Barbadillo ha intervistato Mario Bortoluzzi, cantante e animatore dello storico gruppo della musica alternativa, “La Compagnia dell’Anello”. Il risultato è un lungo viaggio nella milizia ideale, tra note, ricordi e sentimenti comunitari. Un dialogo prezioso, per non perdere mai l’orientamento, da accompagnare con l’ascolto dell’ultimo cd realizzato per i 40 anni della Compagnia, “Quadraginta Annos, in unum fideles”.
Mario Bortoluzzi, quando nasce la Compagnia dell’Anello ?
In occasione del Primo Campo Hobbit, nel 1977. Del “Gruppo padovano di protesta nazionale”, nato nel 1974, eravamo rimasti solo in due, gli altri fondatori, per vari motivi avevano lasciato, uno, fino a luglio ’77, era ancora agli arresti per reati di opinione. L’ultimo concerto del nucleo primigenio si tenne a Roma il 6 dicembre 1976 al Teatro delle Muse, organizzato dalla rivista “Eowyn” – alternative femminili. Fu il canto del cigno del GPDPN. Gigi Toso, che aveva funzione di presentatore, ebbe la bella idea di farmi fare anche un monologo da cabaret, senza avvisarmi prima…ma andò bene.
Vi parteciparono alcuni fra i “vecchi”: Fabio Ragno, Gigi ed io e le nuove acquisizioni, Paolo Favero e Junio Guariento. Fu appunto con quest’ultimo che ci presentammo come Compagnia dell’Anello a Montesarchio al primo fra i Campi Hobbit storici.
La saga di Tolkien in quegli anni era diventata parte integrante del linguaggio espressivo della nuova fase metapolitica intrapresa dalla gioventù missina. Il sistema valoriale espresso da Il Signore degli Anelli era sentito come parte del nostro DNA, così come forte era l’identificazione con il carattere dei personaggi della trilogia. L’opera tolkieniana dimostrava che anche dei piccoli esseri quali erano in effetti gli Hobbit, potevano essere determinanti per sconfiggere l’Ombra che minacciava la Terra di Mezzo. Che cos’è stata se non una “rivolta contro il mondo moderno” e una denuncia chiara della società industriale, la “guerra di liberazione” intrapresa dagli Hobbit per scacciare dallo loro terra Sauron, il suo totalitarismo e le sue macchine infernali che sporcavano la natura ? Ecco, molti di noi si sentivano proprio come quegli Hobbit, piccoli ma combattivi.
Come avete aggregato la band?
Piano piano, nel tempo. La Compagnia ha vissuto questi quasi quarant’anni di vita puntando sempre sull’indipendenza del gruppo e sulla complementarietà dei componenti. Ognuno con le proprie peculiarità, pari inter pares. E’ stato un lavoro lungo e paziente, durato una vita e, come tutte le esistenze, con alti e bassi, momenti difficili e giorni felici. Ai due fondatori si aggiunsero nel tempo Adolfo Morganti (percussioni), Gino Pincini (piano) e poi, nel 1982, anche Marinella e Massimo Di Nunzio, rispettivamente alle tastiere e alle chitarre, inoltre Marco Priori (batteria) e Alessandro Chiarelli (violino). Collaborarono in tempi diversi anche Fabio Giovannini (tastiere), Maurizio Sebastianelli (composizione e clavicembalo), Filippo Cianfoni (flauto traverso) e Paola Fontana Morante (voce), Stefania Paternò e Madina Fabretto (testi). Da molti anni ci affiancano nei concerti anche i figli di Massimo, Alessandro e Andrea che ultimamente hanno anche curato gli arrangiamenti del cd “Quadraginta annos in unum fideles”. Il lavoro di gruppo, un certo modo di praticare l’impersonalità attiva (il Barone mi perdoni…) ci ha sempre salvati dagli individualismi sterili e fine a se stessi. Inoltre, la volontà di migliorare sempre di più le produzioni, la nascita dell’associazione, la consapevolezza di poter contribuire con un lavoro metapolitico ad una battaglia più vasta. Peccato che l’area parlamentare di riferimento non abbia mai capito l’importanza della musica alternativa. Parlo in generale e non mi riferisco alla sola Compagnia. Alcuni gruppi hanno raggiunto negli anni livelli di qualità che avrebbero permesso l’ascolto delle canzoni in ogni ambito. Mi ricordo perfettamente su RAI 1 , “destra” al governo, un concerto del Primo Maggio dell’UGL trasmesso in tv dove furono chiamati a cantare i Cugini di Campagna, Edoardo Vianello e Don Backy… e altri e nessun gruppo di M.A…mentre al Primo Maggio della CGIL vanno a suonare i ’99 posse e i Modena city ramblers. Per non parlare dei parlamentari già missini, cresciuti a loro dire a “pane e musica alternativa”, una volta al potere, intervistati nei vari talk sui propri gusti musicali mai si son sognati di citare UNO dico UNO dei nostri gruppi, “dimenticandosi “ anche solo di accennare la cosa. Con una classe dirigente del genere dove vuoi andare ?
