![](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2015/11/12311089_10208255698858059_1775306799654727359_n-310x181.jpg)
Una nuova e prestigiosa collaborazione impreziosirà le colonne di Barbadillo.it: è quella del professor Brunello De Cusatis, insigne lusitanista, accademico dell’Università di Perugia. Ecco il primo approfondimento su Fernando Pessoa. Buona lettura.
***
Sempre più spesso, in occasione sia di interviste che di conferenze o seminari, tenuti tanto in Italia quanto in Portogallo e Brasile, mi sento rivolgere la domanda se dobbiamo attenderci altre “sorprese” da Fernando Pessoa con riferimento alla sua opera e al suo pensiero. Ciò in considerazione del fatto che, ad eccezione dei 431 testi (132 in prosa e 299 in versi) pubblicati in vita, quella di Pessoa è un’opera in divenire, com’è oramai a tutti noto, poiché formata in massima parte di lasciti inediti: una mole enorme di scritti (il suo Lascito, presso la Biblioteca Nacional di Lisbona, si compone di ben 25.426 originali, distribuiti in 343 buste), in maggioranza frammentari e incompiuti. All’indomani della sua morte, ma in particolare a partire dal 1969 – anno in cui è iniziato da parte di alcuni ricercatori portoghesi un lavoro paziente e diligente di catalogazione e decifrazione – tutti gli scritti inediti o, quantomeno, quelli più significativi del grande scrittore, poeta e pensatore portoghese sono stati pubblicati, non senza polemiche tra gli specialisti in alcuni casi, in virtù proprio delle difficoltà interpretative legate tanto alla loro frammentazione e identificazione quanto alla loro decifrazione, poiché molti di essi manoscritti.
Ciò premesso, se la domanda relativa alla possibilità di “sorprese” legate all’opera e al pensiero di Fernando Pessoa mi fosse stata rivolta in Italia una trentina d’anni fa avrei risposto di certo affermativamente, facendo notare come solo parte della sconfinata e multiforme opera pessoana fosse stata divulgata qui da noi ed esclusivamente quella legata alla creazione letteraria del Pessoa tanto ortonimo quanto eteronimo. Questo perché erano stati completamente trascurati, quando non proprio rimossi e, quindi, non divulgati con opportune traduzioni, altri aspetti non meno importanti – in considerazione del fatto che il poeta si compenetra nel pensatore e viceversa – dell’opera di Fernando Pessoa. Mi riferisco, in particolare, all’aspetto socio-politico e a quello economico, senza dimenticare quello religioso, esoterico e mitico-profetico.
La foschia del politicamente corretto
Allo stato odierno, in Italia, la “foschia” che avvolgeva lo scrittore portoghese – nel segno del “politicamente corretto” – si è in massima parte diradata. In questo e nel mio piccolo, credo di aver dato un contribuito. Prima curando, nel 1994 e 1996, due volumi che raccolgono tutti i testi pessoani socio-politici e mitico-profetici (rispettivamente: «Scritti di sociologia e teoria politica», edito da Settimo Sigillo, e «Politica e profezia. Appunti e frammenti 1910-1935», edito da Antonio Pellicani, con una nuova edizione riveduta e pubblicata nel 2018 dalla Bietti di Milano), e più tardi, nel 2000, dando alle stampe il volume, edito da Ideazione, «Fernando Pessoa. Economia & commercio – impresa, monopolio, libertà» (riproposto nel 2011 in una nuova versione riveduta e pubblicata dalle Edizioni Urogallo di Perugia), che raccoglie tutti gli scritti da Pessoa dedicati non solo all’economia e al commercio, come recita il titolo del volume, ma anche all’industria, all’editoria e alla pubblicità.
