Chi abbatte la memoria si consegna a un eterno presente instupidito. Come la nuova furia iconoclasta, partita dagli Stati Uniti, che consegna il presente al politicamente corretto in maniera assurda, cieca e demagogica. Cristoforo Colombo in Virginia e Minnesota o Indro Montanelli vandalizzato ai giardini pubblici di Milano, fino alla fanatica ripulitura di “Via col vento” sono segnali di una sorta di impazzimento global, che sfoga così l’incapacità di uscire dai limiti di un progresso umano e storico ancorato a steccati ideologici inattuali e anacronistici. Esemplare è il dibattito che si è scatenato in Italia dopo la vandalizzazione della statua di Montanelli, con un inutile processo a posteriori peraltro viziato da un sospetto di decontestualizzazione.
Nel dibattito ma con opposte intenzioni entra a gamba tesa Articolo9. Il movimento, che si ispira all’articolo 9 della Costituzione (promozione e tutela della cultura e del paesaggio patrimonio storico e artistico della Nazione) è stato fondato dal compianto archeologo Sebastiano Tusa (allora Assessore ai Beni Culturali della Regione Sicilia); ora è presieduto da Fabio Granata (assessore alla Cultura del comune di Siracusa) e la portavoce è Fulvia Toscano, direttore artistico di NaxosLegge. Il movimento ha avviato una petizione in difesa della Storia come memoria e in netta opposizione con chi, sulla scia di una visione distorta della esperienza collettiva, ha “la pretesa di stare alla lavagna della Storia e stabilire torti e ragioni, buoni e cattivi.”. Un vero e proprio manifesto che fa coincidere la tutela della Bellezza con la conservazione della Storia.
Del manifesto ha il tono perentorio: il dibattito attuale nuova barbarie “talebana” del politicamente corretto, lancia una petizione online su change.org in difesa dei Monumenti e della storia delle Comunità nazionali. Ecco il testo della petizione:
“Giù le mani dalla Storia e dai suoi protagonisti.
In perfetto stile talebano si va espandendo un movimento “globalista” che intende rimuovere, danneggiare o distruggere i simboli architettonici e monumentali della nostra storia e di quella di altre Nazioni occidentali.
Articolo 9 lancia una campagna in difesa della Storia che non può piegarsi alla sistematica decontestualizzazione del politicamente corretto e alle pratiche insopportabili di nuovi “Consigli di disciplina” che hanno la pretesa di stare alla lavagna della Storia e stabilire torti e ragioni, buoni e cattivi.
Contro questa dinamica tanto barbara quanto demenziale “la Storia siamo Noi”.
Noi che difendiamo i tasselli della nostra storia nazionale, raccontata da architetture e Monumenti e statue.
Attraverso una petizione chiediamo alle forze politiche italiane un intervento legislativo che applichi pene severissime attraverso l’inasprimento delle norme esistenti a chi si renda responsabile di azioni di vilipendio e danneggiamento contro statue o targhe o architetture che ricordino testimonianze della Storia nazionale.
Che sia Garibaldi o Gentile, Matteotti o Balbo, Giulio Cesare o Adriano, Montanelli o Biagi, sono tutti tasselli di un grande palinsesto che è la Storia Nazionale.
Allo stesso modo ci sembrano assurdi e inaccettabili gli attacchi alle statue di Churchill, Marx, Che Guevara o Jefferson.
Basta con questa globalizzazione della Idiozia: la Storia siamo Noi”
Dal 2003 a Baghdad
La Storia, dunque. Era il 9 aprile del 2003 quando in piazza Firdos a Baghdad venne abbattuta la statua di Saddam Hussein dopo venti giorni di una delle guerre più discutibili del lunghissimo XX secolo. Il martello di Kadhim Sharif al-Jabouri fu il braccio armato degli americani che, in diretta televisiva mondiale, abbatterono con quella statua un nemico e un regime: nessuno ebbe niente da dire in Occidente. C’è da scommettere che non avrebbe detto qualcosa, nemmeno il buon Bansky, che schierandosi ora legittimamente con i Black lives matter pensa di impiccare la statua del negriero e filantropo Colston e accompagnarla con nove statue di manifestanti gioiosi. Dieci anni dopo Saddam a Kiev, in Ucraina, la marcia di un milione a sostegno del presidente Tymoshenko culminò nel tracollo della statua di Lenin in diretta Instagram. Il povero Lenin non ha fortuna con le statue e le effigi, oggetto di un culto iconoclasta alquanto solerte, se si pensa, al contrario, che gli indiani nel 1947, non si disfecero, della statua di re Giorgio V ma la conservano nel rinnovato Coronation Park a futura memoria per improbabili nostalgici del periodo coloniale.
Le statue hanno due caratteristiche a rigore letterario quasi ossimoriche: essere artisticamente brutte e celebrative nello stesso tempo. Tuttavia, in quella bruttezza di fattura (nonostante a volte i nomi famosi degli scultori) si cela diabolicamente il senso: riempire spazi urbani e di memoria. Le piazze sono il luogo della statua celebrativa per eccellenza, soprattutto se l’eccellenza è il Capo; poi vi sono i giardini e i viali se gli instatuati sono personaggi celebri che in qualche modo hanno influito sulla storia della nazione che li ospita. Ma quello spazio si distende in un’area collettiva ben più importante della piazza fisica. Le statue e i monumenti sono fonti storiche, appartengono al tesoro millenario della memoria umana e civile. Abbatterle vuol dire negare la storia e la storia, come canta Francesco De Gregori, siamo noi. Onde del mare o piatto di grano, noi siamo la Storia. Le stratificazioni storiche sono come gli anelli memoriali dei tronchi degli alberi, persino le rocce hanno memoria. Sembra banale, a questo punto, ricordare che dal primo fuoco e dal primo suono di gola anche l’uomo ha attraversato tutto d’un fiato i secoli, ha commesso errori e atti eroici, ha ucciso e beatificato, ha conquistato ed è stato conquistato. Di ogni azione ha lasciato segni che sono arte e architetture e musica e letteratura. Tutelare queste testimonianze è tutelare l’umanità stessa. Giù le mani dalla Storia e da ogni tentativo di rimuovere il passato e- perché no?- pure da Miss Russella. Altrimenti la lezione stessa di Primo Levi che tanto piace non servirà a nulla: ricordare affinché non accada mai più. Mettiamola così.