Quanto incide ed inciderà, in prospettiva, internet sull’occupazione ? Il quesito è cruciale, in tempi, come l’attuale, di smart working e di industria 4.0, frutto dell’integrazione tra lavoratori e “macchine intelligenti”, in grado di muoversi autonomamente e di relazionarsi con la mano d’opera tradizionale, fino a sostituirla. Non a caso dilagano gli studi e le ricerche in materia.
Secondo uno studio della University of Oxford si stima che negli Stati Uniti il 47 per cento dell’occupazione complessiva sia a “rischio automazione”. Per l’Italia alcune stime indicano che per ogni posto di lavoro creato dai robot verranno meno cinque posti tradizionali. Sul fronte opposto uno studio commissionato dall’International Federation of Robotics (Ifr) ipotizza che saranno tra i 10 e i 14 milioni i posti di lavoro generati nel mondo dai robot.
Una fonte aggiornata è il recente rapporto “Future Jobs” (I mestieri del futuro) prodotto dal World Economic Forum. Secondo questo studio le nuove tecnologie faranno perdere, nel mondo, entro il 2025, ottantacinque milioni di posti di lavoro. Entro la stessa data però le nuove tecnologie 4.0 ne dovrebbero creare novantasette milioni (dodici in più). Significativo è cogliere, per tipologie, i posti di lavoro che si ipotizza possano scomparire e quelli che si creano. A venire meno – secondo lo studio – dovrebbero essere i lavori tradizionali a tempo indeterminato (operai, impiegati, attività a bassa qualificazione professionale). Ad emergere i nuovi lavori ad alto valore tecnologico, con particolare applicazione nel campo della gestione, consulenza, processi decisionali, comunicazione ed interazione. Uno spazio nuovo sembra essere destinato ai lavoratori nella green economy, nell’economia dei dati e nell’intelligenza artificiale, oltre a nuovi ruoli nell’ingegneria, nel cloud computing (la nuvola informatica, in grado di erogare servizi di calcolo, come server, risorse di archiviazione, database, rete, software, analisi e intelligence, tramite internet e dimensionate in base all’evoluzione delle esigenze aziendali)
Quasi il 50% dei lavoratori che manterranno il posto di lavoro nei prossimi cinque anni dovranno concentrarsi sullo sviluppo di nuove competenze, come il pensiero critico, capacità analitiche e capacità di problem-solving (risoluzione dei problemi). Da qui l’emergere di nuove soft skill (abilità) essenziali come la capacità di autogestirsi, resilienza, gestione dello stress e flessibilità. Circa un terzo dei datori di lavoro prevede di adottare misure per creare un senso di comunità, connessione e appartenenza tra i dipendenti.
“In futuro, vedremo che le aziende più competitive saranno quelle che hanno investito molto nel proprio capitale umano, ovvero le capacità e le competenze dei propri dipendenti”, ha affermato Saadia Zahidi, amministratrice delegata del World Economic Forum.
Investire in “capitale umano” significa però – e qui dall’orizzonte globale ci spostiamo al nostro Paese – fare i conti con la scarsa preparazione digitale della popolazione italiana, con la debolezza dei processi formativi degli occupati, con la difficoltà da parte delle imprese a trovare profili specializzati, dotati delle competenze necessarie.
Per rispondere a queste necessità, a livello generale, occorre allora che il Sistema Paese si senta mobilitato per costruire processi formativi e selettivi capaci di rispondere alle trasformazioni in corso, realizzando gli auspicati collegamenti tra Scuola-Formazione-Mondo delle Aziende- Lavoro, abbandonando la politica dell’improvvisazione che ha segnato gli ultimi decenni, ritrovando il senso di una crescita nazionale condivisa, programmata, integrata. Il mercato da solo non basta, laddove c’è bisogno di chiari indirizzi e di un’autentica sinergia pubblico-privato. E dunque di competenze reali che si fanno Istituzioni, attraverso trasparenti e partecipate modalità di rappresentanza/selezione. Tutt’altra strada, tanto per restare sull’attualità, di quanto è stato nell’ambito dell’emergenza sanitaria, dove abbiamo assistito alla moltiplicazione degli esperti, dei comitati, dei gruppi di lavoro, dove oltre al governo centrale e alle regioni si sono trovate ad agire l’Istituto Superiore di Sanità, il Consiglio Superiore di Sanità, l’Inail, l’Agenzia Nazionale Servizi Sanitari, l’Agenzia del farmaco, il centro nazionale per le malattie rare, un Comitato Tecnico Scientifico, un Commissario Straordinario e la Protezione Civile, a cui, a livello regionale, si sono aggiunte le Aziende Sanitarie, le aziende ospedaliere il Comitato Tecnico Scientifico di ogni Regione. La strategia vincente per affrontare il futuro non può insomma essere la burocrazia e la parcellizzazione, mali atavici di un’Italia, che proprio a causa di questi mali è bloccata ed in ritardo rispetto agli altri Paesi.
In un Paese dove le scuole e tutti i luoghi di culto vengono , prioritariamente, chiusi a causa della pandemia è difficile interpretare le strategie di organizzazione di un qualsiasi futuro Ancora più difficile organizzare politiche di governo di fenomeni epocali come la rivoluzione tecnologica o la gestione della intelligenza artificiale Saremo sempre più succubi di dinamiche decise e gestite altrove. I classici vasi di coccio