Che sia vittoria del sì o del no, poco importa. Perché c’è un punto assai dirimente di questa «campagna referendaria a bassa intensità» – per dirla con Massimo Cacciari – che nessuno valuta con sufficiente attenzione. Dal giorno dopo del referendum, che ce ne faremo di questa legislatura? Arrivasse il niet dalle urne, sarebbe l’ennesima dimostrazione che questo parlamento non è in linea con il reale sentiment del Paese.
Un vero e proprio problema che dal 2018 le istituzioni tutte stanno cercando di coprire con una foglia di fico. E che è sintomaticamente rappresentato dalla nascita di due governi (retti stranamente dalla medesima persona) con due orientamenti totalmente opposti e non esattamente rappresentativi dei dati elettorali e delle rilevazioni demoscopiche di questi due anni.
Vincesse il sì
Vincesse il sì – ed è il dato al momento numericamente più probabile – arriverebbe un problema etico ancor più grave da gestire. Non parliamo della legge elettorale o dei grossi problemi di rappresentatività dettati da una riforma non organica degli asset costituzionali. Sorgerebbe invece la domanda amletica: presidente della Repubblica sì, presidente della Repubblica no? Insomma, se il popolo decidesse per il taglio di un terzo degli scalpi di onorevoli e senatori, non potrebbe essere la diciottesima legislatura a nominare il successore di Sergio Mattarella. Moralmente, non dovrebbe sicuramente.
Facciamo i conti. Stando così le cose, il prossimo inquilino del Quirinale, prendendo possesso della carica più alta della Repubblica nel 2022, sarebbe congedato nel 2029. Quasi un decennio dopo la possibile sforbiciata del 21 settembre prossimo. Nel frattempo, il successore di Mattarella (salvo scioglimenti anticipati) inaugurerebbe nel 2023 la diciannovesima legislatura e, nel 2028, la ventesima. Uno scenario grottesco, stiracchiato e distorto che non farebbe bene alla credibilità delle istituzioni.
Il patto al ribasso
Da qui passa anche la correttezza politico-istituzionale del Conte 2. Il patto che tiene assieme Pd ed M5s si regge sulla volontà di impedire (quasi fossero dei nemici pubblici) che gli avversari possano disporre per la prima volta nella Storia della più alta carica dello Stato. In una democrazia vera, però, tutto ciò può essere sostenuto senza battere ciglio? Qualcuno corra ai ripari. Chi di dovere, almeno.
@fernandomadonia
@barbadilloit
Personalmente, mi recherò alle urne per il referendum popolare del 20-21 settembre e voterò SI nonostante la riforma é insufficiente. Ma la riduzione dei parlamentari penso sia giusta,, perché in base alla popolazione che ha l’Italia, 630 deputati e 315 senatori sono un numero eccessivo. La riforma é insufficiente a mio modestissimo parere perché non prevede l’abolizione della figura dei senatori a vita. Inutile e che spesso purtroppo é determinante alle votazioni in Senato.
Certo, il discorso é molto più vasto, perché é chiaro che una riforma costituzionale di riduzione del numero di parlamentari non può non essere accompagnata da una riforma della legge elettorale. Non si riesce a fare una legge elettorale decente, le ultime che sono state fatte, fanno una più schifo dell’altra. Io penso che la miglior legge elettorale possibile sia quella che ricalca la legge Scelba del 1953 detta “legge truffa”.