Se vi chiedete perché l’Italia a vent’anni dalla pseudo rivoluzione legalitaria di Tangentopoli è sempre più in un pantano e la credibilità dei governanti resta ai minimi storici, leggete questo passaggio dell’intervista ad Antonio Di Pietro di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. Il tema è il ventennale del suicidio di Raul Gardini, magnate della chimica italiana.
L’ex magistrato di Mani Pulite, dopo aver raccontato di esser andato a verificare “da poliziotto” il luogo nel quale Gardini si era tolto la vita si è lasciato andare a questo commento: “Fu un suicidio d’istinto. Un moto d’impeto, non preordinato. Coerente con il personaggio, che era lucido, razionale, coraggioso. Con il pelo sullo stomaco; ma uomo vero. Si serviva di tangentopoli, che però in fondo gli faceva schifo. La sua morte per me fu un colpo duro e anche un coitus interruptus“.
Da parte del leader dell’Italia dei Valori nessuna umanità quindi nei confronti di Gardini, nemmeno nel ricordo a vent’anni di distanza. E ai tempi dell’inchiesta milanese, ricorda a Di Pietro Aldo Cazzullo, l’allora pm fu altrettanto tranchant: “Nessuno potrà aprire più bocca, non si potrà più dire che gli imputati si ammazzano perché li teniamo in carcere sperando che parlino”. Gardini, come ricordato da più testimoni dell’epoca, in carcere non ci andò per un accordo tra avvocati e magistratura inquirente (lo stesso Di Pietro ndr), in quanto la mattina dopo avrebbe dovuto presentarsi per un interrogatorio: insomma era un espediente per ottenere ulteriori elementi utili all’inchiesta. E in un sussulto di realismo, Di Pietro ha concluso l’intervista al Corriere così: “Purtroppo nella vicenda Gardini non ci furono neanche vincitori; qual giorno abbiamo perso tutti”.
Se mai vedremo una Nuova Repubblica, dovremo prima aver trovato l’antidoto al veleno giustizialista che contagia ininterrottamente, da Piazzale Loreto ai casi Tortora e Craxi fino all’attuale scontro politica-magistratura, larga parte delle classi dirigenti italiane.
@waldganger2000