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CoviDiario. Dal vaccino di massa dei Borbone al piano che non decolla del governo

Giuseppe Del Ninno: "Ci aspetta un futuro di disgregazione sociale, caratterizzata da lavoro e scuola a distanza, dall’uso di mascherine atte sì a proteggerci ma anche a dissimulare espressioni e quindi ad alterare genuini rapporti interpersonali"

by Giuseppe Del Ninno
4 Gennaio 2021
in Cronache, Politica
1
Il test con il tampone anti Covid 19

Sotto la spinta di un’incessante campagna mediatica, è dunque iniziata quella che viene presentata come la prima vaccinazione di massa planetaria contro il Covid-19. Ad oggi, i risultati italiani sono poco confortanti: a fronte di un per ora insufficiente numero di dosi disponibili, risulta vaccinato lo 0,07% della popolazione (scelto principalmente fra gli operatori sanitari), contro, ad esempio, il 12% di Israele.

 

La storia delle vaccinazioni di massa nasce nel Regno delle Due Sicilie, a riprova del fatto che la leggenda nera su quel reame e quella dinastia è largamente priva di basi storiche: sotto il profilo delle opere pubbliche, dello Stato assistenziale, della cultura filosofica, musicale e artistica in genere, dell’avanzamento della tecnica, i Borbone avevano costruito un Regno in grado di rivaleggiare con i più progrediti dell’epoca.

 

Ma torniamo ai vaccini e tracciamo una sintetica microstoria di quello introdotto nel 1798 da Edward Jenner contro il vaiolo, che faceva registrare il 30% di mortalità sui contagiati. Ferdinando IV, trasferita la corte a Palermo sotto la pressione dei francesi, alla vigilia dell’instaurazione della Repubblica partenopea, trova in Sicilia una letale epidemia e, dopo aver fatto vaccinare se stesso e la propria famiglia, organizza una vera e propria vaccinazione di massa. Per debellare la riluttanza specie dei ceti più miseri e ignoranti, mobilita parroci e levatrici, e allestisce una capillare struttura sanitaria per la somministrazione del vaccino. Di più: promuove una lotteria popolare, che prevede generosi premi in denaro per chi si vaccinerà.

 

Da noi, a dire il vero, il problema oggi sembra essere più quello della carenza di forniture del vaccino (e di addetti) che quello di una radicata e diffusa opposizione; il tutto, sullo sfondo di un sistema sanitario depauperato da lustri di tagli ai relativi bilanci e stremato da mesi di pandemia, e con una classe politica divisa non solo fra maggioranza e opposizione, ma anche fra centro e periferia, in contrapposizioni spesso trasversali agli schieramenti.

 

Ora, i numeri sono come i fatti, nel senso che hanno la testa dura; ma proprio come i fatti, sono soggetti a interpretazioni le più disparate. Solo così si spiegano le querelles sul numero dei morti da Covid, sul metodo adottato per contarli e sulle differenze fra paese e paese circa l’andamento della curva dei contagi (e dunque sull’efficacia delle misure adottate da questo o quel governo mondiale). Limitiamoci al paragone con il Regno Unito: i 58.000 positivi di oggi su 500.000 tamponi effettuati si risolvono in un tasso di contagio dell’8,62%; il nostro di questi giorni è schizzato al 17,8%. Significa che ogni 100 tamponi fatti quasi 18 sono positivi. Significa che se l’Italia avesse effettuato non i 67 mila tamponi odierni, ma i 500mila del Regno Unito, ci saremmo trovati di fronte a 89.000 nuovi casi (senza contare la maggiore velocità di diffusione del cosiddetto “ceppo inglese”).

 

In un simile scenario, non mi sento di condividere le valutazioni e previsioni, ora caute ora marcatamente ottimistiche, di tanti responsabili. Ci è stato detto e ripetuto che, per avere un’efficacia ai fini del ritorno alla normalità, si dovrà vaccinare almeno il 60/70% della popolazione entro l’anno. Ebbene, contando tutti i giorni del 2021, senza escludere il sabato, la domenica e le feste comandate, questo significa vaccinare qualcosa come 100/110.000 cittadini al giorno. Un traguardo francamente difficile da raggiungere. E allora? Si parla di obbligatorietà del vaccino, più o meno larvata o surrogata (ad esempio, mediante l’istituzione di una sorta di “patente-salvacondotto” per accedere a questo o quel servizio pubblico o privato); ma sarà in grado di provvedere a tutto ciò un governo ogni giorno più debole e screditato, sotto i colpi – palesi e occulti – non solo dell’opposizione, ma anche di tanti alleati? E che dire della vaghezza – a dire poco – di un piano vaccinale e della prevedibile farraginosità imputabile, anche in questo caso, al corpaccione della pubblica amministrazione?

 

Dovremo attrezzarci, sotto ogni punto di vista, per una lunga, lunghissima guerra al virus, che andrà combattuta non solo sui fronti sanitario ed economico, ma anche su quello politico – nello spazio domestico e in quello internazionale – e su quello del costume, pubblico e privato. Come pensare all’apertura delle scuole, in costanza di pandemia e nell’impossibilità di disporre in tempi brevi i necessari potenziamenti del trasporto urbano? Come continuare a cercare di bilanciare chiusure e aperture di esercizi commerciali e luoghi della cultura, in modo da arginare i contagi, consentendo riprese che non potranno più essere a singhiozzo e scongiurando il ricorso prolungato a cassa integrazione, blocchi di licenziamenti e risarcimenti (peraltro tardivi e insufficienti)?

 

Mentre scrivo siamo ancora in bilico fra regioni rosse, arancioni e gialle e sotto la cappa del coprifuoco e del blocco (conclamato ma edulcorato da cento eccezioni) di ogni mobilità. Insomma, ci aspetta un futuro di disgregazione sociale, caratterizzata da lavoro e scuola a distanza, dall’uso di mascherine atte sì a proteggerci ma anche a dissimulare espressioni e quindi ad alterare genuini rapporti interpersonali, dalla rinuncia alle feste popolari, alle manifestazioni religiose o laiche (stadi, teatri, sale cinematografiche, chiese), perfino alle riunioni familiari.

 

Al solito, i più colpiti saranno, col protrarsi di tali provvedimenti, i più fragili, e cioè i giovani e gli anziani, forniti forse delle necessarie protezioni, ma privati di quella dimensione comunitaria che costituisce il fondamento di ogni società davvero sana.

 

 

 

 

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

Tags: Borbonecovidgiuseppe del ninnovaccini

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Comments 1

  1. Guidobono says:
    2 settimane ago

    La nostra società era malata prima, certamente lo sarà di più durante il protrarsi della pandemia, della quale nessuno intravede la fine…

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