Una recente analisi ha stimato che in Italia sarebbero necessari almeno 4.000 posti in terapia intensiva entro le prime due settimane di aprile [1]. Se nei prossimi giorni continuerà la tendenza alla crescita esponenziale delle persone infettate da Covid-19 è evidente che finiranno i posti letto disponibili.
A netto dell’emergenza è lecito chiederci, ma come siamo arrivati a tutto questo? Molti originano nel Governo Monti l’inizio del definanziamento della sanità pubblica italiana. Ma è proprio così?
É innegabile che la spending review di quell’esecutivo tagliò 6,8 miliardi. Ma lo è anche il fatto che da allora «le cose sono andate sempre peggio: scattati i piani di rientro per le Regioni […] i governatori hanno tagliato ancora. Sono aumentati i ticket e i letti sono diminuiti a 3,2 per 1.000 abitanti contro una media europea di 5. Le liste d’attesa sono rimaste lunghe e i livelli minimi di assistenza sono una chimera soprattutto al Sud» [2]. L’ultimo rapporto Svimez [3] evidenzia tale divario: la spesa sanitaria pro capite è di circa 1.600 euro nel Mezzogiorno, 2.000 euro nel Centro-Nord.
Un altro studio evidenzia: «nel decennio 2010-2019 tra tagli e definanziamenti al SSN sono stati sottratti circa € 37 miliardi e il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) è aumentato di soli € 8,8 miliardi, […] Tutti i governi hanno contribuito al progressivo indebolimento della più grande opera pubblica mai costruita» [4].
Anche prima non abbiamo brillato per lungimiranza: nel 2008 il passivo del SSN sfiorava i 10 miliardi a fronte di una qualità di servizi prestati – in venti modi diversi nelle venti Regioni– ben lontani dai livelli di efficienza che tale deficit avrebbe dovuto giustificare.
Nella storia dell’Italia repubblicana la gestione degli ospedali e dei servizi di assistenza fu mutuata, giova ricordarlo, in toto dal Regime fascista. Durante il Ventennio si era riusciti a fare fronte sia alle patologie endemiche (come la TBC) sia alla prevenzione delle malattie, con i “Sanatori” per la diagnosi dei morbi infettivi – come lo “Spallanzani” (1936) – e con gli “Enti Mutualistici” su cui si poggiava il welfare corporativo che garantiva risarcimenti ai contribuenti ed ai loro familiari in caso di malattie e/o infortuni.
Le prime modifiche a tale assetto risalgono al 1968 quando – con la legge n. 132 del 12 febbraio –, gli ospedali furono «affrancati dal loro tradizionale ancoraggio alla sfera dell’assistenza» e trasformati in «aziende di cura» [5].
La riforma fu proposta come «una delle più qualificanti del centro-sinistra» [6] ma rimase ben lontana dal centrare gli obiettivi assunti dal legislatore. Anzi, altro che Coronavirus, con essa «si insinuò nelle sale ospedaliere il virus della lottizzazione partitocratica di cui Luigi Zampa diede un magistrale ritratto con “Il medico della mutua” che, non a caso, Alberto Sordi interpreta nell’Annus Horribilis 1968» [7].
Quelli furono gli anni segnati «dal ritardo con cui si introduce il vaccino antipolio», dall’esplosione del reattore di Seveso «annunciata alla cittadinanza con una settimana di ritardo» [8] del difficile contrasto al colera a Napoli che fu de facto la Chernobyl del sistema delle Mutue.
Nacque allora il SSN e con esso le Unità Sanitarie Locali (USL) gestite dai Comuni, frutto del compromesso storico DC/PCI. La riforma rimase ben al di qua degli intenti che l’avevano ispirata: «lo Stato non adottò i provvedimenti programmatori di sua competenza e le Regioni, la cui legge fu approvata pochi giorni dopo quella ospedaliera, non potevano ancora esprimere una capacità di governo […] adeguata a un’attività di programmazione» [9].
Così gli sperperi si sommarono alle inefficienze, gli eccessi ai disservizi e si giunse all’istituzione del ticket in barba al principio costituzionale del “diritto alla salute”. Non bastò e iniziò la politica dei tagli. I Governi Amato e Ciampi trasformarono le USL in ASL spostando l’epicentro della corruzione dallo Stato alle Regioni creando il gap tra le più virtuose e le meno tali: sanità di serie A nel primo caso, di serie B nel secondo.
