«Portavi al collo quel talismano d’oro
avuto dal saggio un lontano mattino
quando eri ancora, tra boschi di querce
soltanto un guerriero bambino.
Ricordi tuo padre cacciare con l’arco
il primo cervo un premio già ambito
pescare nei fiordi e poi nel torrente
salvare quell’orso ferito. […]
La gente del nord è tutta schierata
biondi guerrieri con elmi d’argento
il cerchio e la croce garriscono al vento.
Adesso che il sangue tu hai conosciuto
adesso che il fuoco tu hai attraversato
la pace sul campo di nuovo è tornata
la luna ti bacia la gola squarciata. […]
La nave ti porta di là dal mare
l’isola verde ti sembra aspettare
adesso lo sai che tu per sempre
il cervo e la lontra potrai qui cacciare.»
Sono i primi e gli ultimi versi di una autentica poesia-canzone, Terra di Thule, che fa parte dell’omonimo album del 1983, cantata da “La compagnia dell’anello” (formata inizialmente da Mario Bortoluzzi e Junio Guariento). Non c’è in questo caso un solo autore dei testi e delle musiche, testi e musiche e interpretazione dei brani sono il frutto della collaborazione in varia misura di più autori e musicisti: Mario Bortoluzzi, Adolfo Morganti, Massimo e Marinella di Nunzio, Gino Pincini, Madina Fabretto.
In lotta contro Sauron
Nell’intervista realizzata da Gianfranco de Turris e pubblicata su Barbadillo del 10 Giugno 2017 col titolo “La Compagnia dell’Anello e i 40 anni dei Campi Hobbit” così Mario Bortoluzzi, portavoce e leader del gruppo, spiega l’origine del nome derivato dalle opere di J.R.R. Tolkien:
«L’opera di Tolkien fu per noi evocatrice di simboli e valori alternativi a quelli espressi dalla cultura dominante. Piacque a tutta una generazione di militanti per via di un processo immediato di identificazione. Ci sentivamo proprio come piccoli Hobbit in lotta contro l’Oscuro Signore. Piccoli ma coriacei, resistenti, combattivi e, alla fine, vincenti. Pensiamo all’epilogo de Il Signore degli Anelli. Gli Hobbit tornano in una Contea devastata dalle malefatte di Sauron e guidano la rivolta in nome della libertà e delle tradizioni del popolo contro tutti i simboli puzzolenti della “modernità industriale” imposti dalla dittatura. Miti, valori, simboli che sentimmo e facemmo nostri, dando vita ad una stagione di svecchiamento e di apertura verso il futuro».
L’uomo è ciò in cui crede
Alla domanda del giornalista Michele Brambilla sul perché Tolkien e la letteratura fantasy affascinavano tanto il mondo della destra giovanile negli anni ’70 e ’80 del Novecento, così rispondeva Adolfo Morganti: «Tolkien, fortunatamente, affascina ben oltre i confini del mondo di destra […] Semmai, al mondo della cultura tradizionale può essere riconosciuto il merito di aver fatto conoscere la letteratura fantastica “nobile”, di cui Tolkien è il maestro […] È stato il mondo della cultura tradizionale a promuovere questo genere di letteratura in quegli anni ’70 e ’80 i cui il neorealismo o i gorgoglii intestinali di Moravia esaurivano lo spettro della cultura di regime: quella che, sola, trovava spazio sui quotidiani e nei premi letterari […] il grande boom tolkeniano non si può spiegare con schedature ideologiche: anzi, fu un fenomeno più legato al superamento della contrapposizione destra-sinistra che non al suo mantenimento o al suo inasprimento». Tolkien e la letteratura fantasy «hanno dimostrato che l’uomo non è ciò che mangia e ciò che guadagna, ma ciò in cui crede. Tolkien ha fatto capire ai giovani la vitalità sempiterna delle radici spirituali e culturali dei popoli, il grande e insostituibile potere formativo del mito». (in Interrogatorio sulle destre, Rizzoli, 1995, pp. 167-179)
Il domani appartiene a noi
Nello stesso album Terra di Thule figura una sognante e suggestiva canzone, Il domani appartiene a noi, una sorta di canzone-manifesto, che inizia in sordina e si sviluppa con un crescendo trascinante, che ben presto divenne l’inno più conosciuto della giovane destra radicale. Riportiamo l’incipit e il finale:
«Ascolta il ruscello che sgorga lassù / ed umile a valle scompar / e guarda l’argento del fiume che / sereno e sicuro va. […] La terra dei Padri, la Fede immortal / nessuno potrà cancellar / il popolo vinca dell’oro il signor / il domani appartiene / il domani appartiene / il domani appartiene a noi.»
In rotta per Bisanzio
Nell’album In rotta Per Bisanzio del 1990 l’omonima poesia-canzone ci propone, con un ritmo veloce e guerriero, la navigazione verso una Bisanzio colorita dal sogno e dall’ideale:
«Sicura fende l’onda / la prua della galea, / un ramo di ciliegio / portato dalle onde / e luccica la pelle / di schiavi rematori,
il ritmo del tamburo / scandisce la fatica. / Terra di Bisanzio, / terra d’ambra e d’oro / trema sotto il passo / di eserciti latini / e brillano le spade / dei principi templari, / le danza delle ore / ancora si ripete. / Donne dalle labbra / color di melograno / offrono l’amore / a stanchi cavalieri. / È notte di Bisanzio / di pesco profumata, / la spada di Venezia, / la terra ritrovata.»
Se è vero che la migliore resa poetica de La compagnia dell’anello è raggiunta con canzoni legate ad un Medioevo mitico e idealizzato, non mancano testi, altrettanto validi poeticamente, che guardano ai fatti di cronaca o al mito dell’Europa come Sulla strada o agli Italiani d’Istria e Dalmazia come Di Là Dall’Acqua (nell’omonimo album del 2002), di cui riportiamo il ritornello:
«Ascolta in silenzio la voce delle onde / ti porterà sicura verità profonde / perché in Istria non ti sembri strano: / anche le pietre parlano italiano, / anche le pietre parlano italiano.»
Notava a questo proposito in un’accurata e sentita intervista il giornalista Michele De Feudis che questi testi
«non sono solo parole, ma poesia delle radici in un’Italia che ha dimenticato l’esodo di migliaia di italiani»
(Bortoluzzi: La Compagnia dell’Anello, da 40 anni contro tutti i Sauron, in Barbadillo, 25 Febbraio 2015). Già, poesia delle radici! Ed una canzone, quando è autentica poesia, vale più di mille volantini e di mille apparizioni televisive.
Anch’io ho provato la suggestione de ‘Il domani appartiene a noi’. Però son passati circa 40 anni, siamo ovviamente invecchiati e quel domani è sempre più lontano, irraggiungibile. In compenso lupi e cinghiali ci assediano all’uscita di casa… non nelle foreste…