“Abbiamo dato loro una lezione. Ora sanno che non scherziamo. Abbiamo distrutto il loro morale.”
Margareth Thatcher
La Bloody Sunday del 30 gennaio 1972 era stata la tragica conclusione di un periodo durissimo in Irlanda del Nord, inaugurato all’alba del 9 agosto 1971 con il lancio, da parte dell’esercito, dell’Operazione “Demetrius”, una gigantesca retata nel corso della quale i presunti sospettati per terrorismo, venivano prelevati dalle loro abitazioni e arrestati senza mandato; alla fine di quel 1971, gli arresti sarebbero divenuti quasi novecento, mentre nei sei mesi successivi altri 2357 sarebbero stati internati senza un’accusa formale e senza processo.
I ghetti, le torture, le leggi speciali e i metodi da controguerriglia coloniale avevano così trasformato le sei contee della regione storica dell’Ulster in una sorta di “Sudafrica europeo” e l’uccisione dei quattordici civili durante quella storica marcia era pienamente riuscita a stroncare quasi sul nascere i movimenti per i diritti civili che, in maniera assolutamente non settaria e non violenta, avevano mobilitato delle folle sempre più numerose nelle scuole, nelle università e nei quartieri più poveri.
Il clima e l’escalation delle violenze avrebbero portato almeno ad altre due importanti conseguenze: se infatti da una parte, come ampiamente prevedibile, il numero dei giovani che si arruolavano nei gruppi paramilitari per praticare la lotta armata (specialmente nella Provisional Irish Republican Army, la celebre IRA) era cresciuto esponenzialmente dall’altra, il 28 marzo del 1972, il Governo britannico aveva deciso di sospendere a tempo indeterminato l’assemblea e l’autogoverno del Nord Irlanda, assumendo direttamente sotto il proprio controllo le sorti della nazione costitutiva: assemblea questa, che poi sarebbe stata definitamente sciolta con il Northern Ireland Constituzion Act del 18 luglio 1973, mentre ogni ulteriore possibilità di concedere un organismo devoluto venne cancellata con il Northern Ireland Act del 1974, che trasferiva qualsiasi potere locale a Westminster.
In un primo momento, per altro, almeno queste notizie vennero accolte quasi con il sollievo dalla minoranza cattolica, visto che l’Assemblea di Stormont, eletta nella prassi con un sistema di voto censitario fin dalla divisione dell’isola nel 1921, veniva vista come lo strumento del potere e di oppressione della maggioranza protestante, una longa manus con cui Londra, mentre il resto dell’Impero stava conoscendo una fase di inesorabile declino, continuava con forza a stringere a sé quel fazzoletto di terre nell’Isola d’Irlanda.
A riprova di questo, si era dimostrato assai esigente l’impegno profuso da Londra (tanto per i mezzi, quanto per gli uomini), pur quello scenario di un conflitto asimmetrico, apparisse come una “dirty war” molto più simile da un punto di vista tattico e di teatro operativo all’Indocina o al Sud America degli anni ‘60/’70, non certo all’Europa occidentale del medesimo periodo; eppure, imparata la lezione algerina che alla Francia era costata quasi un decennio infernale e che insieme alla Crisi di Suez del 1956 aveva definitivamente costretto il paese transalpino al declino, almeno in quanto potenza coloniale, per la Gran Bretagna continuare a stringere la morsa sulle sei contee del Nord Irlanda aveva una sua logica: così facendo, infatti, si poteva conservare un utile laboratorio, un laboratorio “alle porte di casa” dove sperimentare le contromosse che servivano per contenere qualsivoglia conflitto o rimostranza sociale, a maggior ragione tra i ’60 e gli ’80, un periodo nel quale non era raro che il disagio sociale potesse ovunque esplodere in rivolta.
Le tecniche “coloniali”
Si continuavano così a testare e ad implementare delle modalità militari e sociali, nel contesto di una guerra a bassa intensità, nonostante le stesse fossero bandite nel resto del Regno Unito (oltre all’uso sistematico della tortura): non è un caso se proprio i proiettili di gomma erano stati inventati dal Ministero della Difesa britannico per usarli contro i riottosi irlandesi; non solo, facevano parte delle dotazioni anche i proiettili di plastica, introdotti per la prima volta nel 1975 (nel periodo 1970-2005, nella sola Irlanda del Nord, sono stati sparati circa 125.000 tra proiettili di gomma e plastica, una media di 10 al giorno, causando la morte di 17 persone), il gas CS e lo squawk box, un apparecchio messo a punto nella base di Lisburn che emetteva degli speciali ultrasuoni in grado di creare ansia, panico, disturbi al sistema nervoso e vomito.
Le tecniche di controguerriglia utilizzate dai francesi in Vietnam o in Algeria, venivano perciò riprese per essere praticate nella civilissima Europa: in verità, gli stessi britannici ne avevano fatto altrettanto largamente uso in Kenya (dove tra il 1952 e il 1960 era stata ferocemente repressa le rivolta dei Mau-Mau, un movimento politico nazionalista sorto formatosi in Kenya sul finire della seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra fra i Kikuyu, il più numeroso dei gruppi etnici kenyani) e in Malesia; fu perciò molto facile riadattarle ad un contesto urbano, raffinandole attraverso le metodologie della propaganda e dello spionaggio, prassi consolidate durante la Guerra Fredda.
