Il sovranismo è morto poco meno di un anno fa nel corso del sabba alcolico-politico del Papeete. L’hanno seppellito, dopo una lunga veglia funebre, pochi incauti “pescatori di occasioni” che si sono resi conto della insostenibile leggerezza di un’ideuzza che non avrebbe fatto molta strada, come ci permettemmo ai tempi dei furori salviniani di sottolineare su queste pagine.
Non ne parla più nessuno, tranne alcuni giovanotti ammaliati dalla prospettiva di restaurare solitarie entità nazionali prive di quegli attributi che le giustificherebbero come l’autorità, la sovranità, l’identità, il senso di comunità, la coesione sociale, l’unità territoriale e amministrativa, la solidarietà. Presupposti che implicherebbero la rifondazione dello Stato-nazione al quale il colpo di grazie venne dato una quindicina d’anni fa dalla riforma del Titolo V della Costituzione; stato-nazione che vediamo progressivamente rattrappirsi all’ombra di velleitarismi sciovinisti il primo dei quali è il regionalismo che il già campione del sovranismo, Matteo Salvini, mai e poi mai metterebbe in discussione.
Sicché la costante perdita di consensi (ancorché virtuali) da parte della Lega – un anno fa data al 38%, oggi al 25 – è il frutto di quella sciagurata stagione segnata dalla sfida all’Unione europea condotta in malo modo, al punto che le aspirazioni di conquistare il Parlamento di Strasburgo è rimasta frustrata. Con l’aggravante che l’ex-Centrodestra in quel consesso è diviso in tre distinti ed incomunicabili schieramenti: Salvini con i lepenisti, Berlusconi con i Popolari, la Meloni con i Conservatori-Riformisti. L’irrilevanza del primo è sotto gli occhi di tutti, sicché il sovranismo, agitato durante la campagna elettorale, è diventato il simbolo di un’impotenza politica a fronte di un contesto nel quale le nazioni contano se sono forti, se hanno la capacità di imporre scelte politiche e di trasmettere un sentimento di potenza (che può essere scambiato per arroganza) in grado di trascinare l’Europa non certo verso i lidi dell’integrazione, ma sulle aspre vette del dominio economico-finanziario.
La Germania è – per usare il lessico in disuso salviniano – una nazione che ha fatto del sovranismo la prassi politica a livello continentale, mai rivendicandolo tuttavia, ma piantando nel corpo dell’Europa i suoi pesanti chiodi tra i quali, come smarriti stanno Paesi quali l’Italia, mentre altri, da vassalli confessi si aggirano nel labirinto tedesco come se fosse il Quarto Reich, capace di imporre i suoi voleri all’Unione grazie ad una sentenza della Corte di Karlsruhe , la Corte costituzionale, e facendo valere il diritto comunitario sul diritto delle nazioni.
Come ha fatto la Germania? Trent’anni fa non esisteva, era divisa, malconcia e guardiana del sistema sovietico. Dopo trent’anni è una potenza di tutto rispetto pur nel contesto decadente europeo ed occidentale.
Si è guadagnato il ruolo che occupa grazie ad una politica economica coerente con le sue risorse ed una politica internazionale strategica finalizzata ad “annettere” ciò che la vecchia Unione Sovietica aveva lasciato per strada, in brandelli. Ed ha potuto raggiungere obiettivi ragguardevoli, per quando discutibili sotto il profilo di quello stesso europeismo che costantemente si mette sotto i piedi, grazie ad una classe politica di prim’ordine e ad un sistema istituzionale che funziona.
Ma, se si vuole ricorrere ancora all’abusato e screditato stilema del sovranismo, non si potrà non tenere conto che un Paese come l’Olanda, rappresentato dall’azzimato giovanotto Mark Rutte, capo del governo, paradiso fiscale dove la marjuana è libera e si danza tra i tulipani sulle note del relativismo etico (eutanasia, fecondazione eterologa , laicismo spinto fino alla pratica di una teologia della liberazione da parte dell’episcopato cattolico), ci ha bacchettato sonoramente nei giorni scorsi invocando per noi una sorta di “lezione greca” da parte della Bce e degli organi comunitari con l’alta motivazione che non ci si può fidare dei Paesi mediterranei come l’Italia. Ma anche il Belgio, la Danimarca, i Paesi scandinavi hanno affondato le mani nel sovranismo combattuto (ed ovviamente non rivendicato) per ricordarci che l’Europa è “cosa loro”.
I sovranisti italiani d’antan dove si sono rintanati nelle ultime settimane? Già, avevamo detto che i funerali erano stati celebrati nell’indifferenza di tutti. E neppure Viktor Orbàn è intervenuto a porgere l’estremo saluto.
