Sta succedendo di tutto, nel centrodestra. Ma mentre ci si ostina sulla contabilità elettorale, sui risultati come fossero partite di calcio, si stanno consumando alcuni casi dei quali – nella dialettica minimizzatrice e negazionista del dissenso che da almeno trent’anni anima il centrodestra – rischiano di avere invece effetti devastanti.
Salvini, infatti, continua a menare fendenti contro Raffaele Fitto la cui candidatura in Puglia è stata inutile a riportare la Regione nell’alveo del centrodestra. Dopo le mazzate già inviate dalle colonne del Corriere della Sera, ora il capo della Lega sceglie la Gazzetta del Mezzogiorno per bastonare l’ex governatore pugliese che aveva sognato il ritorno in sella
Col senno del poi non mi piace dare giudizi. Più che una questione di impuntatura sul nome, penso che l’errore sia stato proporre un ritorno al passato a una Regione che invece ci chiedeva di guardare con piu’ coraggio al futuro. Ed è quello che faremo, con ancora piu’ convinzione, a partire da oggi
Non è solo una questione di galanteria istituzionale, né di garbo politico. Matteo Salvini sta ricordando agli alleati la responsabilità della sconfitta, però si perde e si vince insieme. Se Fitto non gli piaceva, sussurranno in tanti, poteva andar da solo. Ma la questione, forse, è ancora diversa. E restando in tema di democristiani, come diceva quel Belzebù famoso, a pensar male si fa peccato ma spesso si azzecca. Proviamo a pensare male.
Salvini non è così sprovveduto da non capire che Raffaele Fitto non ha lo stesso peso politico di Stefano Caldoro. Per una ragione molto semplice: Fitto, coi suoi Conservatori e Riformisti, non è uno dei tanti esponenti locali di un partito della coalizione ma ha dignità, dicendola ripercorrendo la nomenclatura Pdl, di co-fondatore in Fratelli d’Italia, che ha portato dentro il gruppo dei Conservatori europei.
Fitto ha eletto i suoi in Puglia, vero. Ma sodali e amici ne ha eletti in ogni dove, specialmente al Sud. Anche in Campania. Attaccando Fitto, Salvini sta (consapevolmente?) lanciando una granata nello stato maggiore di Giorgia Meloni che dovrà pur difendere il suo socio (per quanto di minoranza…) se non vorrà perderlo e, con esso, rischiare di dover salutare una fetta di consensi del partito al Sud.
Resta l’impressione di una resa dei conti, di nervi scoperti e, soprattutto, di una situazione pronta a esplodere da un momento all’altro. Non è certo questa l’aria che dovrebbe tirare in una coalizione che rivendica di aver vinto le elezioni. Al di là delle esortazioni fideistiche di prammatica all’unità.