Una linea sottile divide la politica dei competenti e la tecnocrazia. Lo si è visto nelle ultime settimane. La “disinvoltura” con cui il Presidente del Consiglio si è circondato di “esperti” (circa quattrocento – secondo gli ultimi aggiornamenti – tra commissari straordinari, rappresentanti di organismi sanitari nazionali ed internazionali, responsabili della Protezione Civile, accademici, ricercatori e scienziati) rischia di creare un vero e proprio cortocircuito, non solo per la sovrapposizione dei diversi ruoli in campo, quanto soprattutto per l’evidente disarticolazione istituzionale che questa sovrapposizione sta provocando.
Sia chiaro, dare spazio alle “competenze” è una necessità, vista la difficile emergenza sanitaria. Come ci insegna la cultura partecipativa la rappresentanza delle competenze è però costruita su un organico rapporto tra il livello della rappresentanza e quello della tecnica. Dà voce alle categorie organizzate (non ai singoli “esperti”). E’ interna al sistema democratico. Crede nell’integrazione sociale.
Confondere spregiudicatamente lo “stato di eccezione”, più volte evocato nelle ultime settimane, con il potere dei tecnici, rischia, d’altro canto, di rompere il patto fiduciario tra Stato e cittadini, creando incomprensioni e frustrazioni e facendo emergere l’idea di un sistema “selettivo” (lontano dal comune sentire) fuori dal quadro delle istituzioni rappresentative.
Nel 1963, in Società e intellettuali in America, Richard Hofstadter scriveva: “la complessità della vita moderna ha costantemente ridotto le funzioni che un comune cittadino può svolgere in autonomia con intelligenza e competenza”. Negli States questa complessità, via via veicolata tra l’opinione pubblica, ha prodotto sentimenti di impotenza e di rabbia nella massa dei cittadini, consapevoli della loro inadeguatezza rispetto allo sviluppo della tecnologia e delle competenze professionali, aumentando il ruolo delle élites tecnocratiche e la divisione sociale del lavoro, sempre più specializzato. In questo sistema l’uomo comune è escluso, reso inutile. Per questo non vota.
Jason Brennan, con il suo saggio Contro la democrazia (2016) è andato oltre, portando al centro del dibattito sulla democrazia il tema della “selezione” dell’elettorato, tema che apparteneva alla cultura liberale di stampo ottocentesco.
Le analisi di Brennan sono stati interpretate come “correttivi” del sistema democratico, laddove egli non mette in discussione il modello della democrazia rappresentativa quanto le sue modalità di funzionamento, contro un uso “indiscriminato” del diritto di voto. In realtà al fondo di questa idea (l’epistocrazia: il governo di coloro che conoscono, dei competenti) è presente una visione discriminatoria, sostanzialmente moralistica, del sistema rappresentativo, che Brennan definisce principio di antiautorità: “quando alcuni cittadini sono moralmente irragionevoli, ignoranti o politicamente incompetenti, è lecito non consentire loro di esercitare autorità sugli altri. O impedendo loro di detenere il potere o riducendo il potere che hanno, al fine di proteggere persone innocenti dalla loro incompetenza”.
Nel nome della lotta alla pandemia si arriverà a tanto ? La tecnocrazia si mangerà i margini residui di una democrazia stanca e lontana dalla sensibilità dei cittadini-elettori ? E quali costi spirituali avranno questi “correttivi” ?
Nell’enciclica Caritas in veritate (2009), Benedetto XVI, al capitolo sesto, interamente dedicato alla tecnocrazia, osservava: “l’assolutismo della tecnica tende a produrre un’incapacità di percepire ciò che non si spiega con la semplice materia” ed ancora “lo sviluppo tecnologico può indurre l’idea dell’autosufficienza della tecnica stessa quando l’uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire. È per questo che la tecnica assume un volto ambiguo”, al punto “da rendere oggi così forte la mentalità tecnicistica da far coincidere il vero con il fattibile. Ma quando l’unico criterio della verità è l’efficienza e l’utilità, lo sviluppo viene automaticamente negato”.
Oggi l’ambiguità tecnicistica arriva a negare il diritto (costituzionale) di assistere ad una funzione religiosa. Domani selezionerà gli elettori, discriminerà gli “incompetenti”, magari eliminerà gli inabili. Sempre nel nome di quell’idea di autosufficienza che lungi dall’essere tecnicamente neutrale è un modo d’essere, di concepire i rapporti con gli altri, di guardare il mondo. E magari di “ristrutturare” una democrazia senza dirlo ai diretti interessati.
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Belli i tempi in cui al governo c’erano i vari Fini, Storace, Gasparri, Alemanno, Publio Fiori , Adolfo Urso .
Gallarò: ma a te ti paga il PD o qualcun altro, visto che i tuoi strali sembrano quelli del ‘Manifesto’?
Ormai l’Italia è diventata un esperimento medico-sociale.
X Guidobono: io molti di questi personaggi li ho conosciuti, anche se per brevissimo tempo( un paio di anni al Fuan, ahimè ),e quindi conosco quanto valgono (meno di nulla). La deriva tecnocratica c’è perchè abbiamo una classe politica che non sarebbe in grado di gestire una gelateria. I tecnici sono necessari purtroppo perchè ogni tot anni rischiamo di fare la fine dell’Argentina. Tutti insultano Monti, ma la gente non si ricorda che porcheria era il IV governo del nano.
É giusto che lo Stato impone delle restrizioni alle libertà personali quando si verificano questo genere epidemie, ma qui si é esagerato, e si è arrivati a questa stupidaggine della quarantena di massa per l’inettitudine di chi ci governa, che avrebbe dovuto prendere le giuste contromisure per limitare la diffusione del Coronavirus fin da subito chiudendo ogni flusso dalla Cina, dove il virus é nato. Addirittura alcuni famosi virologi ci dicevano che il virus qui in Italia non sarebbe mai arrivato, ed oggi la situazione é di oltre 200 mila contagiati e quasi 30 mila morti.
Difficile pensare che al mondo ci sia un governo peggiore: il massimo della privazione di libertà con il massimo di recessione economica con il massimo di mortalità rispetto al contagio. Nessuna prospettiva. Un record.