Un pensiero eterodosso
Come da me più volte sottolineato in altri contesti, il pensiero di Fernando Pessoa, pur se eterodosso e “visionario”, rimanda a dei precisi e innegabili punti di riferimento, facilmente identificabili tanto nei suoi scritti e nei suoi versi quanto nella sua condotta di vita e nelle testimonianze fornite lungo gli anni da parenti e amici. È importante che lo si dica, poiché, nonostante le esemplificazioni, quasi sempre poco convincenti, alle quali alcuni critici – in particolare fuori dal Portogallo, Italia in primis – ricorrono ancora oggi per “giustificare” le sue tante affermazioni “scomode”, Pessoa possedeva principi consolidati mai da lui ripudiati o anche solo messi in discussione nel corso della sua vita. In tal senso e già nel 1996 ebbi modo di scrivere (mi scuso per l’autocitazione):
«I suoi “anti” dichiarati erano per il comunismo, il socialismo, la democratizzazione, il partitismo, il liberalismo (in politica), il rivoluzionarismo (sociale e dei valori – quello, per intenderci, che procede dalla Rivoluzione Francese), il cattolicesimo (più in ambito “politico” che in quello “sociale-religioso”).
I suoi “pro” dichiarati erano per il conservatorismo monarchico, l’aristocraticismo paganeggiante, il nazionalismo (nella variante “messianico sebastianista”), l’imperialismo (sul piano culturale), il liberalismo economico, l’individualismo (aggiungasi, tipicamente nietzschiano), l’anarchismo estetico-politico» [DE CUSATIS, 2018: 39].
Antiliberale e liberista
Quanto all’essere stato Pessoa, allo stesso tempo, antiliberale e liberista assolutamente non deve meravigliare, poiché entrambe le posizioni procedevano dal suo “credo” nazionalista. Era, difatti, l’amore patriottico, il ritenere il suo Paese snazionalizzato e retrogrado che lo avrebbero spinto, su entrambi i piani, quello politico e quello economico, a trovare e proporre soluzioni, solo in apparenza tra di esse contraddittorie.
Il liberismo di Fernando Pessoa rifletteva, sostanzialmente, tanto sul piano della teoria quanto su quello della prassi economica, il suo aristocraticismo antidemocratico, l’estremo individualismo, il rigetto del socialismo e, conseguentemente, di tutti i centralismi statalisti. Del resto, queste sue convinzioni era andato maturandole nel corso di svariati anni sia di studi specifici – e già a partire dal periodo adolescenziale trascorso in Sudafrica (1896-1905) – che gli avevano fornito basi teoriche di certo superiori alla media degli intellettuali portoghesi suoi contemporanei, sia di conoscenze dirette a seguito della sua “vera” e unica professione di «corrispondente in lingue estere presso ditte commerciali», esercitata ininterrottamente tra il 1908 e il 1935, l’anno della sua morte, in una ventina d’aziende, quasi tutte di import/export. Un vero e proprio bagaglio di nozioni ed esperienze economico-commerciali che lo portarono a fondare a Lisbona, nel gennaio del 1926, insieme al cognato Francisco Caetano Dias, marito della sua sorellastra Henriqueta, la «Revista do Comércio e Contabilidade». Oltre la metà dei testi di questo periodico mensile, di cui uscirono sei numeri, furono scritti dallo stesso Pessoa.
Come già ho avuto occasione di scrivere nel 2000 (chiedo di nuovo scusa ai lettori per l’autocitazione):
«Estremamente suggestivi ed “esemplari”, non di rado percorsi da quella vena di humour e di eccentricità cui il poeta ci ha abituato anche quando discute di argomenti politici e sociali, questi testi mantengono tuttavia inalterato tutto il loro interesse. Piuttosto si deve convenire come alcuni di essi siano pensati e scritti con rigore, a dimostrazione di un Pessoa in possesso non solo di una buona formazione commerciale ed economica ma anche di adeguate conoscenze nel campo dell’analisi finanziaria e di mercato, poiché osservatore sempre attento di fatti e mutamenti tanto nazionali quanto internazionali» [DE CUSATIS, 2011: 21].
