“La tentazione di fregare il Sud è fortissima”. Mentre a Roma si andava a sbattere contro l’oggettiva impossibilità di un Conte ter, Vincenzo De Luca ha rivendicato a sé la questione meridionale al tempo del Covid. Dal punto di vista delle istituzioni.
De Luca guida le Regioni del Sud che hanno intenzione di puntare i piedi in vista del Recovery Plan. Da Napoli in giù è emersa la necessità di far sentire la propria voce: il 34% del piano è commisurato alla popolazione e non servirebbe a granché: non sarebbe saggio indebitare le prossime due generazioni di cittadini (come ha spiegato il governatore della Campania sottolineando che dei 209 miliardi solo 80 sono a fondo perduto) senza dare un cambio radicale e autentico alle condizioni di vita e alle potenzialità dei territori meridionali.
La tesi di De Luca
Il ragionamento è semplice: quei fondi che arriveranno all’Italia sono collegati all’esigenza, ravvisata dall’Ue, di superare il gap infrastrutturale del Mezzogiorno. Se non riparte il Sud, l’Italia resta al palo e sarà un danno anche per le imprese del Nord che si ritroveranno con un mercato interno dimezzato. Inoltre incombe lo scenario a cui ci si troverà ad assistere da marzo quando scadrà il blocco dei licenziamenti che, fatalmente, mieterà numerose vittime proprio nel Mezzogiorno. Innescando, potenzialmente, una nuova stagione di crisi sociale: e non basterà la solita e lacrimevole retorica per rimettere a posto le cose, nemmeno servirà a granché il reddito di cittadinanza o i lavoretti della gig economy.
La battaglia ingaggiata da De Luca è trasversale e unisce le Regioni al di là degli schieramenti e delle appartenenze. A conferma dell’urgenza della questione, ravvisata da tutti i governatori delle Regioni meridionali e della potenza di fuoco “ibrida” del personaggio, capace di raccogliere consensi ovunque “nonostante” l’appartenenza all’area del centrosinistra che, altrimenti, ne avrebbe volentieri fermato l’ascesa.
Senza Sud, dunque, l’Italia rischia lo sfascio definitivo. Il centrodestra, se non vuole subire il protagonismo altrui (e perdere voti e credibilità) non deve aver paura di scontentare le basi elettorali del Nord e proporre un piano di ricucitura del Paese. Altrimenti rischia la subalternità.