Il resto è storia dei nostri giorni, o quasi. Rosy Bindi nel 1999 si affidò senza successo alla presunta superiorità tecnico-gestionale dei manager, poi il II Governo Amato inaugurò la stagione dei “Patti per la Salute” le cui intenzioni erano «sostanzialmente buone salvo poi essere spesso costrette nei margini stretti di manovre economiche che hanno eroso la disponibilità di risorse su cui contare. E si sa, con poche risorse, i Patti non vengono molto bene» [10].
Le cose, infatti, sono andate sempre peggio: «in nome del risanamento dei bilanci locali e delle aziende sanitarie sono scattati i piani di rientro per le Regioni con uno squilibrio nella sanità superiore al 5% del finanziamento complessivo. Così i governatori hanno tagliato ancora. Nel Lazio, ad esempio, Nicola Zingaretti ha cassato 3.600 posti letto e chiuso diversi ospedali» [11].
La vicenda del Forlanini «voluto fortemente da Mussolini» [12] e ridotto a «un rifugio per tossici e senzatetto» [13] è esemplare, ma non rappresenta un caso isolato. Si pensi al “San Giuseppe” di Cairo Montenotte, un ospedale zonale che copriva un’utenza di 40mila abitanti della zona della Valbormida nel savonese. Struttura già prossima alla privatizzazione – in piena emergenza coronavirus – ha visto declassato il proprio Punto di Primo Soccorso, poi chiuso del tutto come i reparti di medicina, blocco operatorio, day surgery e riabilitazione [14].
Questi sono solo due casi: la lista degli esempi sarebbe lunga, il quadro d’insieme dei dati ufficiali non è meno deprimente: nel 2017 l’assistenza ospedaliera si era avvalsa di 1.000 istituti di cura. Dieci anni prima erano 1.197. Nel 1998 erano 1.381 [15].
La riduzione del numero di ospedali dunque è un trend in atto da almeno 25 anni, da ben prima che scoppiasse la crisi economica nel 2008 e quel che è peggio, non è coincisa con una riduzione della spesa sanitaria. Se usciremo da questa crisi, forse, è proprio il caso di farci due conti.
Note
[1] A. e G. Remuzzi, COVID-19 and Italy: what next?, in «The Lancet» del 13 marzo 2020.
[2] F. Capozzi, Coronavirus, la sanità italiana de finanziata da dieci anni, in «Il Fatto Quotidiano», del 5 marzo 2020.
[3] Svimez, Il Mezzogiorno nella nuova geografia europea delle disuguaglianze, Svimez, 2019, p. 29.
[4] Osservatorio GIMBE, Il definanziamento 2010-2019 del Servizio Sanitario Nazionale, Report n. 7 del 2019, p. 2.
[5] F. Rugge, Il disegno amministrativo: evoluzioni e persistenze, in Storia dell’Italia repubblicana, Vol. II, La trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri, Torino, Einaudi, 1995, p. 267.
[6] G. Mariotti, Definitiva la legge per la riforma ospedaliera, in «Corriere della Sera», del 9 febbraio 1968.
[7] R. Bonuglia, Dopo il Fascismo il nulla: storia tragicomica dei tagli alla sanità, in «Il Primato Nazionale», del 19 marzo 2020.
[8] G. Vicarelli, La politica sanitaria tra continuità e innovazione, in Storia dell’Italia repubblicana, Vol. III, L’Italia nella crisi mondiale. L’Ultimo ventennio, Torino, Einaudi, 1997, p. 579.
[9] V. Gasparini Casari, L’ordinamento ospedaliero nella legislazione vigente e nelle prospettive di evoluzione, Modena, Mucchi, 1974, p. 186.
[10] Dal 2000 ad oggi. I primi quattro Patti per la Salute, in «QuotidianoSanità» del 18 giugno 2014.
[11] F. Capozzi, cit.
[12] A. Pannullo, Il Forlanini, voluto dal fascismo e chiuso dalle sinistre, va riaperto subito, in «Il Secolo d’Italia», del 9 marzo 2020.
[13] C. Verdi, L’ospedale per malati di Covid? Zingaretti vuol darlo alle Ong, in «Il Giornale», del 16 marzo 2020.
[14] L. Barberis, Chiude anche il pronto soccorso di Ceva, in «Il Secolo XIX», del 21 marzo 2020.
