Le recenti tensioni geopolitiche con la Grecia nel Mar Egeo, le dispute tra Erdogan e Macron: c’è anche questo sullo sfondo del ritorno in Turchia della F1 dopo nove anni, un’altra delle aggiunte causate dagli stravolgimenti del calendario; per altro, proprio alla vigilia dell’evento viene presentata una bozza della stagione 2021, con addirittura 23 gran premi, un record nella storia dello sport ma che già sta facendo discutere per i notevoli sforzi economici e logistici.
Le prove
L’Istanbul Park, situato nel distretto costantinopolitano di Tuzla, mette fin dal venerdì i piloti a dura prova per via di un tracciato particolarmente sporco e oleoso a causa del nuovo manto di asfalto steso per l’occasione; ecco perché, al venerdì sera, si decide addirittura di far transitare delle comuni vetture stradali, per far gommare la sede stradale.
Nelle FP1, l’asfalto scivoloso esalta la guida di Verstappen che è primo, in 1’35”077, davanti al compagno Albon e che va a bissare il primato anche nelle libere del pomeriggio (1’28”330 nelle FP2); il nobile tentativo di depositare la gomma per aumentare l’aderenza, si dimostra in realtà vano, viste le precipitazioni che caratterizzano le FP3 di sabato mattina, caratterizzate dai tanti testacoda: i piloti girano molto poco ma nonostante il meteo, davanti a tutti si conferma il numero 33 della Red Bull, in 1’48”485.
Le qualifiche
La pioggia, attesa protagonista fin dalla mattina, permane copiosa nella prima sessione (che infatti viene momentaneamente sospesa dalla bandiera rossa a 6’56 dalla fine e di nuovo ai 3’30” a causa dell’insabbiamento di Grosjean), aspetto che in tempi di vetture dall’altissimo carico aereodinamico che spesso sembrano andare sui binari, assume un sapore “retrò”, con i piloti che guidano in punta di dita, parzializzando l’acceleratore e cercando sempre il controllo nelle scodate in uscita di curva; l’infinito Q1 vede comunque il primato di Verstappen, in 1’57”485, così come nel Q2, che l’olandese controlla in 1’50”293.
Tutte queste premesse convergono in un Q3 alla fine assolutamente pazzo, giacché dall’acqua emerge la rosa Racing Point di Lance Stroll, che si prende la prima pole position della carriera con il tentativo finale in 1’47”765: il canadese, non nuovo a imprese del genere in condizioni impervie (si ricordi in tal senso la prestazione nel bagnatissimo sabato monzese nel 2017, quando era alla guida della Wiliams) riesce così a mettersi alle spalle Verstappen, fermato il cronometro a 290 millesimi da Stroll dominatore di giornata, e in modalità “motoscafo” fino alla fase decisiva ma che paga una scelta non brillante di gomme (preferendo le Wet, mentre gli avversari diretti erano sulle Intermedie); terzo è Perez e quarto Albon.
Male la Mercedes, soltanto sesta con Hamilton e nona con Bottas; addirittura dodicesimo Vettel, con Leclerc quattordicesimo, in un altro sabato eufemisticamente difficile per la scuderia di Maranello: in parziale soccorso della Ferrari, arrivano le penalità comminate a Sainz (di tre posizioni, per rallentamento su Perez in Q2) e a Norris (cinque posizioni per mancato rispetto delle bandiere gialle in Q1), che fanno salire Vettel e Leclerc in undicesima e dodicesima posizione.
La gara
Con un prologo così, l’attesa per la gara non può che esser spasmodica, connessa alle mille chiavi di lettura potenzialmente sviluppatesi e alla pista bagnata, anche alla domenica.
Per giunta, la griglia vede ulteriori cambiamenti, dal momento che Gasly deve partire in coda al gruppo per aver violato il regime di parco chiuso, mentre i meccanici dell’Alfa-Sauber devono fare gli straordinari per riparare la vettura di Giovinazzi, a causa di una uscita di pista nei passaggi antecedenti lo schieramento; dei venti partenti, gli unici a optare per le intermedie sono le Williams di Russell e Latifi, che scattano dai box, mentre tutti gli altri scattano con gomme da bagnato estremo.
Il delicato spegnimento delle luci vede Stroll legittimare la prima posizione, con Verstappen che fa pattinare gli pneumatici e viene risucchiato dal gruppo, dove si segnala anche un contatto tra Ricciardo e Ocon che costringe il francese ad una sosta anticipata: per evitarli, Bottas finisce in testacoda, consentendo a Verstappen di aprirsi un pertugio e di guadagnare qualche posizione; neanche Hamilton è esente da errori, scivolando su un cordolo e spalancando le porte a Vettel e Verstappen.
Il primo a fermarsi per le intermedie, dopo sei giri, è Charles Leclerc, imitato al giro successivo da Bottas e dando il là alla girandola delle soste: Vettel si ferma, al pari di Hamilton (è l’ottavo giro), Raikkonen Magnussen; al nono si ferma Stroll, seguito il giro successivo da Perez; Verstappen pitta all’undicesimo (dalla vettura austriaca vengono anche levate delle parzializzazioni alle prese anteriori dei freni), tornando in pista davanti a Vettel, impegnato in una strenua resistenza su Lewis Hamilton.
