“Dante Alighieri è il nostro princeps, l’Inizio da cui discende l’unità geospirituale, culturale e linguistica della nostra civiltà. E’ il poeta, il profeta, il fondatore, lo scrittore e il testimone originario dell’Italia nostra. E’ l’apice solitario in cui si incrocia il mondo classico; l’Imperium romano, il pensiero antico, la cristianità […] Dante è il ponte tra l’antichità e la posterità, ma anche tra l’umano e il divino, tra il sacro e la storia”. Così Marcello Veneziani -tra i più impegnati intellettuali della destra italiana- introduce la sua ultima fatica letteraria, “Dante nostro padre. Il pensatore visionario che fondò l’Italia”, che non nasconde l’ambizione di superare l’autoreferenziale manierismo e il passatismo delle cattedre vaniloquenti per riscoprire non già -o meglio non solo- il Dante letterato e poeta ma il Dante pensatore, profeta, guida e padre spirituale di quella ardimentosa fede italica di cui fu mirabile fondatore. E Veneziani lo fa benissimo. Lo fa tramite una ricca e preziosa antologia critica della produzione prosastica dantesca che ripercorre l’ostico e faticoso itinerario delle sue opere che si intrecciarono nello sconfinato giacimento ideale e poetico della Divina Commedia: <<non solo il Dante della critica letteraria e dei dantisti più autorevoli, ma il Dante meno conosciuto, più impervio, letto con gli occhi e gli autori del pensiero, della storia e della filosofia politica, dell’esoterismo e della teologia>>. Lo studioso ripropone una raccolta e una selezione degli scritti più densamente entusiastici e significativi, che fanno luce nella selva dell’intricato pensiero dantesco, accompagnati da un’ampia introduzione che descrive un Dante insolito e inesplorato: si concentra qui il prodigioso lavoro di Veneziani. Che ripercorre con un’analisi minuziosa le tappe evolutive della sua speculazione: dalla Vita nova consacrata all’amore e ai sogni giovanili, al Convivio dedicato alla sapienza; dal De vulgari eloquentia che sottolinea il tentativo di unificare la Penisola tramite la lingua, al Monarchia estrinsecante la sua visione escatologica e politica; per finire con le Lettere dall’esilio, che conservano l’invettiva contro la corruzione morale di Firenze e della Chiesa e il sogno di un’Italia finalmente unita, e la Quaestio de aqua et terra, ultimo scritto del Poeta. Il lavoro esegetico dell’autore tende ad illuminare alcune tormentate zone d’ombra del pensiero dantesco e a vivificare quelle idee che contribuirono alla costruzione della sua concezione politica, filosofica, teologica.
Perché questo libro? Fondamentalmente due ragioni, oltre al settimo centenario dalla morte, animano la ricerca di Veneziani. Una è sociale e civile, l’altra è spirituale e trascendentale.
La prima si giustifica nel fatto che, come anche affermava Gentile, Dante è Padre della nostra Italia. Un’Italia che, proprio in virtù di questo, nasce dalla poesia e dal suo mito, prima che dalle armi, e si sostanzia del pensiero degli uomini illustri che, con lo sguardo rivolto a Dante, si impegnarono a pensare la stessa prima che questa nascesse come unità statale e politica: da Foscolo e Alfieri a Leopardi e Manzoni, da Vico e Rosmini a Oriani e Gioberti.
Il Poeta <<vagheggiava la Monarchia universale ma fu il primo a considerare il fulcro di una rinascenza a Roma, nella Roma cattolica, non clericale, dove l’Impero ha dignità pari a quella del Papato>>. La civiltà italiana, culla della romanità e della cristianità, doveva essere universale: non ingabbiata e imbalsamata entro un gretto e ostruzionistico nazionalismo -come pure Berto Ricci affermava- ma faro del mondo e guida dei popoli. Con l’orgoglio ribelle di esule, denunciando il supino servilismo dei suoi concittadini, Dante dà voce non solo agli Italiani fieri ma anche agli
amanti traditi dalla Patria, a quella parte eretica e in controtendenza rispetto ai costumi della società civile.
La seconda ragione, come dicevamo, è escatologica e aiuta a liberarci dall’onnicomprensivo nichilismo moderno e dalla sua tensione laicizzante: Dante si fa portavoce di una visione spirituale della vita e del mondo, <<fondata sull’idea di salvezza e sul primato dell’anima alla luce del divino>>. E a tal proposito Veneziani accompagna il lettore nella comprensione del linguaggio esoterico dantesco, con le citazioni di Evola e Guénon, e sottolinea -come fece Pound- il ripudio dell’usura, che <<offende la divina bontade>>, contro <<la gente nuova e i sùbiti guadagni>>. Insomma: una lettura antimoderna, quella di Veneziani. Dante, scrive, fu molto citato ma poco ascoltato, imprigionato entro le catene dell’infinito presente e relegato nella costrizione alla modernità come dogma. Veneziani, invece, ci invita a leggere le pagine dantesche, come pure fece Borges, con la fede ingenua di un bambino per svincolarsi dall’imperante ossessionedemistificatrice del riduzionismo contemporaneo e per comprendere quel caleidoscopio di pensieri, di passioni, di idee e ideali che si infrangono contro le barriere dell’eterno presente per abbracciare i miti del passato e le speranze del futuro. Ne risulta un volto inedito, quasi controverso, del Poeta il quale veste in queste pagine i panni di pensatore religioso e civile. Con buona pace degli sradicati e dei progressisti.
DOMENICO PISTILLI