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E’ passato quasi un mese dalle elezioni americane più divisive di sempre e al netto di accuse di brogli e di inviti per Trump ad accettare la sconfitta e riconoscere Biden come vincitore delle elezioni, possiamo già fare qualche riflessione. Occorre valutare non solo le consultazioni, come punto di arrivo di 4 anni di mandato e mesi di campagna elettorale, ma anche sulle implicazioni che le due eventualità future possano significare, cioè la definitiva nomina di Biden, o la vittoria finale a sorpresa di Trump.
Il vantaggio di Trump a febbraio e il Covid
Il punto di partenza è febbraio, quando il vantaggio di Trump era insormontabile e il Partito Democratico US doveva ancora decidere chi schierare per provare a riprendersi dalla sconfitta a sorpresa del 2016. L’inizio della pandemia, tuttavia, ha disordinato e ribaltato lo scenario: Trump inizialmente aveva sfruttato l’unione nazionale attorno al “capo” tipica dei momenti di maggiore sofferenza – rally ‘round the flag – accumulando consenso, che è però successivamente sceso, dando un inaspettato vantaggio al suo rivale Joe Biden.
Questo vantaggio, anche eccessivo, tra gli 8 e i 12 punti percentuali su scala federale, suggeriva impossibile qualsiasi rimonta. La spiegazione è stata data quasi esclusivamente alla gestione pandemica sanitaria, mentre quella economica gli ha sorriso negli ultimi giorni di campagna elettorale riducendo drasticamente il distacco. In parte probabilmente ciò è vero, ma andrebbe riferito più a come la ha affrontata, la “narrazione” che ne ha dato. Basti pensare a ciò che è successo in Italia, dove i governatori regionali hanno affrontato in maniera diversa. Qualcuno ha soltanto recitato e, all’arrivo della vera emergenza, le parole sono state affatto vane.
Inoltre bisogna distinguere tra competenze federali e statali, come autonomie interne dei singoli US. In questo senso Trump è responsabile della sua posizione rispetto al Covid, non della gestione di competenza dei singoli governatori, repubblicani più favorevoli all’apertura per questioni economiche, o democratici più attenti invece ai risvolti sanitari. La guerra di Trump contro il Covid è stata, indipendentemente dalla posizione di scetticismo, talvolta fin troppo raffazzonata e caricaturale, pur con tutti i legittimi dubbi che ha sollevato.
Il flop trumpista in Georgia e Arizona
Dal risultato invece appare comunque evidente un primo errore di Trump: Georgia e Arizona sono due Stati tradizionalmente repubblicani, quindi la sconfitta, vera o truccata che sia, oltre che essere inaspettata, dà a Trump un risultato sotto le aspettative, perché il risultato avrebbe dovuto essere sufficientemente ampio di garantire da eventuali possibili brogli. Sull’Arizona sembra che abbia giocato un ormai-ex nemico giurato, storico senatore proprio dell’Arizona, John McCain, il quale tanto fu contrario a Trump (ma non alle rivolte colorate in Siria!) da chiedere che venisse escluso dal suo funerale.
Siccome il sistema elettorale si basa sui Grandi Elettori deve preoccupare molto la vittoria marginale in Texas ai repubblicani, in quanto loro storica roccaforte, soggetta però a cambiamenti demografici per la intensa immigrazione ispanica. Rispetto a Stati centrali inossidabilmente conservatori, ma con pochissimi grandi elettori (es il Wyoming), il Texas ne ha 35: se passasse ai Democratici non ci sarebbe più competizione politica. La Florida è invece uno degli Stati con più elettori (29) ad essere più suscettibile di fluttuare tra le elezioni, perciò è solitamente determinante, in questo caso la vittoria netta sia in Florida che in Ohio – stato in cui solitamente vince chi vince le elezioni presidenziali – hanno positivamente sorpreso.
La storia dei brogli
Un altro errore è stato nella prevedibilità dei brogli. Sicuramente una certa quantità di “errori” avviene in qualsiasi democrazia, anche nella più famosa del mondo. Qui il vero compito di Trump e della dirigenza Repubblicana era di prevedere fino a che punto si sarebbero potuti estendere. Oggi i Repubblicani sostengono brogli estesi quasi all’unanimità, forse anche in previsione dei ballottaggi di gennaio dei seggi del Senato, questo vuol dire che se fosse vero il partito si è fatto trovare impreparato e si è limitato alla cura anziché agire in prevenzione.
Ad oggi il Partito Repubblicano sostiene di avere prove inconfutabili di questi brogli vastissimi e pesantissimi. Non possiamo sapere di cosa si tratti, però il Partito si regge solo sulla capacità della squadra legale di Trump di convincere la Corte Suprema. Ma quanto e come influirà veramente la prossima presidenza, dopo un mandato così diverso dai suoi predecessori?