Antistatalista
In uno di questi articoli («”Régie”, Monopolio, Libertà»), in cui sono studiati, nelle parole dello stesso Pessoa, «i vantaggi e gli svantaggi dei tre sistemi d’amministrazione commerciale e industriale» – ovvero, quello statale, quello del monopolio privato e quello della libera concorrenza – egli mette in luce tutto il suo viscerale antistatalismo. Riporto qui di seguito i passaggi più significativi:
«Presa così come è, l’amministrazione di Stato è il peggiore di tutti i sistemi immaginabili […]. Fra tutte le cose “organizzate”, la più disorganizzata, in qualunque parte o epoca, è lo Stato.
[…] lo Stato quanto più interviene nella vita spontanea della società più aumenta il rischio, quando non proprio la certezza, che la stia pregiudicando e che esso stia entrando in conflitto con le leggi naturali e fondamentali della vita, le quali, dato che nessuno le conosce, nessuno può avere la certezza che non si stiano violando. E la violazione delle leggi naturali ha sanzioni automatiche, alle quali nessuno ha il potere di sottrarsi. […]
L’amministrazione di Stato è, nella sua stessa essenza, talmente piena di difetti che soffre di un ulteriore grave difetto, dovuto al fatto che essa è esercitata da e attraverso il tipico individuo che, in genere, incarna il funzionario pubblico. Fatte salve le carriere militari – nelle quali si creano delle opportunità particolari in termini di ambizione e vigore –, nessun uomo veramente vigoroso e ambizioso si mette, in modo stabile, al servizio dello Stato. Non lo fa perché lì vigore e, soprattutto, ambizione non hanno sbocchi. Lo scrittore americano Nathaniel Hawthorne ribadisce ciò con straordinario rilievo nella prefazione al suo romanzo “La lettera scarlatta”. Difatti, costituito da un insieme di uomini per forza di cose inferiori nelle loro qualità volte all’azione, il servizio pubblico civile si presenta universalmente incompetente e negligente e, per derivazione, in quelle società che sono venate da qualche virus corruttore, si presenta più corrotto di un qualsiasi altro insieme.
Questi elementi stabili, così poco adatti all’adempimento competente di una qualsivoglia funzione amministrativa, quantunque subordinata, sono diretti, negli stati moderni, da politici di professione, ossia, da individui arrivati al potere a seguito di circostanze varie, in cui la competenza amministrativa non rientra, ne deve rientrare. Peraltro, chi possiede una notevole competenza amministrativa, impiega oggigiorno la sua attività in campi più appropriati di quello del governo dei paesi. E se è così in quasi tutte le nazioni, a maggior ragione lo sarà in quelle dove l’instabilità governativa risulti accentuata; nessun amministratore vero si assoggetta ad amministrare qualcosa che presenti rischi di discontinuità e interruzione.
L’amministrazione di Stato è ammissibile solo quando è inevitabile; ed è inevitabile solo in un caso anormale, la guerra, e, anche così, solo per alcuni tipi d’industria o di commercio. Dato che, tuttavia, nelle società cosiddette civilizzate, le attività normali sono tutte di natura pacifica e la guerra, motivando la sospensione di attività pacifiche, implica la sospensione dell’essenza stessa di quel che ha dato forma a una società civilizzata, il fatto che lo Stato possa utilmente amministrare un commercio o un’industria solo in tempo di guerra è un argomento ulteriore contro l’esercizio normale praticato dallo Stato stesso su quel determinato commercio o quella determinata industria» [PESSOA, 2011: 126-141 (127-132)].
Un Fernando Pessoa, quindi, liberista, antistatalista, fautore, sempre nelle sue stesse parole, della «industrializzazione sistematica» del Portogallo epocale, ma, a un tempo, come tenterò di dimostrare, sostanzialmente antiplutocratico.
