«Ma la Melancolia venne e s’assise
in mezzo a noi tra gli oleandri (…)
Ed Erigone, ch’ebbe conosciuta
la taciturna amica del pensiero
chinò la fronte come chi saluta.
E poi disse la Notte e il suo mistero.»
La taciturna amica del pensiero: con questo magnifico endecasillabo Gabriele D’Annunzio definisce la malinconia in una delle poesie dell’Alcyone, L’oleandro, che probabilmente non è tra le sue migliori composizioni, troppo lunga e gravata com’è da un’architettura artificiosa, da preziosismi linguistici, da riferimenti mitologici e letterari. Ma è uno di quei versi (il 429°) che si fissano per sempre nella memoria per la sua intima verità.
La malinconia per il Vate
Che cos’è la malinconia? E perché si accompagna silenziosa al pensiero? La malinconia non è la tristezza vera e propria e non è l’inquietudine, è uno stato d’animo di vaga e virile tristezza, che spesso è raffigurata nelle sculture, nei dipinti, nelle foto che ritraggono i filosofi. È quell’aura poetica che si avverte nel Pensatore di Rodin. Il pensiero, infatti, è meditazione della vita, nasce dalla vita che, come insegnava Ortega y Gasset, è sempre un problema aperto, è un dramma, è un qualcosa da fare che mai si compie. «L’uomo – scriveva il filosofo spagnolo – non è res cogitans, ma res dramatica. Non esiste perché pensa, ma, all’inverso, pensa perché esiste.» La malinconia nasce dal sentire più o meno consapevolmente che il pensiero è sempre qualcosa di incompiuto, che mai sosta, come il vivere d’altronde che è nel contempo finito ed infinito. È la notte che col suo mistero saluta ed avvolge il giorno.
Inchiniamoci di fronte a quest’aurea poetica e alle splendide riflessioni di Marano. La malinconia è uno stato d’animo a prescindere da ogni evento. Va e viene senza avvertimento. Dunque pensiamo e meditiamo finché esistiamo.
«aura non aurea»
La malinconia è di tutti, la depressione di meno, ma devastante…