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Evitiamo un altro “tutti a casa”
I Cinque Stelle rivendicano come un capolavoro di preveggenza politica aver introdotto un anno fa il reddito di cittadinanza. Presentano quella distribuzione a pioggia di sussidi – di cui insieme a veri poveri hanno beneficiato ex brigatisti, nomadi, parcheggiatori abusivi, spacciatori, – una geniale prefigurazione del reddito d’emergenza, reso necessario dalla sincope delle attività economiche derivante dalla pandemia.
In realtà, credo che quanto essi presentano come un titolo di merito costituisca una grave colpa: la colpa di avere incoraggiato il riemergere di una mentalità assistenzialistica, che l’emergenza rischia di legittimare ed esasperare. Già il reddito di cittadinanza aveva indotto molti lavoratori regolarmente assunti a passare al nero per poter usufruire della manna piovuta dal cielo, anzi dal balcone di Palazzo Chigi. Ma in questi giorni si è visto di peggio, con i sindacati intenti a battagliare per ottenere una riduzione del numero delle attività produttive esonerate dalla chiusura e la concessione della cassa integrazione per gli addetti rimasti senza lavoro. C’è chi vorrebbe un nuovo “tutti a casa”, che rappresenterebbe, anche agli occhi di un’opinione pubblica europea poco ben disposta nei nostri confronti, una replica dell’Otto Settembre.
In circostanze come queste datori di lavoro e prestatori d’opera dovrebbero trovarsi solidali nel sollecitare, compatibilmente con le esigenze sanitarie, la riapertura di fabbriche e cantieri. Questo vale soprattutto per le piccole aziende, in cui i titolari spesso condividono il lavoro – e di conseguenza i rischi – con gli operai, quindi sono i primi interessati alla sicurezza. Non nego che vi siano “padroni” avidi solo di guadagno, però è frequente il caso di datori di lavoro che nel tentativo di salvare l’impresa e con essa lo stipendio dei loro dipendenti investono il loro patrimonio personale, ipotecano la propria abitazione, finendo magari sul lastrico, si riducono, come è accaduto a una mia carissima amica, per fare le pulizie negli ospedali per aver voluto sino all’ultimo portare avanti un’attività che l’evoluzione tecnologica aveva condannato alla chiusura. E che dire dell’ondata di suicidi fra gli imprenditori all’epoca del governo Monti? È grazie a persone come loro, e non ai soliti pescicani che dopo avere usufruito dei contributi pubblici delocalizzano, magari in Olanda, che l’Italia è riuscita a salvarsi nel passato e forse si salverà anche domani.
La tutela della sicurezza e della salute dei dipendenti è imprescindibile e dev’essere perseguita attraverso la bonifica degli impianti, un diradamento delle postazioni di lavoro, l’introduzione di “tamponi” e controlli sanitari sul personale. Ma chiudere le fabbriche che non producono beni indispensabili potrebbe rivelarsi un tragico errore, specie se i loro prodotti sono destinati all’esportazione. Qui a Firenze per esempio la Ferragamo, che si era sempre rifiutata di delocalizzare, si trova con le linee di produzione ferme mentre in Cina riaprono i negozi di moda. Si profilano due possibilità: o anche questa azienda sposterà la produzione altrove o dovremo rassegnarci a vedere fette sempre più larghe di mercato del lusso erose da una concorrenza che non fa sconti.
Un discorso a parte riguarda l’agricoltura. Le associazioni di categoria hanno già lanciato l’allarme per la carenza di manodopera stagionale, paventando un calo dei flussi migratori legato alla paura del virus. C’è già chi parla di frutta condannata a marcire sugli alberi e di pomodori che nessuno raccoglierà nei campi. Nel frattempo si moltiplica il numero di beneficiari di sussidi. Mentre medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti, commessi, ma anche poliziotti, militari, fattorini, impiegati allo sportello, conducenti di mezzi pubblici sfidano quotidianamente il contagio, è troppo chiedere ai percettori di redditi di cittadinanza o d’emergenza, compatibilmente come ovvio con l’età e le condizioni di salute, di lavorare nei campi, ovviamente per un salario adeguato? È giusto battersi a Bruxelles per ottenere linee di credito. Ma i debiti prima o poi vanno onorati e una nazione che non dispone del petrolio del Mar del Nord né del gas sovietico deve ricordarsi che la sua grande risorsa, insieme a un turismo gravemente compromesso, è il lavoro.
Nel mio sussidiario di quinta elementare trovai una frase che mi turbò: “L’Italia è un paese povero.” Eravamo in pieno boom economico e il manuale non era stato aggiornato. Mio padre mi spiegò che eravamo stati poveri fino a pochi anni prima e che dovevamo sperare di non tornare nelle stesse condizioni. Ho sempre ricordato quella frase come un monito e oggi ne capisco appieno il significato. Le società signorili di massa, per dirla con Luca Ricolfi, non vivono a lungo e i redditi di cittadinanza, come le frumentationes dell’antica Roma, non eliminano la povertà: la creano.
Non criminalizziamo il vino, visti i frutti della birra
Letta su internet, ma sulla pagina di un militare di carriera senz’altro attendibile: a Torino un signore è stato multato perché si era recato fuori di casa per comprare tre bottiglie di vino. Il vino non è considerato un bene essenziale. In realtà, checché ne dica l’Oms, che in questi ultimi mesi ha preso molte topiche, è da millenni un ottimo integratore alimentare e può essere uno psicofarmaco molto utile in queste settimane di ozio forzato. Senz’altro è molto meno dannoso della birra, che in questi giorni sta dando alla testa a olandesi e tedeschi, redattori di “Die Welt” inclusi…
Bisogna rimandare la gente al lavoro presto, prima che s’impigrisca ancora di piu aspettando l’assistenza… Deve passare il principio, che, pandemia o meno, nessuno ti deve niente, se non la tua famiglia. Arrangiati o muori, italiano!
Sono contrario per principio al Reddito di Cittadinanza, ma in questo periodo sarebbe stato giusto estenderlo a chi ha perso il lavoro con il Coronavirus. Fino a prova contraria è colpa dello Stato se la pandemia è penetrata qui da noi, quindi come risarcimento per quei artigiani, commercianti e lavoratori autonomi e dipendenti danneggiati, il RdC è moralmente dovuto. No che gli stanno dando una miseria.
Colpa dello Stato? Non direi, al netto degli errori…Nessuno va veramente in rovina per un mese d’inattività. Se non, forse, chi già lo era…Però non bisogna estendere il “tutti in casa”!
Basta con l’accattonaggio dopo un mese. Finisce sul serio che una banda di scemi creda che la colpa è UE e Bruxelles!