![](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2021/03/5301679_fernando_pesssoa__pop_art-350x350.jpg)
Le ascendenze
È noto come Pessoa discendesse, per linea paterna, da una famiglia di ebrei convertiti di Fundão, nella Beira Baixa (un suo antenato, Sancho Pessoa da Cunha, appunto ebreo convertito, era stato condannato, nel 1706, dall’Inquisizione di Coimbra) – condizione, peraltro, mai da lui negata e ribadita nella famosa sua nota biografica del 30 marzo 1935, in cui definisce la sua ascendenza come «idalga e giudaica insieme». Ciò premesso, è spontaneo chiedersi il perché del suo interessamento a pubblicare, in traduzione portoghese, come risulta dal «Piano Editoriale» della Olisipo Lda. (una ditta commerciale di “Agentes, Organizadores e Editores”, da lui fondata a Lisbona, nel 1921, insieme al giornalista Augusto Ferreira Gomes e all’ingegnere Geraldo Coelho de Jesus), i famigerati «Protocolli dei Savi di Sion», testo notoriamente antisemita, “fabbricato” all’inizio del secolo scorso in ambienti vicini alla polizia segreta zarista e nel quale veniva indicata l’esistenza di una “centrale ebraica”, il cui scopo sarebbe stato il dominio del mondo. E a tal punto interessato da voler corredare l’opera (affidata alla cura di «A. L. R.» – iniziali che non corrispondono al nome di nessuno degli amici del poeta, la qualcosa lascia supporre che dietro di esse si nascondi lo stesso Pessoa) di una «Introduzione» e di un «Commento storico ed esplicativo» atto ad accertare – e, nel farlo, anche confutando alcuni articoli del «Times» che la negavano – l’«autenticità» dei «Protocolli» stessi. [Cfr. PESSOA, 2011: 206-210 (209)].
È un tema indiscutibilmente scabroso che vari critici pessoani, quasi sempre propensi a rimuovere tutto quel che del poeta portoghese risulta “scomodo” e, di conseguenza, imbarazzante da commentare, preferiscono: o ignorare del tutto o imputare alla natura contraddittoria di un “uomo plurale” o ritenerlo una semplice “stravaganza”, scaturita da un “cervello” di certo geniale, ma, proprio per questo, non di rado “fantasticante” e sempre pronto – come scrive il critico spagnolo e suo biografo Ángel Crespo a proposito dei rapporti d’amicizia di Pessoa con lo scrittore e poeta modernista portoghese Mário Saa, antisemita dichiarato e autore, tra l’altro, di un libro dal titolo «L’invasione degli ebrei» (1925) – «a scandalizzare l’opinione pubblica» [CRESPO, 2014: 390].
Ciononostante, tali argomentazioni “a giustificazione” non reggono di fronte a un’analisi più solerte e che attenga tanto al Pessoa sociologo, teorico della politica e studioso d’economia quanto al Pessoa esoterico e interessato ai sincretismi religiosi. È sufficiente ricordare come nel suo Lascito esista un insieme di testi riuniti sotto la voce «300» (n. 53 – B-55/70 e n. 53 – B-92), in cui lo scrittore portoghese esprime profonda preoccupazione per l’esistenza di «Trecento» uomini, i quali, idolatri del «materialismo crasso e basso della nostra epoca», cercherebbero di dominare il mondo (in opposizione alla «civiltà europea» per il tramite della distruzione dei suoi tre «elementi fondanti»: «la cultura greca», «l’ordine romano» e «la morale cristiana»), servendosi tanto del «basso giudaismo» («grossolanamente materialista e umanitario, entusiasticamente democratico») quanto della «decadenza europea». Cosicché, «come il giudaismo si è infiltrato nella Massoneria, allo scopo di potere, per il suo tramite, operare nell’ombra, allo stesso modo i 300 si servono del giudaismo allo scopo di potere, per il suo tramite e per il tramite di quel che esso muove, operare nelle tenebre» [Cit. in DE CUSATIS, 2005: 60].
