“Il fatto non sussiste”. Dopo sei ore di camera di consiglio, la Corte d’Assise di Milano ha clamorosamente smontato 8 anni di indagine della procura che aveva chiesto 8 anni di carcere per Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni, ed il predecessore Paolo Scaroni. Accusati, insieme ad altri, di corruzione internazionale per una presunta tangente di 1 miliardo e 92 milioni di dollari versati ad un ministro nigeriano per ottenere la concessione di sfruttamento di un enorme giacimento petrolifero al largo delle coste della Nigeria.
La difesa dei due manager italiani ha sostenuto che i soldi erano stati versati non come tangente ad un ministro, ma direttamente ed in modo trasparente al governo in carica, nell’ambito di una normalissima operazione economica.
Ma al di là degli aspetti tecnici e formali, l’aspetto più sconcertante della vicenda è l’aver permesso, per l’ennesima volta, che due procuratori potessero danneggiare una iniziativa che favoriva l’economia nazionale e non gli interessi privati di due manager. Interesse nazionale sia per la partecipazione pubblica nell’Eni sia perché l’operazione avrebbe portato benefici in termini di fatturato ed occupazione. Danneggiando, eventualmente, solo i concorrenti internazionali dell’Eni che non si sono mai fatti scrupoli nel mettere in campo scorrettezze di ogni genere per eliminare il gruppo italiano dalla scena internazionale.
Forse i procuratori sono rimasti ancora alla versione di comodo secondo cui l’aereo di Enrico Mattei era precipitato per cause tecniche. O forse sono tra i pochi a non aver ancora capito che l’Eni svolge non solo un’attività imprenditoriale, ma ha anche un ruolo politico che spesso sopperisce alle carenze del ministero degli Esteri. D’altronde una vicenda analoga, che coinvolgeva Saipem e l’Algeria, si era conclusa nell’identico modo, con un’assoluzione definitiva per manager e azienda italiana.
Quanto alla Nigeria, insieme ad Eni è stata assolta anche Shell che, per superare il caos politico e societario nigeriano, si era accordata con il gruppo italiano per lo sfruttamento del giacimento. Ed è abbastanza logico che le due aziende europee non debbano rispondere dell’utilizzo successivo del denaro versato al governo nigeriano. Che, proprio per la confusione generata dalla situazione interna e dalle polemiche internazionali, non ha ancora dato il via libera per lo sfruttamento del giacimento petrolifero.