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Conoscenza metafisica ed esperienza religiosa del maestro Nae Ionescu

L’interesse del mondo culturale italiano nei confronti degli intellettuali della cosiddetta «giovane generazione» romena, tra le cui fila vanno annoverati pensatori di primo piano del panorama europeo, quali Eliade, Cioran e Noica, è in continua espansione, nonostante fossero spesso dimenticati per l'adesione di alcuni alla Guardia di ferro di Codreanu

by Giovanni Sessa
19 Febbraio 2021
in Libri
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Nae Ionescu

L’interesse del mondo culturale italiano nei confronti degli intellettuali della cosiddetta «giovane generazione» romena, tra le cui fila vanno annoverati pensatori di primo piano del panorama europeo, quali Eliade, Cioran e Noica, è fortunatamente in continua espansione. Il contributo di questi autori è stato davvero rilevante e non può essere trascurato, magari per pregiudizio politico, per il coinvolgimento di alcuni di loro nell’esperienza della Guardia di Ferro di Codreanu. Tale rinnovato interesse è testimoniato dalla pubblicazione di un volume del filosofo che, a ragione, è stato considerato maestro e guida spirituale di quei giovani, Nae Ionescu. Ci riferiamo all’opera, Conoscenza  metafisica ed esperienza religiosa, inedita nel nostro paese, da poco in libreria per i tipi delle edizioni Stamen. Il volume è curato ed introdotto da Igor Tavilla ed è arricchito dalla Premessa di Pierfrancesco Stagi e dalla Postfazione di Horia C. Cicortaş, che si intrattiene sui rapporti Ionescu-Eliade (pp. 482, euro 20,00).

  Ionescu, formatosi dapprima in patria e successivamente a Gottinga (dove frequentò, rimanendone deluso, Husserl) e Monaco di Baviera, tornato in patria si impiegò presso una casa editrice, collaborò a numerose testate giornalistiche e divenne assistente all’Università di Bucarest. Amava insegnare prediligendo l’azione didattica coinvolgente, socratica, alla stesura di opere organiche. Il suo dire, lo testimoniano gli allievi, era potente e coinvolgente: problematizzava ogni aspetto del pensiero e stimolava i discenti alla ricerca di risposte personali. Ricorda Tavilla che: «Ionescu ha saputo esercitare un’attrazione magnetica sui propri ascoltatori, alimentando un “mito” che neppure la dittatura comunista è riuscita ad oscurare» (p. 20). Egli fu il principale esponente dell’«esperienzialismo», una corrente filosofica anti-intellettualista e anti-positivista, che concedeva all’esperienza vissuta il primato sulla ragione astratta. La filosofia, in tale contesto, veniva considerata espressione soggettiva, assolutamente vitale. In essa: «Quel che conta […] è […] appropriarsi della verità medesima, facendo di essa un’esperienza “per noi”», a prescindere dal fatto che altri, prima di noi, abbiamo potuto pensare le medesime realtà. Lungo tale via che conduce intuitivamente all’identificazione di soggetto e oggetto, l’amore assume un ruolo imprescindibile.

    Intorno al 1930, mentre stava preparandosi alla titolarità di cattedra, Ionescu entrò in polemica con il suo mentore Rădulescu-Motru, che lo aveva accusato di deriva mistica. La sua attività giornalistica divenne, in tale frangente, incontenibile, facendo delle colonne di «Cuvântul», periodico tradizionalista: «una tribuna complementare alla cattedra» (p. 25). Nella prefazione ad un romanzo dell’allievo Mihail Sebastian, il filosofo si occupò del problema ebraico, ribadendo la convinzione che: «la nazionalità non sia una condizione giuridica bensì organica […] per cui gli ebrei cosiddetti “assimilati” restano pur sempre ebrei» (p. 29). La sua interpretazione dell’ebraismo si muoveva sul piano teologico, a differenza dell’antisemitismo volgare che andava diffondendosi in Romania. Con l’attività pubblicista il pensatore tese a rafforzare l’identità nazionale, a fondare una: «ontologia della romenità» (p. 30). Monarchico, rifiutò la democrazia parlamentare, forma di governo antitradizionale, difendendo la concezione gerarchica dello Stato. Fu dapprima vicino al movimento filo-carlista, ma dopo esser stato marginalizzato dagli ambienti di corte, si avvicinò al movimento legionario di Codreanu. Tale presa di posizione lo portò, in più circostanze, in carcere: quando venne rilasciato, il suo fisico, compromesso dai patimenti subiti, non resse ad una serie di attacchi cardiaci. Si spense il 15 marzo 1940.

