Il nuovo ordine globale che i potentati economici vogliono imporre ha lo scopo di cancellare preventivamente tutto ciò che riguarda l’identità, la storia, le tradizioni, nel nome della democrazia e dei diritti umani. Lo Stato viene rappresentato come un’entità insufficiente, ridotta, che dovrebbe lasciare spazio a un nuovo genere di sovranità: le decisioni dovrebbero essere assunte al di fuori della struttura nazionale. Quello che già accade in istituzioni internazionali.
Gli intellettuali liberal sostengono che nell’era dei continenti, le nazioni devono affidare le decisoni sul loro futuro a entità sovrastatali e che lo Stato nazionale presto apparterrà al passato perché tutto si evolverà verso lo Stato-mercato, con la libera circolazione delle merci e degli uomini (stadio già raggiunto), senza confini, senza barriere. E il rapporto fra cittadino e Stato non sarà più un legame ereditario, di appartenenza culturale, etnica, storica, ma contrattualistica (lo Stato fornisce beni e servizi e il cittadino fedeltà alle istituzioni). Un contratto che, quindi, all’occorrenza potrà essere sciolto. Una visione contrattualistica lontana dalla mentalità di francesi, tedeschi, norvegesi, spagnoli, proprio perché sentono di appartenere a una determinata realtà da sempre. Un rapporto sancito attraverso la famiglia, la propria città, i parenti, gli amici, i genitori. Mettere tutto questo in discussione ha proprio lo scopo di distruggere, sfrangiare a poco a poco i legami sociali. In questo programma di cancellazione di identità rientra anche il discorso di genere con le varie appendici contronatura (matrimonio fra gay, adozioni da parte di coppie gay di bambini acquistati per mezzo dell’affitto dell’utero di donne sfruttate, somministrazione ad adolescenti di medicine che bloccano la crescita e la definizione del sesso per guidare uno sviluppo sessuale differente, ecc.).
Poiché la gente vive comunque di identità, trasferiranno tutto il loro sentire in altre forme di fedeltà (alla propria razza, alla religione, al gruppo di appartenenza) sviluppando forme di autodifesa ben radicali che finiranno per opporre gruppi a gruppi. Infatti, la gente non è disposta a sacrificarsi o a morire per un contratto stipulato con lo Stato, ma è disponibile al sacrificio per fedeltà a un’idea, a un legame forte che dura da generazioni e si sostanzia con la Patria, con la Nazione che rappresenta tutto il proprio vissuto. Un bel motto inglese recita Right or wrong, my country (Giusta o sbagliata, è la mia patria) che sintetizza bene il senso profondo di appartenenza che supera ogni dubbio. Le fedeltà del resto sono di carattere universale e religioso oppure territoriale, locale e definita. La prima non è una configurazione statuale ma la seconda si richiama evidentemente alla nazione. E appartenere a una nazione significa non solo vivere con persone omogenee per mentalità, senso della storia, lingua, tradizioni, riconoscibilità del proprio passato nel rispetto di quanto è avvenuto alle generazioni che hanno preceduto il singolo cittadino, ma anche avere una visione proiettata nel futuro sulla base degli stessi valori, sedimentati attraverso guerre, sacrifici, storie di famiglia, sulla base di leggi e istituzioni in cui tutti si riconoscono. Coloro che condividono un territorio, una lingua e una visione di nazione condividono una storia.
L’identità è definita bene e l’immissione di altri popoli provenienti da altre parti del mondo altera questo rapporto e non facilita i rapporti nella nazione. Accentua le divisioni, i “nuovi arrivati” specie se troppo diversi , non possono essere integrati e ogni comunità fa vita a sé. Una situazione che li spinge a riaffermare la loro lontananza dalla nazione che li ospita e la volontà, soprattutto, di non “integrarsi”.
Mai come oggi la nazione ha un senso e un’importanza di primo piano, proprio per confermare il senso dell’ identità e la riconoscibilità della propria appartenenza in un’epoca in cui il sistema globale vuole cancellare tutte le specificità. Per trasformare tutta la Terra in un unico mercato globale e gli uomini in consumatori, sradicati dalla propria terra, dalle proprie abitudini, dalle proprie tradizioni. Un’uniformizzazione del mondo che dovrebbe far scomparire la ricchezza dei popoli e dei singoli. Ecco perché il ritorno alla parola Patria si arricchisce di un valore prima sconosciuto: quello di riaffermare con forza l’identità minacciata di un popolo.
Le identità dei popoli non le minaccia ora nessuno, per questo tendono a svanire…
Qui in Europa lo Stato è il principale distruttore dell’identità nazionale.
