False notizie, libertà limitate nel nome della democrazia, la storia cancellata o travisata, l’opinione pubblica distratta con varie strategie di persuasione, il pensiero critico eliminato, la lotta contro le fake news potrebbero essere una strategia per censurare l’informazione libera. Lo illustra e dimostra Enrica Perucchietti, giornalista e scrittrice, nel libro Fake News (Arianna ed., pagg. 269, euro 18,60; ordini: ariannaeditrice.it) in nuova edizione aggiornata, ampliata e arricchita di una serie di notizie in 4 D. Libro di successo, Fake News mostra bene e argomenta l’esistenza del “sistema della menzogna”, delle false notizie. Può, in breve, spiegarci come funziona questo potere che controlla i media?
“Il Potere si avvale dei media come propria cassa di risonanza attraverso la divulgazione di notizie preconfezionate e selezionate e dall’altra attraverso la censura e il boicottaggio delle informazioni sgradite, in modo da garantire la propria infallibilità. Anche le democrazie occidentali fanno ricorso alla propaganda e alla manipolazione capillare dell’opinione pubblica: le opinioni, le abitudini e le scelte delle masse vengono indirizzate, come spiegava il nipote di Freud nel 1928, Edward Bernays, – considerato il fondatore delle Pubbliche Relazioni − da un «potere invisibile che dirige veramente il Paese». L’intuizione vincente di Bernays fu che si poteva agire sulla porzione “abissale” della mente umana e affidandosi alla potenza delle emozioni, elaborò una metodologia per plasmare l’immaginario collettivo ed eterodirigerlo non solo verso scelte commerciali e pubblicitarie, ma anche politiche. Si trattava di “ingegneria del consenso”, in quanto il nipote di Freud aveva compreso che la manipolazione poteva essere “ingegnerizzata”, cioè studiata e applicata in maniera efficace e scrupolosa secondo protocolli razionali e scientifici”.
I social e la rete in genere sono definiti “informazione libera” perché chiunque può sinceramente riferire la verità, la sua verità e non c’è un controllo su questo flusso di informazioni. Non può essere invece un pericolo maggiore?
“La rete è un mezzo, un grande contenitore dove si può trovare di tutto, dalle bufale più grossolane a informazioni indipendenti, libere e preziose per la collettività che i media di massa non possono o non vogliono più affrontare. Detto ciò, è ormai innegabile che l’attuale battaglia contro le fake news sia soltanto un grimaldello per poter oscurare e censurare la rete e in particolare l’informazione alternativa. Ne abbiamo avuto conferma in questi mesi di emergenza sanitaria. Il potere approfitta dei momenti di crisi per orientare l’opinione pubblica in modo sempre più sofisticato, imponendo inoltre un principio di autorità: in un orizzonte in cui tutto rischia di confondersi e sparire sotto il peso delle immagini, in cui tutto diventa “relativo” e virtuale, per capire che cosa sia vero e cosa falso è necessario fare riferimento a un’autorità esterna per avere rassicurazioni e sapere come orientare le proprie scelte. Da qua il tentativo di creare un’informazione certificata, ossia le notizie col bollino dei “professionisti dell’informazione”, la nascita di task force e l’approvazione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle fake news”.
Lei dimostra anche che esiste una specie di controllo da parte di un potere che ricorda il Big Brother di orwelliana memoria, una censura soft. Come si è arrivati a questo punto?
“Attraverso una vera e propria caccia alle streghe che, strumentalizzando da un lato il fenomeno delle fake news e dall’altra l’attuale emergenza sanitaria, ha indotto nell’opinione pubblica l’idea che esista un pericolo e che tale minaccia sia rappresentata dalla libertà del web. Ritengo che i poteri dominanti abbiano deciso di sfruttare come un pretesto la pandemia per stringere le maglie del controllo sociale grazie all’introduzione di dispositivi governativi basati sulla “biosicurezza” e che tra tali provvedimenti liberticidi ci sia anche la censura della rete e più in generale dell’informazione indipendente, arrivando fino alla patologizzazione del dissenso”.
Sul Covid 19 si dice tutto e il contrario. Ci sono i Vax e i no Vax, chi è a favore dei vaccini e chi no. A prescindere da chi può aver ragione e chi no, possibile che un dibattito sereno non ci sia? Perché, secondo lei?
“Credo che non si voglia un dibattito sereno e un confronto tra le parti e che al contrario si stia utilizzando il metodo del divide et impera per frammentare l’opinione pubblica in due macrofazioni. Coloro che si limitano a criticare l’eccesso delle restrizioni e a rivendicare per esempio dubbi sul vaccino per il Sars-Cov-2 sono stati insultati, denigrati, minacciati, rei appunto di pensare male, come se con il loro pensiero critico potessero mettere a rischio l’intera collettività. Più in generale, durante i primi mesi della pandemia l’informazione ufficiale è stata virtuale, contrastante e a tratti schizofrenica, alimentando una narrazione catastrofistica e generando psicosi di massa. Da qui lo spaesamento e la percezione, a livello pubblico, di un’informazione “virtuale”. Nei mesi successivi, invece, si è notato chiaramente come i media abbiano scelto deliberatamente di continuare ad avallare il catastrofismo e accrescere ansia e psicosi, proseguendo con una criminologia sanitaria volta a mantenere alto il clima di paura e giustificando misure repressive volte evidentemente a tenere alta la guardia fino all’arrivo del vaccino. Il fatto che l’opinione pubblica sia spaccata anche su una tematica così delicata come la pandemia dimostra chiaramente che l’informazione mainstream, sempre più spettacolarizzata, fatica a volte a essere credibile, proprio perché sembra avere abbandonato l’obiettività e la ricerca della verità per sottostare a specifiche linee editoriali o semplicemente per fare ascolti, acchiappare qualche click o vendere qualche copia in più di un quotidiano”.