La sovranità è una cosa seria perché la si aggettivi come se ispirasse un ideale movimento. È il cuore della politica che si fa senza battere i pugni possibilmente, ma quando è il caso facendo capire che al di sotto delle Alpi non abitano nazionalisti con l’anello al naso, bensì credibili rappresentati di una nazione che vorrebbe essere trattata per come il suo posto nel mondo impone. Ma se le contraddizioni, che caratterizzano maggioranza ed opposizione in Italia, autorizzano la Merkel e compagnia cantante a trattarci da mendicanti dell’Europa, in chi modo possiamo far valere il nostro buon diritto a non essere trascinati nel gorgo dell’impoverimento e della subalternità?
È il tempo di nuove sintesi politiche, probabilmente. E di classi dirigenti consapevoli e non pescate nel nulla. Abbiamo difficoltà ad immaginare chi, dopo l’auto-rottamazione del sovranismo, possa indicare una via politica all’Italia quando l’ombra del pipistrello di Wuhan si sarà finalmente allontanata. Una via che porti in Europa, naturalmente, “terra di nazioni”, come diceva Carlo Curcio, e non di sopraffazioni. (da Il Dubbio)
Quella del Papeete da parte di Salvini è stata una miserabile pagliacciata. Cosa cercava consenso tra tatuati palestrati e mignotte? Cosa gliene frega a quelli del sovranismo, dell’identità nazionale, delle radici cristiane? A quelli interessa solo alcool, droga e sesso. Un trinomio che è figlio dell’anticultura sinistroide e radicale partorita dal Sessantotto, quella dell’individualismo, del “vietato vietare”, dell’edonismo e porcherie varie. Una vera DESTRA che si oppone tenacemente al concetto di società concepita dal liberalprogressismo sinistrorso, non esiste, anzi spesso e volentieri è una sedicente destra che vi si allinea in toto, ma con dei “distinguo”. Anzi, un articolo recente qui pubblicato ci spiegava come la destra insegue sempre la sinistra per emularla. Complesso d’inferiorità. Cosa che si evince anche dalla vita privata degli stessi esponenti che la rappresentano, totalmente in contrasto con i valori conservatori che propugnano in campagna elettorale.
P.S.: Complimenti allo staff di Barbadillo per il rinnovamento grafico del sito, molto bello e pure mobile-friendly.
Molti si riempiono la bocca con sovranismo, nazione ecc. e l’unica aspirazione che hanno è quella di leccare i piedi al dittatore comunista di turno di Mosca e Pechino.
“Trent’anni fa non esisteva, era divisa, malconcia e guardiana del sistema sovietico. Dopo trent’anni è una potenza di tutto rispetto pur nel contesto decadente europeo ed occidentale”: non sono d’accordo, oggi la Germania è idealmente e spiritualmente decadente, disgregata rispetto alla Germania della riunificazione. La Germania doveva cercare un ancoraggio ideale nel suo passato storico. Escluse Weimar ed il Terzo Reich rimaneva l’unificazione del 1871, il Deutsches Kaiserreich, la magnifica creatura di Bismarck e degli Hohenzollern successori di Federico il grande. Guglielmo II aveva commesso molti errori, ma non era stato lui a scatenare la WWI. La propaganda alleata demonizzò lui e la Kultur, mentre la Kultur non era certo lontana dalla civilisation anglo-francese. Il popolo tedesco e la sua élite dovevano ribellarsi allora, 30 anni fa, all’idea di essere stato il popolo criminale, dal riscatto impossibile, che l’Arsenale della Democrazia gli aveva inculcato dopo il ’45. Purtroppo non l’hanno fatto ed oggi la Germania conta infinitamente meno nel mondo di quel che potrebbe e dovrebbe, in tutti i sensi. Non è una potenza di tutto rispetto, ma un condominio del peggio del ‘pensiero unico’. Avrebbe dovuto assumere il comando dell’Europa, quello vero, non la BCE, non diventare una nazione solo di costruttori di auto, di bottegai e vacanzieri, invece la nuova Germania non è mai nata. Avrebbe, simbolicamente, almeno potuto rifare il grande monumento a Guglielmo I, di fronte al ricostruito Berliner Stadtschloss, simile in fondo al nostro Vittoriano, ma non l’ha fatto, preferendo accettare l’idea di uno stupido vassoio a dondolo! La Germania doveva recuperare il suo grande e dignitoso passato guglielmino, riannodare il suo presente a quell’epoca straordinaria, ma ha avuto paura. Purtroppo.
Felice, su quest’ultimo intervento e su come inquadri la Germania concordo in pieno, ma quello che non si capisce è che ormai tornare agli stati-nazione è improbabile, inutile e dannoso, ormai siamo ad un punto in cui “l’evento della disintegrazione degli stati nazionali” sarebbe addirittura auspicabile …
Infatti, io sono europeista, nonostante tutto, ma un’Europa armata…