Ci sono pietanze che vanno giudicate non con il metro severo dello chef, ma con quello più indulgente ed umanamente ricco del buongustaio, più attento ai sapori e agli odori che alle forme e all’apparenza. La stessa considerazione vale anche per le scritture poetiche di questi trentasei autori raccolte e presentate da Daniele Giancane in un volumetto intitolato Odi alimentari edito da Tabula fati. Nella presentazione Giancane ci spiega la genesi di questa singolare (e gustosa) opera, che nel titolo fa il verso alle famose Odi elementari di Neruda. Nel corso di un laboratorio di scrittura poetica da lui avviato su facebook con una quarantina di persone (alcune della quali non si erano mai cimentate nella scrittura di poesie), che prevedeva comunque un rigoroso percorso metodologico articolato in più tappe, c’è stato un momento che non solo ha suscitato il più vivo interesse dei partecipanti, ma ha dato «notevoli frutti» e risultati in qualche caso sorprendenti. Di qui l’idea di raccoglierli in volume e offrire letteralmente al lettore versi e sapori tali «da leccarsi le dita». Ovviamente, non tutte le poesie raggiungono quel ritmo, quella petite musique, che vale senz’altro a distinguere la poesia dalla prosa, ma tutte sono gradevoli, divertenti, efficaci. Del resto, come ben spiega Giancane, «i laboratori di poesia non servono a far divenire poeta chi non lo è, ma sono estremamente utili a far emergere le potenzialità che si annidano latenti in tante persone che affidano i propri pensieri e le proprie emozioni ai versi. Oppure ad approfondire itinerari e tecniche a chi ha già compiuto un suo percorso». E tutte le poesie, come dicevamo, sono valide (al di là di qualche limatura che sarebbe stata opportuna), sono parimenti convincenti, rivelano spiccate predilezioni e precise personalità (in appendice sono riportate sommariamente le note bio-bibliografiche di ciascun autore). Tutte riescono a mescolare meravigliosamente ai sapori i saperi. Così ritroveremo i piatti delle tradizioni culinarie di varie regioni d’Italia, con una prevalenza di quelle del Meridione: dalla parmigiana alla mora romagnola, dal risotto ai frutti di mare alle orecchiette alle cime di rapa, dall’umile pane e pomodoro alla più sofisticata farinata, dal succulento timballo di maccheroni alla semplice pasta e pomodoro. E che dire poi degli odori? Del pane fatto in casa: «Sparso il tuo profumo per la casa, aspetti» (Nicola Accettura) «dove la fragranza si mescola / agli odori dei fiori» (Pasquale Montalto); del croissant: «Profumo di favola bella / e di sfoglia gentile» (Orietta Degiorgi); della frisella: «si sparge nell’aria un profumo delicato di Murgia» (Anna Cellaro); del purè di fave e cornaletti (chi voglia sapere che cosa sono i cornaletti lo scoprirà leggendo): «L’amore per la terra mai si perde / e nei piatti fa spettacolo d’oro e di verde» (Mara Venuto); delle rape stufate: «L’odore di rape stufate è una meravigliosa creatura» (Mariella Ceglie); del caffè: «Non c’è una mattina che non mi svegli il tuo profumo» (Francesco Spilotros). Non è certo un caso se il filosofo Nietzsche scriveva che il naso è il più filosofico dei sensi. Last but not least, ci sono i dolci, dalla millefoglie con mousse alle fragole allo zabaione, dal gelato alla sfogliatella, e la frutta, dalle ciliege alle clementine, dalla marmellata d’amarene alle arance.
Vorremmo poter citare uno per uno tutti gli autori, almeno qualche loro verso, ma trentasei è davvero un numero proibitivo! Ci accontentiamo allora di citare almeno due tra quelli che, a nostro avviso, si segnalano particolarmente per la loro poeticità ed efficacia: uno è un testo in dialetto salentino, godibilissimo e teatrale di Alfredo Vasco, intitolato Li panzerotti (i panzerotti), troppo lungo da riportare, in cui c’è un protagonista che con la scusa di tener lontano il demonio («Vade retro panzerotto! U diavolu sinti. U diavulu tintatori»), si fa una scorpacciata di questo tipico cibo barese (paragonabile, per chi li ha assaggiati, solo al nettare degli déi), indifferente a «li gastimi» (le bestemmie) degli altri convitati, privati di un tale ben di dio. L’altra è una breve poesia di Grazia Procino che sa unire le corde del ricordo al paesaggio pugliese e ad un cibo popolare e semplicissimo, com’è il pane e pomodoro:
«Nel tuo condire il pane / con l’olio biondo / era l’estate lunga / delle cicale canterine. / Versavi sul pane alto / di grano duro, il sole, rosso e succoso. / Mani non più ferme, nonna, / mi porgevano il sale e il sole.»