Quella del limite al doppio mandato era una regola sterile, ma pur sempre regola era. Forse ingenua e che prima o poi sarebbe sicuramente saltata assieme all’abbaglio dell’uno vale uno. Tuttavia, fin quando stava lì, giustificava la pretesa della differenza pentastellata rispetto ai membri della casta. Un distinguo che, dall’attraversata a nuoto dello Stretto di Beppe Grillo alla nascita del Conte Uno, aveva mantenuto una qualche linearità. La possibile narrazione popolar-populista fuori dagli schemi del Novecento, cioè. Ripetiamo: possibile.
Tutto questo è stato spazzato via, insieme al divieto un tempo tabù di alleanze nei territori con i dem. Il gigante grillino, seppur forte in passato di un ampio consenso elettorale, ha sempre avuto i piedi d’argilla. Quando non si hanno basi ideali forti e una morale militante alle spalle, il rischio di collassare su se stessi è a portata di mano. E così è stato.
Il caso Conte
La vicenda del Conte Due è indicativa in tal senso. Costretti dal capitombolo salviniano, i Cinque stelle scelgono di andare con il Pd impuntandosi però sul nome dell’avvocato del popolo. Una strategia senza senso, che lasciò l’amaro in bocca addirittura a Luigi Di Maio. Appunto perché il premier non ha mai voluto aderire al M5s, di cui è invece espressione diretta se non invenzione. Basterebbe questo a capire quanto siano storte le coordinate battute ultimamente dalla cosa fondata da Gianroberto Casaleggio.
Oggi non sappiamo se si stia rivoltando nella tomba o no. Gli va riconosciuto il profilo da visionario, sebbene nessuno lo abbia mai visto all’opera nelle vesti di timoniere. In fondo, la stessa rete in cui lui credeva tanto, assieme al sogno di disarticolare gli asset repubblicani in funzione della digitalizzazione totale dell’esperienza democratica, si è risolta in un grigio organo di ratifica. Nonostante ciò, c’è chi lo rimpiange. E a ragione.
Troppe contraddizioni
Insomma, alla prova dei fatti i cinque stelle sono risultati tutto e il contrario di tutto. Niente affatto intransigenti, tutt’altro che chiari nelle scelte di campo internazionali, situazionisti e privi di una visione di lungo respiro. Forse Grillo ce l’ha, ma non è più quella della prima ora. Il comico genovese vuole oggi che il M5s sia nel solco del progressismo mainstream. La stessa area guidata in Italia dal Pd di Nicola Zingaretti, segretario che non è neanche la controfigura di Enrico Berlinguer. Un ex comunista che si muove semmai con una postura todo modo democristiana.
Già era difficile capire quali fossero gli ideali del Movimento, oggi men che meno. C’è poca letteratura in tal senso. Diciamola tutta: di ambiente, digitalizzazione e manette, ne può parlare chiunque. Da destra a sinistra. I cinque stelle, dal canto loro, hanno applicato un registro ermeneutico al ribasso. Vedi le vicende Tav, Ilva, immigrazione, vaccini, euro ed Europa. Metteteci pure l’approccio grossolano di Alfonso Bonafede alla giustizia. Assolto dai suoi mentre, tra rivolte carcerarie e boss ai domiciliari durante il lockdown, in passato chiunque avrebbe presentato le dimissioni. Insomma, il cinque stelle ha deluso. Soprattutto gli elettori. La cartina tornasole è nella costante perdita dei consensi.
Il futuro del M5s
La deroga al secondo mandato chiarisce qual è il futuro dei rappresentanti del Movimento. Dall’obiettivo del 51%, si va ora verso una proposta ben più modesta: fare da stampella al Pd a partire da percentuali assai ridimensionate. L’esito inevitabile è quello di ricoprire lo spazio politico che durante la Seconda repubblica fu di Italia dei Valori e, prima ancora, di Pri o Psdi o Pli (giammai del Psi). Insomma, l’M5s sarà un partito canotto obbligato a tenere a galla una classe dirigente che non ha alcuna intenzione di tornare a lavorare. Del resto, era naturale che andasse così. Non fosse altro che in molti, prima di entrare in parlamento, un lavoro non lo avevano neppure.
La deroga per Virginia Raggi aprirà le porte alla deroga delle deroghe. Quella per le poltrone di Camera e Senato. Che, per non sbagliare, saranno ridotte proprio sulla scorta paradossale dell’unica riforma, quella del taglio dei parlamentari, su cui i cinque stelle hanno almeno tenuto il punto. Portando tutti gli atri partiti a segare il ramo dove era seduta la democrazia rappresentativa. Difficile non vedere già da ora l’assalto alle poche scialuppe disponibili. Saranno scene da Titanic. I disposti a tutto, perché spaventati, saranno proprio i cinque stelle: chiamati a fare i conti con la doppia diminuzione delle percentuali e dei seggi disponibili.
L’Ulivo populista
Un centrosinistra così potrebbe fare paura ai più moderati, che temono l’avvento di un «Ulivo populista». Chi saprà accogliere il flusso in uscita? E a a partire da quali premesse linguistiche e culturali? Sicuramente non da un sovranismo di maniera o monocorde. Che sia destracentro o centrodestra, senza cattolici, liberali e riformisti non può esserci alcuna formula che possa puntare aritmeticamente al governo del Paese. Perché al netto della prossima legge elettorale, non potrà sussistere alcun calcolo politico senza la pretesa di essere maggioranza, non solo nel Paese, ma nelle due camere.
@barbadilloit
@fernandomadonia
Fossi stato democristiano m’incavolerei come un lupo a compararmi ora con i 5 stalle! Al di là dei limiti e contraddizioni della vecchia DC…ma fu quella che nel 1948 evitò di farci diventare comunisti, altro che Yalta, quella che ci fece entrare nella NATO e poi nella Comunità Europea nel 1957, per me decisioni necessarie e positive per il Paese…Ma che mai significa poi DC globale?
se fossi un elettore del M5S mi sentirei tradito da questa banda di quaquaraquà, di incompetenti, di poltronisti ad ogni costo… chissà se gli italiani che l’hanno votato apriranno gli occhi!
I pentastellati, un po’ come l’Uomo Qualunque e il primo fascismo, nacquero da una psicologia più che da un’ideologia, da un sentimento d’insofferenza nei confronti della classe dirigente, a carattere forse più moralistico che populistico. Vi confluirono delusi della destra e della sinistra, togliendo elettori a entrambe le aree. Nel 2013 svolsero un ruolo provvidenziale nell’impedire al Pd di andare al governo; nel 2018 hanno impedito invece di andare al governo alla coalizione di centrodestra. Questo anche per gli errori di Berlusconi, che li prese di petto, come aveva preso di petto i comunisti, senza capire che fra i loro elettori c’erano molti delusi del suo schieramento che avrebbe dovuto cercare di blandire e recuperare. Il resto è storia recente.
Il paragone con la Dc è improponibile. Dietro la Dc c’erano il papato di Pio XII, Gedda, i Comitati Civici, la cultura del corporativismo cattolico. Si può fare un parallelo semmai con l’Uomo Qualunque; ma Grillo sta a Giannini come la commedia dell’arte sta a Goldoni. C’è solo una speranza: che, come l’UQ crollò quando il suo leader tentò un approccio con Togliatti, così Di Maio & C. finiscano soffocati nell’abbraccio mortale col Pd di Zingaretti.
@Enrico Nistri
La storia si ripete. Certo le aperture del movimento di Giannini verso il PCI erano decisamente contronatura, visto e considerato che il FdUQ si definiva liberale e liberista. Normale che come fenomeno politico fece harakiri.