![](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2021/03/images.jpeg)
Inoltre, è da ritenersi una semplice coincidenza il fatto che Pessoa, in un suo articolo riportato nel sesto e ultimo numero della «Revista do Comércio e Contabilidade» («I precetti pratici in generale e quelli di Henry Ford in particolare» [PESSOA, 2011: 150-161]), si erga a difensore delle «regole» e degli «insegnamenti» (e a tal punto da consigliare agli industriali portoghesi di inciderli nella loro «memoria e considerazione») del magnate industriale americano Henry Ford, rivelatosi come uno dei maggiori oppositori della “banca ebraica” e con un’avversione tale contro gli ebrei da orchestrare in quegli anni e fino al 1932, sulle pagine del suo giornale «Dearborn Independent», una martellante campagna antisemita, la cui piattaforma era rappresentata proprio dai «Protocolli dei Savi di Sion»?
Semplice coincidenza o no, è, tuttavia, emblematico come in una «intervista sensazionale», presumibilmente del 1919, concessa dall’eteronimo Álvaro de Campos a un imprecisato giornale, mai pubblicata e di certo inventata dallo stesso Pessoa, si parli dell’Europa epocale come «teatro di un grande conflitto», una guerra mondiale tra «due grandi forze – la plutocrazia industriale e la plutocrazia finanziaria», la quale ultima, diversamente dalla plutocrazia industriale (in qualche modo nazionalista e patriottica e, quindi, dal punto di vista di Pessoa – il cui patriottismo non è di certo in discussione – preferibile a qualsiasi altro tipo di plutocrazia), ha una «indole più o meno internazionale, poiché non ha radici, e non ha legami pertanto se non con se stessa o, altrimenti, solo con quella razza [si legga “ebraica”] praticamente privilegiata che, tramite la finanza internazionale, può dirsi che oggi, senza avere patria, governa e dirige tutte le patrie» [Cit. in DE CUSATIS, 2005: 61].
Bibliografia di riferimento
– CRESPO, Ángel, 2014. «La vita plurale di Fernando Pessoa». Nuova edizione a cura di Brunello N. De Cusatis. Edizioni Bietti, Milano (1ª ed.: Antonio Pellicani Editore, Roma 1997).
– DE CUSATIS, Brunello N., 2005. «Esoterismo, Mitogenia e Realismo Político em Fernando Pessoa. Uma visão de conjunto». Edições Caixotim, Porto.
– DE CUSATIS, Brunello N., 2011. «Introduzione». In: PESSOA, Fernando, 2011. «Economia & commercio – impresa, monopolio, libertà», cit., pp. 9-23.
– DE CUSATIS, Brunello N., 2018. «Introduzione alla prima edizione». In: PESSOA, Fernando, 2018. «Politica e profezia. Appunti e frammenti 1910-1935», cit., pp. 35-50.
– PESSOA, Fernando, 1994. «Scritti di sociologia e teoria politica». A cura di Brunello De Cusatis. Settimo Sigillo, Roma.
– PESSOA, Fernando, 2011. «Economia & commercio – impresa, monopolio, libertà». Introduzione e note di Brunello De Cusatis. Postfazione di Alfredo Margarido. Nuova versione riveduta. Edizioni dell’Urogallo, Perugia (1ª ed.: Ideazione Editrice. Roma 2000).
– PESSOA, Fernando, 2018. «Politica e profezia. Appunti e frammenti 1910-1935». A cura di Brunello N. De Cusatis. Nuova edizione riveduta. Edizioni Bietti, Milano (1ª ed.: Antonio Pellicani Editore, Roma 1996).
(La prima versione di questo articolo su Fernando Pessoa comparve nel volume collettaneo «Per una nuova soggettività. Popolo, partecipazione, destino», Heliopolis Edizioni, Pesaro 2011)