L’esito del referendum per la riduzione dei parlamentari e delle elezioni regionali ci ha confermato che siamo il paese dei paradossi e delle contraddizioni. Dai nostri mugugni, sembra che ci sia un diffuso desiderio di cambiamento, poi si va a votare e gli spostamenti sono minimi e comunque tali da non comportare alcun mutamento. Prendiamo il referendum: il 97% dei parlamentari si è espresso per il taglio di 345 rappresentanti del popolo; ebbene, il 30% di questo popolo ha invece manifestato il proprio disaccordo con i suoi pretesi rappresentanti.
Questo aspetto non è stato l’unico a denotare la (inarrestabile?) decadenza dei partiti e il loro arroccarsi in una torre d’avorio lontana dalla realtà: De Luca ed Emiliano, trionfatori nelle regioni che già governavano, sono notoriamente invisi alle gerarchie del PD, e quanto a Zaia – altro trionfatore, stavolta in casa Lega – lui stesso ha ribadito che non intende spendere questo suo successo in campo nazionale. E poi c’è sempre quel 35/40% di astenuti, molti dei quali nauseati dalla politica dei partiti.
Dal voto, si è detto, è uscito rafforzato il governo, ma ricordiamo che, per una volta, i sondaggi lo avevano previsto: ben prima delle consultazioni, aldilà delle beghe e delle illusioni – vere o solo conclamate – interne ai partiti, l’indice di gradimento del presidente Conte era già altissimo. Complici e forse determinanti, la pandemia e il burrascoso orizzonte economico: in tempi di tempesta, meglio star fermi e stringersi intorno a chi, bene o male, ha il compito di proteggerci. Del resto, questo fenomeno si era già visto in Europa, in quella Unione che tutti dicono di voler cambiare, ma che ha fatto tremar le vene e i polsi a quanti, nel chiuso delle cabine elettorali, da Bruxelles a Varsavia, da Vienna a Roma, da Parigi a Francoforte, da Madrid ad Amsterdam ad Atene, hanno rinunciato alle velleità sovraniste e populiste, per confermare l’establishment di sempre.
Alla radice delle rivoluzioni sta spesso la disperazione, e nel nostro continente, malgrado le crisi, si sta ancora troppo bene per scendere in piazza o anche soltanto per votare i sedicenti alfieri del cambiamento. Insomma, la vischiosità – caratteristica peculiare dell’elettorato italiano, appena scosso dalla ventata pentastellata – va di pari passo con la paura, specie quando la pancia è piena. Se poi c’è da dare uno schiaffo ai politicanti – la “casta” che, unica, si sottopone a periodici esami – tanto meglio, e questa è la spiegazione di quel 70% che ha confermato il taglio dei parlamentari.
E l’opposizione? Qui interessa poco sapere se abbia vinto, perso o pareggiato. Sta di fatto che, dopo la vittoria mutilata delle europee, è riuscita solo a conseguire successi marginali seppur significativi (l’Umbria e le Marche), fallendo gli assedi contro le roccaforti nemiche più agguerrite. E sono patetici i tentativi di ottenere elezioni anticipate, con la pretesa delegittimazione dell’attuale parlamento: a parte il fatto che non c’è una legge elettorale utilizzabile e quella in cantiere porta il segno nefasto del proporzionale (oltretutto con il rafforzamento dei partiti – come abbiamo visto, loro sì delegittimati – e del loro consolidato potere di scelta dei candidati), era stato ben chiarito che l’eventuale taglio avrebbe riguardato il nuovo parlamento. E con l’imminente pioggia di denari dall’Unione Europea la prossima elezione del nuovo Capo dello Stato, figuriamoci se tutto l’establishment politico e istituzionale vuol rischiare di dare il pallino all’avversario (a proposito, ancora patetiche le invocazioni per essere ascoltati in materia di programmi per la spesa del “recovery fund” et similia: invocazioni che, se accolte, andrebbero comunque a merito della maggioranza di governo e, se respinte, confermerebbero l’impotenza delle opposizioni).
