Abbiamo appena superato il secondo ponte “sterile”, cioè non gravido di vacanze (il primo è stato quello del 25 aprile), e siamo entrati in questo mese di maggio, da sempre dedicato alla crescita, alla fecondità, al cambiamento positivo. Per andare agli usi e costumi vicini, ricordo che proprio la data del 4 di maggio era, a Napoli, quella in cui si era soliti cambiare casa: era l’epoca in cui soltanto i più facoltosi si potevano permettere una dimora di proprietà; tutti gli altri, si dovevano accontentare di stare in affitto.
Se poi vogliamo retrocedere nel tempo molto più in là, dobbiamo risalire all’antica Roma e alle sue feste di matrice agraria: del resto, maggio deriva da Maia, divinità che da Giove concepì e diede alla luce Mercurio: un insieme di potenze celesti preposte alla tutela della fertilità dei campi e, per estensione, della fecondità umana, Maia come “Jovis maiestas” dava allora il cambio a Flora, le cui celebrazioni annuali si svolgevano dal 30 aprile proprio fino al 4 maggio, in onore della vegetazione, della primavera, della gioventù. Non stupisce allora che nell’era cristiana questo mese sia stato dedicato alla Madonna, Vergine e Madre per eccellenza, sul filo di una ben nota continuità di culti, riti e devozioni.
Tornando però alle nostre modeste cronache, oggi si apre la “fase 2” delle misure anti-Covid (in sostanza: isolamento, chiusura di attività, mascherine e distanziamento sociale). Forse, prima o poi qualcuna delle grandi centrali di ricerche – e di raccolta fondi – tirerà fuori dal cilindro il coniglio del vaccino: in fondo, così abbiamo debellato tubercolosi e vaiolo, poliomielite e malaria, lebbra e febbre gialla, e avremo la meglio anche su questo maledetto virus, in attesa del prossimo…
Qualche segnale di cambiamento l’abbiamo percepito, dal nostro eremo, già stamattina, quando siamo stati risvegliati dai rumori del cantiere per la ristrutturazione del centro commerciale sotto le nostre finestre: gli operai – alcuni con, altri senza le mascherine – si sono nuovamente impadroniti dei loro mostri meccanici, benne, gru, scavatrici, pale meccaniche, offrendosi alla curiosità dei pochi sfaccendati in circolazione.
Altro segnale ci è venuto non già dal temuto aumento del traffico veicolare, rimasto, ci sembra, pressoché invariato (Roma è città di ristoranti e bar, ancora chiusi, e di uffici, svuotati dallo “smart working”): abbiamo provato a telefonare al nostro tolettatore, nella speranza di alleviare i fastidi del cagnetto Athos, con gli occhi ormai quasi interamente ricoperti dai peli e, con nostra sorpresa, l’abbiamo trovato aperto, ma con una fila di prenotazioni per una decina di giorni. E’ andata peggio – ma ce l’aspettavamo – con il parrucchiere: pur essendo fra i primi, non potremo andarci, mia moglie ed io, prima del 2 giugno. Ovviamente, salvo imprevisti…
Insomma, sia pure “cum juicio” (e mai citazione manzoniana fu più acconcia), la normalità si avvia a riprendere i suoi ritmi. Anche la mortalità e i nuovi contagi, stando ai dati di questi ultimi giorni, stanno facendo segnare un sensibile regresso. Continuiamo a sperare.
Maggio, dicevamo, mese della Madonna, dei rosari – ancora in streaming – e delle rose, e a proposito di questo fiore, mi balza davanti agli occhi della memoria l’immagine di mia nonna materna Ginevra, la pittrice che, con le sue tele, contribuiva al mantenimento di una famiglia numerosa, forte di cinque figli e ben tre zie nubili (non poteva bastare lo stipendio di mio nonno Manlio, funzionario comunale). Affidata la casa alle sorelle, mia nonna dedicava tutto il giorno a pennelli e colori – per me, una tentazione quasi irresistibile quella di toccarli – con la sola eccezione dei momenti riservati al giardino e, in particolare, al suo piccolo roseto. Me la rivedo con le forbici e gli antiparassitari, a prendersi cura di quei boccioli e poi di quei fiori maturi e sgargianti…
E mi piace chiudere qui la giornata, con questa immagine e questi versi di Giosuè Carducci, tratti dalla sua “maggiolata”:
“Maggio risveglia i nidi,
maggio risveglia i cuori;
porta le ortiche e i fiori,
i serpi e l’usignol.
Schiamazzano i fanciulli
in terra, e in ciel li augelli:
le donne han ne i capelli
rose, ne gli occhi il sol.
Tra colli prati e monti
di fior tutto è una trama:
canta germoglia ed ama
l’acqua la terra il ciel.
E a me germoglia il cuore
di spine un bel boschetto;
tre vipere ho nel petto
e un gufo entro il cervel.”