    Il Corso di filosofia della religione costituisce la prima parte del volume e fu tenuto nel secondo semestre dell’anno accademico 1924-25. Al centro degli interessi del filosofo, sta il pensiero di Max Scheler: a volte, come nel suo costume didattico, Ionescu utilizza passi del pensatore tedesco senza citarlo. Ma la speculazione scheleriana rappresenta semplicemente il materiale costruttivo che: «il professore rifunzionalizza in vista della valorizzazione del fatto religioso in una prospettiva rigorosamente ortodossa» (p. 45). Scheler aveva colto la dimensione universale del fenomeno religioso, Ionescu ne evidenzia la relazione con la nazione: «al punto che il cristianesimo appare ai suoi occhi come un eminente prodotto della cultura orientale (europea)» (p. 45). Il taglio del testo è teoretico ed ha uno sviluppo «per problemi». La filosofia della religione si esplica nell’esegesi dell’atto religioso descritto fenomenologicamente quale: «struttura specifica della coscienza umana nel momento in cui la vita religiosa si esplica» (p. 80). L’atto religioso risulta costitutivo per la coscienza, specifico rispetto ad altri atti del medesimo ambito e caratterizzato dal riconoscimento di una legislazione autonoma.

    Suo aspetto principale è il secondo, in quanto nell’atto religioso si evincono la finitudine coscienziale e l’assolutezza dell’oggetto al quale si tende, Dio. L’atto religioso, chiosa Ionescu, è eterogeneo: «rispetto all’ordine naturale dei fenomeni psichici ed emerge ogni qual volta la coscienza sperimenta l’assurdità del fatto religioso e se ne scandalizza» (p. 50). Sussiste, pertanto, un dualismo, tra religione universale e religioni storico-positive, che si riverbera in Dio. All’Assoluto competono determinazioni primarie ed essenziali e determinazioni secondarie: «Queste ultime riflettono inevitabilmente l’identità spirituale del popolo nella quale l’atto religioso è organicamente compreso» (p. 51). Inoltre, tale atto risulta bipolare e transitivo, in quanto non può trovare realizzazione in un oggetto finito, ma solo in un oggetto esterno, trascendente il mondo sensibile. Vi è da rilevare anche la bi-direzionalità della vita religiosa, nella quale i due poli si condizionano vicendevolmente.

   La seconda parte del volume presenta il Corso di metafisica. Nelle sue pagine, l’autore distingue religione e metafisica: quest’ultima procede per via rationalis al fine di addivenire ad una visione generale della realtà, la prima è invece un’esperienza cha va oltre le categorie del pensiero. Si tratta di un gnoseologia mistica nella quale l’amore è centrale e il rapporto creatore-creatura è accessibile da «dentro», per via intuitiva. Contro l’interpretazione agostiniana dell’amore evangelico, inteso quale amore per il prossimo, fatta propria da cattolicesimo e protestantesimo, che ha ridotto le chiese occidentali ad organizzazioni filantropiche, l’Ortodossia ha privilegiato la lettura di Origene, alla luce della quale l’unico amore legittimo è quello rivolto a Dio. Da ciò si evince il tratto personalistico ed asociale dell’atto religioso che: «prescinde da valutazioni di ordine mondano» (p.57), mentre si mostra nell’agire virtuoso del singolo e nella pratica rituale.  

   

Giovanni Sessa

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