Ironia, note e identità. Come si spiega la scelta di fare musica negli anni settanta ? A che bisogno risponde ?
Andiamo con ordine. La prima fase, quella del GPDPN, vede molti brani scritti con vena goliardica perché alcuni di noi venivano proprio da quell’esperienza. Penso soprattutto a Fabio Ragno di Sunglasse’s policeman blues e di Signor Nessuno. Mi ci misi anch’io con Bar 33…ma era proprio una schifezza e non l’ho più suonata. Poi, nella prima audio come CdA incisa da Junio nel 1978 mentre mi trovavo in Iran per lavoro, furono inseriti anche brani provenienti dal cabaret, penso al Mercenario di Lucera di Pino Caruso, che il GPDPN già eseguiva nei suoi concerti e Boris e Ivan che credo fosse di Pippo Franco. Comunque già nella fase ante CdA uscirono canzoni divenute poi “storiche” della Compagnia come Jan Palach, La foiba di San Giuliano, A Piero e, per prima, Padova 17 giugno.
Inizialmente si trattò di cantare il nostro presente quotidiano e i testi furono concepiti di getto e rivolti verso l’ambiente militante, quello di appartenenza per quasi tutti noi, ma, già agli inizi degli anni Ottanta, l’esigenza di parlare per metafore, mantenendo intatta la stessa visione della vita, anche fuori dal ghetto, cominciò a farsi sentire con forza.
Fu nel 1983 con il primo lavoro ovvero Terra di Thule che la Compagnia fece il “salto di qualità”. L’ingresso di musicisti semiprofessionisti come i fratelli Di Nunzio contribuì ad alzare il livello dei suoni e degli arrangiamenti al punto tale che se ne accorse addirittura Vincenzo Mollica che, ascoltato l’LP, decise di dedicare alla Compagnia un servizio su Primissima, una trasmissione che allora andava in onda su RAI2. Bella opportunità ma inutile perché di quelle mille copie (incise per aiutare la famiglia a sostenere le spese legali di un nostro ex militante in carcere ) ovviamente non c’era presenza nei negozi…
Ci venne chiesto di fare la nostra parte in una battaglia metapolitica. Lo facemmo credo al meglio delle nostre possibilità. Ma chi avrebbe potuto sviluppare la diffusione delle nostre canzoni e quelle di altri gruppi e perciò ottenere di veicolare determinati messaggi per diffondere una voce diversa da quella del pensiero unico imperante, non mosse un dito. Ancora oggi non so se per viltà, ignavia o semplicemente per ignoranza.
Avete suonato in tutta Italia negli ultimi quarant’anni. Ci sono manifestazioni e concerti che portate nel cuore più di altri ?
Ce ne sono tre, per quanto mi riguarda. Campo Hobbit III a Castel Camponeschi nel 1980. Sotto un planetario di stelle, centinaia di fiaccole accese e Il domani appartiene a noi cantato da tutti, prima sommessamente e poi a squarciagola. Scena che, nella sua intrinseca bellezza, impressionò anche un cronista dell’Europeo che non riuscì a scriverne male.
Poi sicuramente l’ultima volta che suonammo ad Atreju, nel 2008. Dopo aver aspettato che Berlusconi finisse il suo monologo davanti a duecento convenuti, con appena un’ora per montare tutti gli strumenti e la prova dei suoni fatta in pochi minuti, la soddisfazione di avere di fronte almeno duemila ragazzi, provenienti da vari ambienti della città, venuti a cantare insieme Anche se tutti…noi no !