Al tredicesimo giro, il ritiro di Giovinazzi per un problema al cambio, necessita l’intervento di una Virtual Safety Car che permane per le due tornate successive: quando si torna in regime normale, Hamilton ci prova alla curva 12, rischiando di tamponare Vettel ma deve allargarsi e si fa sopravanzare Albon, che di slancio passa pure Vettel, all’interno della curva 7 e si issa in quarta posizione.
Nel frattempo, Verstappen arriva negli scarichi di Perez e tenta la manovra difficile (18 giro) ma osa troppo, arriva largo, e finisce in testacoda, spiattellando gli pneumatici ed dovendo perciò compiere ad un’altra sosta, lasciando al compagno Albon il minaccioso inseguimento del messicano.
A centro gruppo intanto, la corsa viene resa frizzante dai sorpassi di Norris, su Russell prima, e Magnussen poi, che così si inserisce in decima posizione.
Al trentesimo giro si ferma Leclerc, optando nuovamente per le intermedie, al pari del compagno Vettel, giusto poco prima che Albon vada in testacoda (con conseguente pit), liberando ad Hamilton la terza posizione virtuale; Stroll si ferma per il secondo cambio gomme al giro 36 e rientra quarto, alle spalle di Verstappen, lasciando Perez alle prese con Hamilton, che passa al comando del Gran Premio nell’allungo verso la curva 12.
Il secondo set di pneumatici intermedi si dimostra nefasto per l’ex leader Stroll, che comincia a perdere terreno sui battistrada e si ritrova alla mercé dei ferraristi che tra il 39esimo e il 40esimo giro ne hanno ragione, con Leclerc che poi spalanca il DRS e si prende pure la posizione su Vettel; Stroll crolla e si fa superare anche da Albon e Sainz, mentre Hamilton prende il largo e Leclerc mette gli artigli su Max Verstappen e lo passa alla curva 12, con un deciso attacco all’interno, imitato da Sainz su Albon.
Al giro 49 Norris si prende la nona posizione su Ricciardo che nel tentativo di difendersi finisce in testacoda, comunque senza conseguenze; nessuna conseguenza anche per il testacoda al tornantino di Verstappen, nel giro 51, a cui bastano due giri per riproporsi in scia ad Albon, passandolo, e strappandogli la sesta posizione.
Uno Stroll ormai in caduta libera, finisce largo nella prima curva al giro 56: Norris passa così ottavo.
Alla fine, dopo la pioggia, le difficoltà, l’asfalto scivoloso, la bandiera a scacchi saluta la vittoria di Hamilton, vittoria tutt’altro scontata ma che gli spalanca le porte dell’olimpo e del settimo titolo mondiale.
Il terzo settore dell’ultimo giro però è da cuori forti: Leclerc passa Perez ma poi, dopo che questi gli ha ricambiato la cortesia, arriva lungo e lascia il fianco scoperto a Vettel, che si prende un podio insperato alle spalle del messicano, con Leclerc che alla fine respinge l’assalto in extremis di Sainz, quinto all’arrivo, e bravissimo insieme al compagno Norris, ottavo alla fine e autore del giro più veloce con annesso punto bonus (in 1’36”806 al giro 58), ad aggiustare il fine settimana della McLaren che pure era partito malissimo.
Alle spalle di Sainz, punti iridati anche per Verstappen e Albon, Norris, Stroll e Ricciardo.
Fatti, misfatti e commenti dal GP
Come spesso succede di fronte a gare caratterizzate dalle condizioni meteo variabili, ad emergere sono i piloti che posseggono le maggiori sensibilità di guida, mettendo al servizio della squadra l’esperienza e la capacità di saper rischiare al momento giusto; peccato soltanto che la possibilità di attivare il DRS nella seconda parte di gara (decisione della direzione, visto che il dispositivo in condizioni di bagnato non si può utilizzare), abbia in parte eliminato il gusto dei duelli vecchio stile che pure si erano visti all’inizio (come Vettel aveva fatto tenendosi dietro prima Verstappen e poi Hamilton con tutte le sue forze), con i piloti costretti a forzare le traiettorie pur di passare, non potendo contare su alcuna forma di ausilio.
In ogni caso, la copertina di questa domenica turca non può che essere tutta per Lewis Hamilton e per la sua novantaquattresima vittoria in carriera che lo ha lanciato a quota sette titoli piloti: un risultato impressionante che corona una lunga rincorsa che ha portato l’inglese dalle categorie inferiori all’olimpo della Formula 1, sempre nel ruolo di protagonista.
