza di un Paese “commissariato” dalla sua classe politica, incapace di traghettare se stessa dal fallimento della Seconda Repubblica a una terza stagione che rimane nel limbo. Certo, quella “pacificazione” sognata da Berlusconi e teorizzata nella manovre di Re Giorgio Napolitano non ha sortito l’effetto sperato. E ciò dimostra che se presidenzialismo di fatto c’è, resta un contropotere giudiziario che non ha alcuna intenzione di soprassedere sui poteri che la Costituzione e la “sindrome di Tangentopoli” gli hanno concesso. Ma è altrettanto certo come sia l’intero sistema della rappresentanza politica a uscire sfibrato e depotenziato da una “sospensione” della dinamica democratica che, in nome della stabilità, sta consegnando al Paese una classe dirigente incapace di prendere una, dicesi una, decisione.
L’effetto deflagrante per il momento tamponato. Ma non durerà. Da parte sua Berlusconi ha adesso la possibilità di fare quello che meglio gli riesce: una campagna elettorale da “vittima”, privato addirittura «dei suoi diritti politici». Un assist che gli arriva proprio dagli odiati giudici e che lo libera dallo schema “a catenaccio” a cui è stato costretto fino ad ora: adesso sarà partita a campo aperto, a chi segna di più. Dall’altra parte per una sinistra in piena crisi di identità verranno giorni complicati. Enrico Letta con il suo vivacchiante governo, infatti, esce indebolito da questa sentenza a differenza di un Matteo Renzi – il berluscones del Pd – che giocherà la carta dell’“impresentabilità” come mossa anticongresso in vista di elezioni anticipate. Nonostante le parole dure di Guglielmo Epifani, il Pd infatti sa bene che dovrà fare i conti con un elettorato dopato di antiberlusconismo. E ci ha pensato Ezio Mauro su Repubblica a tracciare i desiderata: «Non è la destra che deve decidere se può restare al governo dopo questa sentenza. È la sinistra. Perché la pronuncia della Cassazione non è politica: ma il quadro che rivela è politicamente devastante. Per questo chi pensa di ignorarlo per sopravvivere avrà una vita breve, e senz’anima».
Potenzialmente, insomma, i due “contendenti” sono pronti alla partenza. I segnali, dall’una e dall’altra parte, sono chiari: la richiesta di “grazia” al Capo dello Stato, la manifestazione dei parlamentari del Pdl sotto palazzo Grazioli, gli ultimatum dei democratici che gridano «all’eversione». La coesistenza, con un Berlusconi ai domiciliari o al parco ad accompagnare gli anziani in forza ai servizi sociali ma più arrabbiato che mai, sarà di fatto impossibile. Figuriamoci come sarà possibile adesso parlare di Imu, di Iva, di rientro del debito. E, perché no, di tassazione. Ah, e di riforma della giustizia…
@rapisardant