All’inizio degli anni ’70, in questo senso, fu centrale il ruolo della 39esima brigata aviotrasportata, di stanza a Belfast, il cui comando venne assunto dal Brigadiere generale Frank Kitson: Kitson, esperto di controrivoluzione e autore di diversi libri di strategia militare, teorizzava un sofisticato sistema di controllo della popolazione, mediante la sua concentrazione in ghetti altamente sorvegliati, la guerriglia e la propaganda psicologica, il ricorso alle unità speciali, alle spie, agli informatori, senza mai far mancare gli infiltrati e i depistaggi; il tutto avrebbe comunque fatto perno sull’unità speciale e segreta dell’esercito britannico, la Military Reconnaissence Force (MRF), da subito coordinata con la 39esima brigata di Kitson, avente il quartier generale proprio a a Lisburn.
Il caso McBride
Se dunque da una parte anche l’Irlanda si era trasformata presto in una delle tante sedi delle guerre tra spie, sulle strade di tutti i giorni si faceva ricorso a modi ben più spiccioli e non era infrequente che un normale posto di blocco si trasformasse nella scena di un crimine: ancora il 4 settembre 1992, l’auto del 18enne Peter McBride venne fermata da due soldati del reggimento delle Scots Guards (nell’area del New Lodge, un sobborgo operaio e cattolico nel nord di Belfast), per un controllo documenti.
Risolta la pratica, senza aver trovato nulla, il ragazzo, evidentemente sconvolto dalle modalità dell’azione, presumibilmente accompagnata dagli epiteti razzisti con cui non di rado i “sudditi” irlandesi venivano apostrofati, aveva deciso di proseguire a piedi ma appena accennata la camminata, i due gli avevano sparato una prima volta, ferendolo alla schiena; accasciatosi lungo una vettura lì parcheggiata, i gendarmi per tutta risposta gli avrebbero sparato di nuovo alla schiena, finendolo.
Condannati all’ergastolo, sarebbero tuttavia rimasti in carcere all’incirca tre anni, senza mai perdere il lavoro e anzi riassumendo il loro ruolo di soldati non appena liberati, anche grazie ad una incessante campagna di opinione in favore della scarcerazione.
Più in generale, non era raro che i reparti della RUC (Royal Ulster Constabulary, la polizia locale) fossero collusi con i soldati o i servizi britannici, i quali non di rado soprassedevano di fronte alle operazioni portate avanti dai paramilitari lealisti, gli squadroni della morte dell’UDA (Ulster Defence Association) o dell’UVF (Ulster Volunteer Force); d’altronde, l’emergenza della lotta al terrorismo e all’IRA, portava a giustificare persino le uccisioni a sangue freddo, secondo la politica dello “shoot to kill”, di fronte a soggetti ritenuti anche solo “ostili”, per stroncare sul nascere qualsiasi confronto.
Il fallimento dei negoziati
Tutti i tentativi di arrivare ad un qualche accordo di tregua, di “cessate il fuoco”, come quello dichiarato il 22 giugno dai comandi dell’IRA, non ebbero alcun seguito tangibile, anche perché la principale richiesta da parte “nazionalista” era il ritiro delle truppe britanniche, truppe di fatto inviate per controllare e gestire l’ordine pubblico, dal momento che le strade del nord continuavano ad essere il teatro di scontri durissimi: falliti miseramente i negoziati, gli scontri ricominciarono più violenti di prima fin dal 9 luglio 1974 e i britannici, a parte la scelta militare e della repressione violenta, non seppero fornire altra risposa, con le conseguenze tristemente note.
Addirittura, in un documento del 1972 ma desegretato nel 2003, intitolato “Riconfigurazione del confine e trasferimento della popolazione” il Governo inglese aveva previsto, come estrema ratio, la realizzazione di un progetto di scambio di genti, per creare uno stato etnicamente puro: almeno 200.000 protestanti avrebbero dovuto lasciare le loro abitazioni, cedendo alla Repubblica d’Irlanda i territori “liberati”; nello stesso tempo, 300.000 cattolici nordirlandesi sarebbero stati fatti insediare nelle nuove aree.
Al progetto erano allegate cartine ed elenchi, mentre era stato ampiamente sottolineato come tutto ciò necessitasse dell’aumento delle truppe britanniche di stanza in Irlanda, dovendo aumentare i battaglioni dai venti di quel momento ad almeno quarantasette, arrivando nel complesso a 5000 le unità che avrebbero fornito il supporto necessario per sfollare circa un terzo della popolazione.
Anche a Londra in effetti, qualcuno doveva aver ben studiato il Trattato di Losanna che nel 1923, al termine della Guerra greco-ottomana (1919-1922) e a margine della nascita della moderna Turchia Nazionale, che a sua volta aveva rigettato il precedente Trattato di Sèvres, aveva provato a risolvere il problema etnico, con lo scambio tra popolazioni cristiane dell’Anatolia e della Tracia Orientale e quelle grecofone di religioni islamica (trasferite in Turchia), una vicenda che alla fine avrebbe coinvolto circa due milioni di persone.
Intanto, le bombe dell’irredentismo irlandese, che già avevano colpito a Londra nel 1973, causarono a Birmingham, il 21 novembre 1974, 21 vittime e 182 feriti, dopo aver colpito il Mulberry Bush, un pub molto noto e particolarmente frequentato della città, centro sociale, culturale e commerciale delle Midlands.