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Mentre scorriamo la collezione di dpcm varati negli ultimi giorni dal Governo italiano, aspettiamo con rassegnazione le modifiche alle misure di contenimento dell’epidemia, e ci stupiamo molto poco per quest’ennesima carrellata di interventi normativi.
Non ci stupiamo perché, soprattutto grazie alle dirette Facebook del Presidente Conte, nel 2020 la legislazione emergenziale è entrata nella vita quotidiana degli Italiani. Li ha abituati all’idea che la politica sia una sorta di show televisivo a puntate in cui attori improvvisati adottano misure a cascata, procedendo a tentativi, con l’unico vero obbiettivo di vincere il Telegatto di politico più amato dal web.
Negli ultimi mesi, infatti, il dibattito politico ha perso ogni formalità, facendo dimenticare a milioni di Italiani che il Parlamento dovrebbe essere l’unico luogo della politica.
Ci siamo ritrovati, così, bombardati dagli interventi carnevaleschi di arrangiati bulletti televisivi che, ora monopolizzavano i canali dell’informazione per dichiarare che “il Governo non lavora col favore delle tenebre” (colpo di scena e ovazione degli spettatori), ora suggerivano il sesso con la mascherina, e il giorno dopo auspicavano la chiusura di un Paese schiavo di “Allauin”, scatenando l’ilarità e l’indignazione del pubblico (del resto, per questi cercatori della ribalta, “bene o male, l’importante è che se ne parli” come insegnava Oscar Wilde).
Eppure, ci fu un tempo in cui la politica si faceva in parlamento e non in TV o sui social network, la Gazzetta Ufficiale della Repubblica era il canale per la divulgazione ordinata delle fonti di legge, e lo strumento ordinario per adottare i provvedimenti legislativi erano le leggi dello Stato, e non una serie disordinata di decreti ministeriali.
Oggi, invece, ci ritroviamo a combattere coi dubbi su cosa possiamo o non possiamo fare, meravigliandoci per l’invito dell’amico di turno ad un aperitivo “distanziato” a casa sua, visto che secondo l’ultimo dpcm “è fortemente raccomandato non ricevere persone diverse dai propri conviventi”. E l’incertezza regna sovrana.
E, se all’inizio gli stratagemmi con cui il Governo aveva bypassato il Parlamento potevano essere quasi giustificati dalla situazione di emergenza causata da un Covid che ci aveva presi in contropiede, oggi, alla seconda ondata, dopo un anno di esercitazioni ed esperienze catastrofiche, non pare più accettabile che i nostri governanti continuino ad avvalersi di scorciatoie che scavalcano il dibattito con le altre forze politiche ed impediscono un coinvolgimento trasparente degli elettori.
Partiamo dalla disciplina dei dpcm: questi decreti, che per il Governo hanno il grande vantaggio di poter essere emanati senza coinvolgere il Parlamento, in base alla L. 400/1988, sono atti di livello secondario rispetto alla legge, e dovrebbero essere adottati soltanto in materie marginali o per attuare o eseguire leggi di livello primario. Tuttavia, l’Esecutivo è riuscito a superare questi limiti con una trovata ingegnosa, ai limiti della legittimità costituzionale: attraverso un decreto-legge, il Governo si è auto-conferito, in modo generico, l’autorizzazione a adottare qualunque misura per “contrastare la diffusione del Covid-19”.
Si noti che i decreti-legge, in via di principio, dovrebbero essere atti provvisori, adottati soltanto in situazioni di straordinaria necessità ed urgenza, e dovrebbero comunque contenere misure specifiche e di immediata applicazione.
Invece, distorcendone la funzione, Conte e i suoi sono riusciti a garantirsi i poteri di uno Stato assoluto e ad annullare il dibattito con le opposizioni (al momento il decreto che sorregge tutta la baracca normativa è il n. 19/2020).
Ciò che più di ogni cosa spaventa di questa incauta stagione di dpcm, è il risultato a cui inevitabilmente ci sta conducendo: un medioevo legislativo che pare averci fatto dimenticare quali sono i valori su cui si fonda la nostra Repubblica. Ci troviamo difronte ad un imminente collasso del sistema democratico per cui, lo stesso Conte, è stato costretto a riconoscere implicitamente di aver causato una pandemia normativa, un reticolato di provvedimenti del Governo, dei governatori regionali, dei comitati tecnici, delle giunte comunali, che si smentiscono e si contraddicono a vicenda a distanza di pochi giorni, rendono impossibile alla comunità civile capire cosa è lecito e cosa no (si veda in questo senso l’intervento di Conte alla festa de “il Foglio”).
Quelli poi che, come noi, amano la libertà, non hanno potuto fare a meno di storcere il naso vedendo riapparire nei tanti decreti lo spettro dello Stato medievale e le sue pericolosissime raccomandazioni.
Ad aggravare la crisi della certezza del diritto, infatti, sono proprio quelle formule che annientano il principio fondamentale di un ordinamento democratico secondo cui “tutto ciò che non vietato è consentito”.
Ricordiamo con desolazione le parole di un medievale Roberto Speranza che, pochi giorni fa, invitata gli Italiani a denunciare i party privati, senza che ci fosse una regola che specificasse cosa dovesse intendersi per feste private e, soprattutto, senza una norma che le vietasse espressamente.
Insomma, Conte e i suoi stanno dimostrando di aver fatto tesoro delle molte esperienze che hanno impoverito la storia del nostro bel Paese, sapendo bene che se cresce l’incertezza della legge e diminuisce la trasparenza delle Istituzioni, aumenta il potere assoluto dei governanti.
Un’ultima considerazione.
L’unica scusante per i provvedimenti che continuano a limitare le nostre libertà dovrebbe ritrovarsi nello stato di straordinaria emergenza in cui versa il Paese. Ma può parlarsi di emergenza straordinaria dopo un anno di esperienza e di preparazione? E ancora, se il perdurare dell’emergenza è dovuto all’incapacità del Governo di gestire la pandemia, siamo sicuri che l’emergenza sia ancora una giustificazione valida all’atteggiamento autoritario dell’Esecutivo? O è piuttosto un facile ripiego per continuare a calpestare la nostra povera democrazia?
@barbadilloit