In questi anni l’inglese è stato spesso criticato per essere un dominatore sì, ma facilitato dallo schiacciasassi di cui era alla guida; eppure, se si prendono le stagioni successive alla sconfitta del 2016, quando a trionfare era stato il compagno di squadra Rosberg, Hamilton ha saputo maturare, crescere, rafforzando quella forza mentale che ancora prima del piede destro sull’acceleratore, è il requisito inscindibile per arrivare in vetta e che separa un buon pilota da un campione, in grado quest’ultimo di saper interpretare una gara in tutte le sue fasi, leggendone le peculiarità e sapendo adattarsi alle mille variabili che la F1 moderna porta con sé.
In questo, la vittoria di Istanbul è un esempio lampante di quanto il 44 sia ormai in grado di aspettare, come i predatori, che la corsa gli venga incontro, e poi di azzannarla senza appello, senza nel contempo strafare e anzi, gestendo gli pneumatici, dopo il sorpasso su Perez, nella migliore maniera possibile ed evitando una sosta in più, che in ogni caso, grazie al buon margine messo in cascina, non avrebbe in alcun modo messo in pericolo il successo e sarebbe stata ultimata i perfetta sicurezza: un successo “alla Michael Schumacher” dunque, costruito sulla tattica, sulla gestione ma anche su una proiezione progressiva di potenza che si è irradiata nella seconda parte di gara ; e così, proprio insieme, a quota sette titoli iridati, Hamilton si affianca, in questo esclusivo plotoncino, all’ex pilota della Ferrari, di cui aveva preso il posto in Mercedes nel 2013, in un’ideale passaggio di consegne, quando aveva fatto questa scommessa personale in cui pochissimi avevano creduto e c’era forse anche questo, insieme ai mille altri pensieri, nelle lacrime finali versate dall’anglo-caraibico nel sotto casco durante il rientro ai box.
E invece, l’era turbo ibrida inaugurata nel 2014, si è trasformata in una lunga e irresistibile serie di successi e di record macinati: purtroppo però, tutto questo non è bastato a cancellare una domenica da dimenticare per Bottas, che per quanto coinvolto nel groviglio del via, è stato poi autore di altre sbavature ed è sprofondato, doppiato, fino alla quattordicesima posizione finale; grande delusione anche in casa Red Bull, che aveva lungamente dimostrato di poter ambire al colpo grosso e che soprattutto nella prima parte aveva fatto segnare dei tempi rapidissimi.
Le sbavature di Albon e il nervosismo di Vertsappen (che già si era lasciato sfuggire la partenza al palo sabato), hanno portato la scuderia austriaca lontana dalla vetta e hanno lasciato il ruolo di principale antagonista della Mercedes alla Racing Point: crollato Stroll nel secondo stint, dopo aver controllato nettamente e agevolmente la metà della corsa, nel mutevole profluvio turco, Sergio Perez si è preso un grandioso “argento”, facendo salire enormemente le proprie quotazioni in vista del 2021, al momento è ancora senza un volante.
Non bene nemmeno l’Alpha Tauri, al pari dell’Alfa-Sauber (che pure festeggiavano il loro 500esimo GP e che si erano entrambe qualificate in Q3), mentre la Renault torna a casa con un solo punticino.
Tra le note positive, sicuramente v’è la McLaren, brava a raddrizzare una qualifica pessima grazie alla solida condotta di Sainz e ai bei sorpassi di Norris, sottolineati dalle comunicazioni radio esilaranti e impreziositi dal punto bonus finale.
La chiosa finale però, non può non essere, Hamilton permettendo, per la grande sorpresa di giornata, quella Ferrari “garibaldina”: rimasto a casa Mattia Binotto (per seguire gli sviluppi futuri in chiave 20121 e 2022) i suoi due piloti hanno mostrato una grinta d’altri tempi, concedendo nel contempo un minimo di serenità in vista delle tre gare conclusive della stagione che la F1 del 2020 si prepara ad affrontare.
Accanto al solito Leclerc, in grado di mettere le mani perfino sulla coppa del secondo, se non fosse stato per la piccola sbavatura finale ma di cui resta comunque il bellissimo recupero con una prestazione poderosa, legittimata da una strategia finalmente puntuale (dopo una partenza difficile e un primo quinto di domenica piuttosto attendista), il vero eroe della domenica è stato Sebastian Vettel, tornato sul podio per la prima volta da Messico 2019 e non per nulla eletto “pilota del giorno”.
Il tedesco, che partiva undicesimo, è stato autore di una partenza miracolosa, quarto dopo la prima curva e addirittura terzo alla fine del primo giro, dopo l’unico errore di giornata di Hamilton: nonostante il ritorno degli avversari, e subito addirittura il soprasso di Leclerc che pure nei primissimi giri era sprofondato molto più indietro, Vettel non si è mai scomposto e ha amministrato sapientemente il mezzo meccanico, come solo un quattro volte campione può fare, aspettando che la gara evolvesse, per poi inserirsi sul podio dopo le confuse fasi finali.
Certo, questa perla non potrà sparigliare le carte in tavola ma saprà rendere meno amaro un addio, quello di Vettel alla Ferrari, dopo un anno tormentato e deludente, portando finalmente una nuova diapositiva nell’album dei ricordi della storia tra Vettel e Maranello.