Insomma, per il centrodestra, si annuncia una vera e propria traversata del deserto. D’altronde, quando si commettono errori in serie (vedi la scelta di candidati come la Borgonzoni, Caldoro e Fitto, ma anche, alla luce dei fatti, l’uscita dal governo gialloblù e forse anche la mancata votazione per la Von der Leyen), non si può pensare di vincere sul serio. A meno che non abbia giocato, anche in questo campo, la paura: paura di misurarsi con una congiuntura difficilissima, che però si ripresenterà a breve, ad esempio con le candidatura da opporre alla Raggi, a Roma. Paura di vincere, perché poi devi dimostrare, più degli altri, non solo di saper governare, ma di saper tenere a bada i cosiddetti “poteri forti”, tutti contrari al centrodestra, dall’Europa alla magistratura, dalla finanza internazionale ai mass media, dai sindacati alla burocrazia. Ma, parafrasando Machiavelli, con la paura non si reggono li Stati.
La cosiddetta destra ha presentato esponenti piuttosto mediocri, incolori, che non hanno captato il consenso della strada. Certo, anche la paura di vincere, per governare in un momentaccio….
Partirono per dare spallate , tornarono con le clavicole fratturate
Ma quando lo si capirà che con questa classe dirigente di cdx non si va da nessuna parte?
Ennesima dimostrazione che non necessariamente chi resta a casa ha torto
Forse vuole solo risparmiare energie invece di agitarsi come un criceto nella ruota
Ad maiora
Intanto la MELONI avanza in modo dirompente e convincente….E l’unico di DESTRA (veramente) Ha vinto, il suo nome èFrancesco Acquaroli..
Qualcuno ha notizie di Renzi e dei suoi seguaci?
Sembra destinato all’irrilevanza politica. Il suo partitino ha fatto un flop enorme.
Guardando i dati riferiti alle regioni ( Ghisleri oggi sulla Stampa) andate al voto è evidente il tracollo di voti della Lega , mentre il “successo” della Meloni pare solamente un travaso di voti di cui ha beneficiato dai delusi di Fi Tanti ne ha persi Fi tanti ne ha guadagnati Fdi ( 350000) Rimane un grave problema di prospettiva e di visione del futuro su cui strutturare una linea politica che aspiri a governare Il vantaggio sul csx si è quasi esaurito aggiungendosi , però, una grave prospettiva di conflittualità sulla leadership della coalizione Nulla che faccia presagire un cambio di prospettiva e di una rinnovata visione organica al di là delle convenienze di bottega Intanto , sempre guardando le regioni che hanno votato) l’ affluenza in 2 anni è scesa notevolmente Alle politiche del 2018 era al 73% in questi giorni è stata del 58% Un segnale di sempre maggiore disaffezione a cui i leader dei partiti ( tutti) fanno spallucce
Alla crisi della rappresentanza non si vuole o non si riesce contrapporre nulla
Il problema di certe candidature del centro-destra è stato perchè prive di appeal. Candidare gentili signore quasi sconosciute fa molto ‘grillino’ e politically correct, ma non fa vincere, non fa vera ‘destra’ alternativa… De Luca insegna. Uomo, cazzuto, politico di mestiere e la sinistra stravince in Campania…
La riflessione di fondo non può a mio avviso essere l’irrilevanza di Renzi o il rifiuto dei partiti o la bassa adesione alle urne ecc. Ha fallito il progetto di centro-destra, pur di fronte ad un centro-sinistra pidiota-vaffanculista disastroso. Se neppure l’invasione quotidiana della Sicilia, e poi dell’Italia da parte di ‘migranti’ (che tali non sono e lo sappiamo tutti, anche a sinistra), riesce a smuovere la pigrizia politica italiana non c’è che da ripensare a quale diversa strategia porre in atto. Personalmente credo che con i legajoli di Salvini e certe sue comari non si vada da nessuna parte… Si cerchino leaders veri, non precoci befane…
Ho notato che moltissimi ascoltando Acquaroli rimangono sorpresi.Come per dire” da dove salta fuori questo” È la nuova generazione Atreju,preparatissima che avanza,ci vuole ben altro che le solite sceneggiate di Cacciari e Company per fermarli!!!