Un’altra occasione indimenticabile per i risvolti davvero comici fu un concerto a Sassuolo nel 2011.Con un tam-tam durato una settimana i centri sociali e tutta la sinistra sassolese si erano stracciati le vesti per la concessione alla Compagnia dell’auditorium “Pierangelo Bertoli” e avevano gridato allo scandalo. Rifondazione comunista arrivò a chiedere le dimissioni del Sindaco distribuendo volantini firmati “distretto ceramico antifascista” (cosa che ci impressionò non poco) e istituendo presidi di vigilanza in città (in questi casi un buon presidio antifascista, si sa, non fa mai male a nessuno) e tutta una pletora di partiti , partitini e associazioni, Anpi in testa, a strillare sul web la propria indignazione. Il concerto si tenne lo stesso e con successo, nonostante il delirio di persone che non avevano mai ascoltato nemmeno una delle canzoni della Compagnia…come i topolini di Pavlov reagivano per un riflesso condizionato.
Il web ha moltiplicato la passione per la musica alternativa. Avete supporter anche all’estero? Il luogo più lontano dove vi hanno chiesto di suonare o inviare i vostri cd ?
Sì, prevalentemente in Spagna, dove abbiamo suonato due volte a Madrid ma vedo nostri brani tradotti anche in russo, in polacco, in rumeno, in tedesco. Fa un certo effetto … se penso che tutto è nato quasi per caso, strimpellando qualche accordo quarant’anni fa.
Gli italiani di Istria e Dalmazia nel vostro canzoniere. Testi che non sono solo parole, ma poesia delle radici in un’Italia che ha dimenticato l’esodo di migliaia di italiani.
E’ vero, la Compagnia, per prima, anche per motivi di vicinanza culturale e geografica, ha contribuito a ricordare il dramma delle foibe e dell’esodo in anni in cui solo il MSI ne parlava. Oggi quei fatti sono ricordati ufficialmente anche dallo Stato italiano attraverso l’istituzione del Giorno del Ricordo e Simone Cristicchi, che fra l’altro, ricorda una nostra canzone nel suo spettacolo, ha girato non solo l’Italia con Magazzino 18 ma è riuscito a portarlo anche agli italiani che vivono attualmente in Istria.
Una delle più grosse soddisfazioni rimane però il ricevere le richieste dello spartito di Di là dall’acqua da parte di insegnanti che fanno cantare ai cori delle scuole la nostra canzone.
L’anno scorso, al raduno internazionale dei Dalmati svoltosi a Jesolo fu il coro dei bambini pronipoti degli esuli a intonare “nave che mi porti sulla rotta istriana…” e quest’anno la canzone è stata eseguita alla Prefettura di Taranto per il Giorno del Ricordo.
E ogni volta riusciamo a commuoverci .
Come tanti piccoli samizdat, le canzoni, fischiettate, cantate, ripetute, fanno riflettere, fanno capire piano, piano ciò che è successo in quelle terre dalla caduta della Serenissima ai giorni nostri. Aver contribuito a far cadere il velo è stato per noi un onore.
L’ultimo cd. Oltre alle canzoni, offre un messaggio ad hoc rivolto al vostro pubblico per vivere in maniera “differente” nell’Italia del Patto del Nazareno ?
Beh, l’idea è sempre la stessa, cambia il momento storico. Anche se la situazione del nostro Paese è drammatica, non bisogna perdersi d’animo. Le esperienze degli anni passati speriamo abbiano insegnato qualcosa a chi di dovere cioè a chi ha scelto di praticare la via politica propriamente detta. Come dice Kali Yuga alla fine “finirà, si finirà” ma soprattutto “tornerà, nostra Patria di sicuro è libertà”. La buona politica deve tornare: oltre a leader “viri” abbiamo bisogno di leader “probi”, nel senso antico del termine. Uomini che non tradiscono gli interessi del nostro popolo per inseguire interessi personali. Mi rendo conto che di questi tempi è cosa rara ma non dobbiamo perdere la speranza. Non vedo dirigenti con un carisma naturale (alla Marine Le Pen, per intenderci) e allora, a supporto di un futuro leader, bisogna costruire classe dirigente. Intorno a poche parole propositive: identità, comunità, partecipazione.
Dieci anni passano in fretta. Il prossimo progetto musicale non sarà per il cinquantennale…
Eh no, stavolta siamo arrivati ad un’età in cui gli anni passano più in fretta…ci piacerebbe fare qualcosa entro il 2017 …se i nostri Soci ci sosterranno ancora una volta!