
La prima settimana finisce. Mettiamo foto e gif simpatiche, qualche battuta qua e là. Ma la fatica, quella, cresce. Fingiamo, chi più, chi meno. Anche gli applausi di mezzogiorno, le canzoni delle 18.00, le lucine delle 21.00, gli striscioni “andrà tutto bene”: fingiamo. I figli, loro, ancora si incoraggiano con quelli. Un diversivo. Dovremmo guardare a loro: gli basta stare con il papà e la mamma, e per loro tutto andrà bene. Ma intanto i morti muoiono sempre di più. E’ la vita che taglia le gambe: eccola, com’è fatta. Arrivi a sera e ti sembra di non aver vissuto. Non sei riuscito a registrare neppure un video, i tuoi studenti lo attendono per domani, ore 10.30. Non sei riuscito, perchè ti sei messo al servizio di tutto quel che serve in casa, alla moglie, ai figli. Ora accenderò la telecamera. Poi sarà ora di dormire.
Ti sembra solo un giorno in meno prima che tutto sia finito. “Andrà tutto bene”, su quei balconi. No, non può bastare. Potrebbe non andare tutto bene, sotto molti aspetti. E per molti già non è andato tutto bene. E’ la vetta dell’umano, una speranza indomita, una preghiera laica: scrivere “andrà tutto bene!” in fondo significa, nel profondo del cuore, “andrà tutto bene, vero?”. Una domanda spaurita, come quella dei bambini. Chi può rispondere?
Senza un “oltre”, nulla può bastare. Mi aggrappo a chi riesce a farmi vedere questo “oltre”. Mi aggrappo a chi riesce a vivere l’istante come un dono. Non voglio fingere più: ogni tanto non ci riesco. E allora, ricomincio davvero a domandare.