L’identità si forgia nella negazione altrui, nelle persecuzioni, nelle battaglie per la sopravvivenza o per l’affermazione di un ideale superiore ecc. Ma il cosiddetto nuovo ordine globale non perseguita affatto! A chi viene negato in Piemonte, ad esempio, di coltivare le tradizioni, di mangiare solo piatti piemontesi, di comprare prodotti piemontesi, di parlare, diffondere, insegnare il dialetto/lingua piemontese, di allestire spettacoli teatrali o quel che si voglia in piemontese, di pubblicare riviste e libri in piemontese, di rifondare culti celto-druidici, liste regionalistiche alle elezioni, di farsi battezzare con l’acqua del Monviso ecc. ecc.? Ed allora di che cosa si sta parlando? E lo stesso vale, ancor più per l’Italia…
analisi ineccepibile, dall’uomo ben radicato in un paesaggio geospirituale all’homo consumens del globalismo!
L’identità nazionale non è opera dello Stato (una volta costruiva monumenti di eroi a cavallo, oggi di vittime di sinistra), ma di 100 atteggiamenti, libri, letture, favole, insegnamenti delle elementari ecc. L’identità si sente, non si apprende, soprattutto…
Non concordo col concetto di Eurasia: c’è troppa diversità di popoli di storie di tradizioni di culture per cercare un’unità. Però, di fronte agli americani, ai cinesi e agli altri popoli emergenti a livello continentale si sente la necessità di una vera Confederazione europea (un tempo si diceva gigante economico e nano politico e tale più o meno, anzi peggio, è rimasta la UE). Una Confederazione europea come la immaginava e proponeva Drieu La Rochelle ,di cui riporto queste parole tratte da “Ginevra o Mosca”: “Fra Calais e Nizza io soffoco; vorrei allungarmi fino agli Urali. Il mio cuore nutrito di Goethe e Dostoevskij truffa le dogane, tradisce le bandiere, sbaglia i francobolli delle lettere d’amore”.
chiedo scusa, il commento precedente va riferito all’altro articolo: “Segnalibro. Jean Thiriart e l’Impero della Grande Europa da Dublino a Vladivostok”
Perchè l’ebraismo è sopravvissuto nei secoli? Soprattutto per il tenace rifiuto alla conversione. Ma adesso chi ci obbliga veramente a convertirci al Pensiero Unico, oltre le identità vere o immaginarie? TV, cinema, Social, scuola?
Facciamo chiarezza. L’identtà dei popoli è fatta dall’insieme di fattori: un territorio, una lingua, una etnia, una religione, un’indole. La patria non è qualcosa di astratto come può essere una squadra di calcio, che è una società per azioni, ma, per dirla con Barrès, “il terreno che abbiamo sotto i piedi”. E non solo: io aggiungerei le nostre città, il dialetto che parliamo, la nostra famiglia, i nostri avi e i nostri discendenti, i nostri amici, le altre regioni che fanno parte della nazione (dal latino natio, nascere). Quando parlo di Stato che dovrebbe rilanciare questa identità mi riferisco a un ente organizzatore che si faccia inteprete di tutto questo, uno Stato organico. Ovvio che uno Stato come quello attuale, che non si riconosce di fatto in tutto questo sia “il principale distruttore dell’identità nazionale” come dice Werner. Le identità dei popoli sono minacciate dalle lobby economiche, dal turbocapitalismo, dall’americanismo, dall’immigrazione, dalla tecnica intesa come riferimento principe del progresso, dalla globalizzazione in senso lato. E’ detto tutto – credo – nell’articolo. Non capisco quando Guidobono dice “le identità dei popoli non le minaccia nessuno”. Invece il nuovo ordine mondiale attacca e cancella le identità nazionali e dei popoli in maniera sottile, senza guerre, battaglie, repressioni. Magari su certe questioni decide di varare una legislazione repressiva, questo sì, ma la modernità tutta si basa sull’attacco delle specificità nazionali e regionali in maniera soft, con la stampa, con l’imposizione graduale di comportamenti , di nuove mentalità e mode, ecc. E Guidobono credo che sbagli ancora quando sostiene che “L’identità nazionale non è opera dello Stato (ma di cento atteggiamenti, libri, letture, favole, insegnamenti delle elementari ecc.” E’ l’identità, quando si cristallizza, quando si definisce che diventa libri, insegnamenti, leggi, mentalità parte nel comportamento quotidiano, talaltra con leggi dello Stato. Signor Guidobono, è proprio l’opposto di ciò che lei dice. C’è, poi, la globalizzazione che tende a cancellare tutto ciò nel nome della democrazia, della modernità, dei diritti umani, cioè di un uomo astratto, di una figura che si basa su visioni a usum delphini non legate alla natura e ai processi logici della storia.