Shinzo Abe si è dimesso da primo ministro del Giappone. Ha motivato la sua scelta parlando di problemi di salute che gli impedirebbero di svolgere al meglio delle sue possibilità l’importante ruolo istituzionale che ha ricoperto negli ultimi otto anni e che avrebbe dovuto rivestire almeno fino a settembre del prossimo anno.
La riforma della Costituzione
Sarebbe stato l’aggravarsi di una colite ulcerosa a costringere il premier alla dura scelta di lasciare. Ed è un saluto amaro per Shinzo Abe che, tra le lacrime, non se ne va senza sollevare un nuovo e interessante dibattito politico nel Paese del Sol Levante. Ha chiesto, infatti, di poter mettere mano alla costituzione e di cancellare, una volta e per tutte, l’imposizione che nega al Giappone l’istituzione delle forze armate regolari e ufficiali. Un tema che al premier giapponese è sempre stato carissimo e che, ora che lascia l’incarico, gli preme sulla coscienza: “Dispiace di non essere riuscito a compiere finora questo obiettivo”.
Non è un addio
Abe rimarrà in carica fino a che non si troverà un successore. Quello di Abe, che ha rivendicato una buona gestione dell’emergenza Covid e di aver creato, durante la sua amministrazione, oltre quattro milioni di posti di lavoro, non sarà un addio. Ha affermato, infatti, che appena e se riuscirà a migliorare le sue condizioni fisiche tornerà in prima persona nell’agone politico nipponico.
Lo scenario
Al di là della politica interna, le dimissioni di Shinzo Abe assumono un importante connotato geopolitico. Arrivano, infatti, in un momento di grossa tensione tra Stati Uniti e Cina che acuisce il già rovente clima che si respira nel Sud Est asiatico. Bisognerà capire chi lo sostituirà per comprendere se ci sarà continuità oppure se vi sarà un nuovo (ed eventualmente quale) per il Giappone.
Se in Giappone non ci fosse una così bassa natalità, e dunque una popolazione troppo anziana, la politica economica di Abe avrebbe sicuramente fatto molto più successo e riportato il paese ad essere competitivo. L’errore che commettono in tanti, soprattutto gli economisti, è quello di sottovalutare il grave impatto che il regresso demografico e il conseguente invecchiamento della popolazione hanno sull’economia di una nazione.
Nella fattispecie, il Giappone in questi otto anni di Abe, ha conosciuto periodi sia di crescita economica che di recessione. La banca centrale giapponese, su impulso di Abe, ha attuato una politica espansiva per aumentare i consumi interni, ma ha fallito, perché un paese in cui quasi il 30% della popolazione ha più di 65 anni, è meno propenso a consumare. Alcuni criticano il fatto che il Giappone non è aperto all’immigrazione straniera, e che per questo si sta condannando al suicidio: è una sciocchezza. Innanzitutto l’immigrazione non risolve il problema dell’invecchiamento della popolazione, ma al limite lo attenua – in Italia ne sappiamo qualcosa, visto che dal 2000 gli over 65 sono più degli under 14, e la successiva immigrazione massiccia non ha invertito il rapporto, la popolazione ha continuato ad invecchiare ed oggi il 25% della popolazione è ultrasessantacinquenne – e poi è legittimo che un paese voglia conservare la propria omogeneità etnorazziale. Cosa che qui da noi in Europa è vietato perché considerato idiotamente “razzismo”.
Qualsiasi politica espansiva è inutile se non si fanno massicci investimenti di soldi pubblici sulla natalità, che però devono essere accompagnati da politiche di divieti di natura morale, perché l’assenza di censura dei contenuti sui mass media e su internet, è quella che corrompe moralmente una popolazione e la spinge verso l’individualismo e l’edonismo, che impediscono i matrimoni e le nascite, e dunque verso il suicidio demografico di massa.