[15] Ministero della Salute, Annuari Statistici del Servizio Sanitario Nazionale, del 1998, 2007 e del 2017.
L’estensore sorvola sul periodo 2005-2018 in Lombardia, dove qualcuno ha rubato parecchio (uno a caso : il celeste)….
ancora una volta si mette il dito nella piaga, lo Stato regionale, le competenze di questi enti elefantiaci non rispondenti alle esigenze dei territori, chissà quando prenderemo coscienza che ci vuole un riassetto amministrativo del territorio fondato su dipartimenti con competenze certe (la sanità non può che appartenere allo Stato!)
Bravo Walter: il Celeste era solo la parte visibile della cricca ; credo che il bordello dei giornali di centrodestra sia per far dimenticare questa vergogna. Il Celeste si è fatto solo 5 mesi di galera!!! Inoltre questa è la dimostrazione che il federalismo italiano serve soltanto per far si che più gente possa rubare.
Altri due medici morti in prima linea; e sono 17 ….
A parte la dimenticanza sulla Lombardia segnalata dal primo commento, l’articolo descrive esattamente la situazione della Sanità in Italia, ed analizza bene le cause storiche. Aziendalizzazione e regionalizzazione del SSN sono i fattori che più hanno inciso in negativo nella qualità dell’offerta delle prestazioni sanitarie fornite dalle strutture. Tra l’altro va anche detto come molti ospedali di provincia, che sorgevano in comuni piccoli e medi, che erano un punto di riferimento per le zone disagiate, sono stati soppressi in nome del risparmio e del cosiddetto “efficientamento”, in favore di presidi ospedalieri metropolitani. Certo, bisogna dire che tornare indietro e destinare più fondi alla sanità é complicato, dato che non emettiamo moneta.
Sig.Werner : non credo sia una dimenticanza : il celeste prima e Maroni dopo erano in area centrodestra e quindi, per questa testata, belli, bravi e buoni.
Sig. valter avrebbe potuto rievocare anche i casi di Pittella in Basilicata, della Marini in Umbria e di Del Turco in Abruzzo, belli bravi e buoni per lei a quanto sembra.
@Valter@Riccardo
Non so se si tratta di un’omissione da parte dell’autore dell’articolo, ma di una cosa sono certo, che nessuna fazione politica qui in Italia é esente da responsabilità per quel che riguarda il problema relativo al settore sanitario.
Il Sig.Werner dice la pura verità, quello che mi infastidisce è la mancanza di obiettività per cui i “nostri” (e per essere tali qui basta essere in zona forza Italia) sono esenti da tutto, al punto di scatenare le vestali alla Sig.Riccardo che, invece di dire “sei in torto e te lo dimostro”, la buttano nel comodo “allora ti piacciono gli altri”.
da operatrice oss in prima linea esprimo i miei complimenti per l’analisi di respiro nazionale di fatti e vicende vissute in prima persona nelle situazioni locali in cui ho operato e continuo a farlo tra mille difficoltà.
finalmente una ricostruzione obiettiva dello smobilizzo operativo che hanno fatto di un modello di eccellenza che avevamo nel nostro paese. lo andassero a dire ora agli operatori morti che i tagli servivano per razionalizzaree la spesa,…
Siccome tutte le vecchie certezze dei comunisti /comunistoidi si sono dissolte nel fallimento di un modello di economia pianificata, nella rovina, è rimasto l’odio contro il yankee alla Trump e verso il ‘liberalismo’ che priverebbe gli Stati delle risorse per la salute… Nessuno che badi agli sperperi determinati da una folle politica d’accoglienza verso ‘migranti’, africani per lo più, previdenziale (pensioni sociali a go-go, riversibilità pensioni presunte coppie gay ecc.), Reddito di Cittadinanza, ammortizzatori sociali e prepensionamenti a pioggia, assistenzialismo spicciolo infinito, con finalità eminentemente elettoralistiche, ‘oboli’ alla Chiesa che prende molto, da sempre, e quasi nulla restituisce. Basta 8 per mille, basta privilegi concordatari! Poi si pensi anche al benessere e sicurezza degli italiani, non solo del Lumpen d’importazione…
I tossico dipendenti van lasciati morire fuori degli ospedali. I narco trafficanti impiccati.
Nessuno può affermare che senza i “tagli” i numeri della pandemia sarebbero stati migliori…
Grazie Antonella, continua a seguirci. Hai il rispetto e la solidarietà per il lavoro che fai in prima linea