Noi, il silenzio
Questi giorni eterni sono invasi di silenzio.
Nelle strade più abitate, raccontano alcuni amici, è spesso rotto con urgenza dal suono fatidico delle sirene d’ambulanza. Nel grembo del contagio, la nostra Bergamo risuona di rosso e di blu.
Una conta insopportabile.
Io abito lontano dal centro e qui è solo il silenzio.
Avvolge tutto come fosse neve.
Non giudico chi tamburella, canta, balla o fischia dal balcone: ognuno riempie l’orrore del vuoto e del tempo come sente; ma a me basta riempire il vuoto con il vuoto, un bicchiere così perfettamente colmo d’acqua da apparirne privo.
Qui non c’è suono, se non talvolta quello delle campane.
Ambulanze e campane misurano il nostro tempo. Risorgeremo, ma prima pare occorra morire.
Di questa follia che attraversiamo, dei lutti che la coronano di nero, la cosa più tremenda è che sono aboliti i funerali, proprio quando è così presente la morte.
Già qualche amico non abbiamo potuto salutare.
Adesso il silenzio mi sembra il modo migliore di rendere omaggio a chi se ne va di una morte senza respiro.
Il silenzio sottolinea ogni gesto e ricordo. Aiuta il pensiero e la riflessione.
Nel silenzio ci si può specchiare.
La memoria così finisce per risplendere come la neve sulle nostre montagne. Il vento ne scende freddo, ora più tiepido, per le valli e i paesi che l’epidemia ha svuotato.
Per vie di cristallo e di abbandono giunge alle nostre case listate a lutto con il tricolore, poi rischiara le finestre come una pallida primavera.
È la memoria dei nostri nonni e dei tanti che hanno scolpito questa terra lavorando, macinando il ferro e la roccia, costruendo; quelli che ora, in silenzio come hanno vissuto, se ne vanno. Quasi a non volere disturbare. La nostra gente è così, ferma e orgogliosa. Poco brava a lamentarsi e incapace di dimenticare.
Viene a volte voglia di piangere, MAI di scappare. In questo silenzio pare quasi tutto impossibile, quindi possibile.
Da qualche notte ho ripreso a sognare.