Trump, uomo di fiuto, ha detto: “La pandemia dimostra che l’era della globalizzazione è finita”.
Xi Jinping, l’altro attore della geopolitica mondiale: “È vero che la globalizzazione ha creato nuovi problemi ma questa non è una ragione per cancellarla, piuttosto. per adattarla “.
Il discorso sulla globalizzazione investe le categorie dell’essere, del nostro esistere che negli ultimi decenni sono state tarate sulle “virtu’ globali”, nella convinzione di dover creare un homo novus, una nuova dimensione esistenziale sradicata dalla storia, dal fluire dei popoli, dalle tradizioni, dalla comunità cui si appartiene. Una umanità forgiata da un “pensiero debole”, dove lo stile uniforme, improntato all’iper politicamente corretto, deve prevalere sulla sostanza delle cose. Dove il dato oggettivo della realtà conta poco, se non è conforme alla vulgata dominante.
La globalizzazione è stata la grande illusione del nostro tempo, che oggi è chiamata a fare i conti con la realtà. Emergono le ferite di una sorta di nichilismo che ha ridotto il cittadino (destinatario di diritti e doveri) a un mero codice a barre. Il cives, protagonista del suo destino, eredità del mondo greco-romano, è stato annichilito e diluito nell’individuo massa.
Certo, non tutti gli effetti della globalizzazione sono da gettare via. Ha consentito a culture diverse di entrare in contatto e conoscersi. Ha semplificato quello che Marco Polo e Colombo fecero in tempi remoti. Le società occidentali, si sono alimentate della concezione greca e romana della res pubblica, di un’idea classica che fonde i valori di libertas e virtus, capaci di delimitare un recinto identitario che esalta il valore degli individui nella comunità, definendo quello che Vico chiama l’idem sentire comune.
E’ per questo che Spengler ne Il tramonto dell’Occidente rinviene il tratto della decadenza nel cosmopolitismo. Un tema che affascina un intellettuale come Gramsci che corregge il marxismo classico aprendo al popolo-nazione.
La globalizzazione ha impoverito milioni persone, ha tolto a tanti per dare a pochi: su questo convergono i dati e le analisi di organizzazioni internazionali super partes. Il rapporto Oxfam ha più volte richiamato che gli otto uomini più ricchi al mondo possiedono una ricchezza pari a quella di 3,6 miliardi di persone al mondo. Cioè in 8 dispongono di più della metà della popolazione del pianeta.
La ONG britannica nei suoi rapporti rileva come l’attuale sistema economico favorisca l’accumulo di risorse nelle mani di una super élite ristretta e autoreferenziale.
Il premio Nobel per l’economia Stiglitz parla di “declino delle opportunità” e di “crescita delle disuguaglianze”. Le diseguaglianze create dalla globalizzazione sono fra individui, ma anche fra Stati, perché alcune nazioni più ricche hanno attuato una sorta di neocolonialismo, di natura economica, capace di condizionare le scelte sovrane di altri popoli attraverso il potere finanziario, la capacità di erogare o meno aiuti e sussidi. Senza aiutare lo sviluppo ma con dell’assistenzialismo interessato. Sono poche nazioni a dettare le regole del gioco e a definire l’eticità di tali regole.
La Cina, forte del suo dirigismo e autoritarismo, è la nazione che meglio ha utilizzato la globalizzazione quale veicolo per affermare la sua egemonia economica, come insegna la sua azione in Africa.
La globalizzazione ha impoverito la democrazia, molto spesso l’ha svuotata del suo significato più pieno, quello che rimanda all’etimologia della parola, potere del popolo. Dahrendorf, ci aveva avvertito: “Le decisioni stanno migrando dallo spazio tradizionale della democrazia”, aggiungendo come la democrazia non fosse applicabile “al di fuori dello Stato-Nazione, ai molti livelli internazionali o multinazionali in cui si forma oggi la decisione politica”.
Cosa resterà di questa globalizzazione dopo la pandemia? Le nazioni, la storia, e soprattutto gli individui tenderanno a riappropriarsi del loro spazio esistenziale. Lo storico Chabod, partigiano e dirigente del CLN, precisa: “Dire senso di nazionalità, significa dire senso di individualità storica. Si giunge al principio di nazione in quanto si giunge ad affermare il principio di individualità, cioè ad affermare, contro tendenze generalizzatrici e universalizzanti, il principio del particolare, del singolo”.
Grazie per l’ospitalità
*direttore tg2rai
Certo, la Cina non può mai essere favorevole a cancellare la globalizzazione, visto che ne è stata la maggiore beneficiaria e continua comunque ad esserlo. Che poi è avvenuto così perché gli altri, soprattutto i Paesi occidentali, hanno abbattuto i dazi verso i suoi prodotti, mentre invece essa anche dopo l’ingresso nel WTO ha mantenuto i dazi sui prodotti europei e americani.
L’articolo dice che “non tutti gli effetti della globalizzazione sono da gettare via.”, forse, ma ne vanno gettati almeno l’80%.
Ma infatti la Cina non è un esempio di globalizzazione. Chi solamente vende e poco importa, ancor meno consente ai propri cittadini di conoscere e dissentire, fa dell’autoritarismo Old Style, niente altro… La globalizzazione, piaccia o no, non è dazi. Oltretutto quella tappa l’umanità l’ha già transitata ed era disastrosa…
Credo non cambierà nulla d’importante.
‘Una umanità forgiata da un “pensiero debole”, dove lo stile uniforme, improntato all’iper politicamente corretto, deve prevalere sulla sostanza delle cose. Dove il dato oggettivo della realtà conta poco, se non è conforme alla vulgata dominante’. Lo so, lo sappiamo, lo vediamo. Ma perchè una società liberale, essenzialmente aperta, deve proprio essere così? Non c’è rapporto causa-effetto… La globalizzazione non è la necessariamente la solita esterofilia italiota… Non confondiamo le categorie…Il futuro non sarà scelta obbligata tra autarchia-dazi-muri e svacco vaffanculista-Lampedusa-LGBTI…