Apro il BlackBerry e il panico mi assale. Otto mail ricevute, due messaggi Whatsapp, due sms, una decina tra notifiche Facebook e Twitter. E sono le otto e mezza del mattino. Tiro fuori dalla tasca anche l’iPhone per dare un’occhiata all’agenda della giornata. Ormai le dita su quei tasti minuscoli vanno che è un piacere e inizio a martellare. L’informazione va velocissima, chi non digita a mille all’ora è perduto.
Lui parla lentamente con una flemma che quasi mi urta. Appoggia una cassetta con gli attrezzi e uno scatolone pieno di pezzi di legno e liste di ferro. Avrà circa cinquant’anni, i capelli grigi, una camicia a quadri blu e rossi, jeans un po’ larghi costellati di chiazze di vernice. Lo saluto con un cenno e torno alle mie e-mail. La voce dell’uomo è solo un sottofondo. Io annuisco, sento ma non ascolto. Poi il suo tono si alza e come uno strattone mi riporta alla realtà. Già, ho annuito ancora ma lui mi ha fatto una domanda: “Di scaffali ne vuole tre o ne preferisce due alti con un cassetto sotto?”. Abbassando i gingilli elettronici lo guardo e cerco di fare mente locale, ma più che ai cassetti penso a me e a lui, a quel momento di contatto tra universi lontanissimi. In fondo l’ho chiamato io per farmi montare il mobile del salotto nella mia casa nuova. Mi anticipa: “E’ meglio avere un cassetto in basso, due scaffali bastano e avanzano”. Ha ragione e torno ad annuire. Il cellulare squilla e io vado di formuletta classica: “Pronto! Sì? Ciao, tutto bene, tu?”.
Esco sul balcone mentre quel signore, sempre lentamente, si abbassa e apre a ventaglio la cassetta degli attrezzi. Tira fuori una per una le assi e le appoggia sul pavimento. Sono confuso. Adesso annuisco solo con il collega al telefono, il mio sguardo è rapito da quel mucchio di legname e ferraglia. “Come può quell’ammasso di roba diventare un armadio?” mi chiedo. Ora un armadio componibile mi sembra più complicato della scissione dell’atomo. Ma il falegname non si scompone e gira tra le dita robuste alcune viti minuscole quanto i tasti del mio Smartphone. Le guarda, una per una, e riflette emanando saggezza.
Le mail e gli sms si moltiplicano sui display, ma la mia mente è altrove. Penso ai maghi e agli alchimisti, al possibile e all’impossibile, a ciò che sembra e a ciò che è. Mago Merlino inizierebbe a cantare marcette in latino per fare danzare seghette e cacciaviti, il falegname invece ripone tutto ordinatamente sul davanzale della finestra, con una matita traccia piccoli segni alle estremità delle assi e inizia a lavorare. Quella lentezza torna a infastidirmi anche perché sono già le nove e un quarto e devo volare in ufficio. Non riesco a nascondere l’impazienza quando gli chiedo quanto ci metterà. “Quello che ci vuole per un armadio fatto bene – mi risponde senza rancore -. Vede, come capita nella vita anche in queste cose è questione di dettagli. Se ci metto mezz’ora in più oggi non dovrà chiamarmi e pagarmi ancora tra un anno. Altrimenti con il suo telefono può andare su internet e sicuramente troverà le istruzioni per montare un armadio” conclude sorridendo serenamente. L’sms di una collega che mi scrive “dove cazzo sei?” mi lascia quasi indifferente. In silenzio, guardo il falegname e mi godo le sue movenze e i rumori del suo lavoro. Vite dopo vite e asse dopo asse, l’armadio prende corpo, fino a quando il falegname soddisfatto lo guarda con un “ecco fatto”. Mi saluta con una stretta di mano forte: “Stia bene, mi raccomando” mi dice educatamente.
Chiudo la porta e nella sala vuota che profuma di nuovo vedo il mio armadio. Lo accarezzo chiedendomi come sia stato possibile trasformare un mucchio di pezzi disordinati in un oggetto così bello. E rispondo all’sms: “Non lo so”.