Alessandro Bàrbera (1945-2020) ci ha lasciati. Con lui scompare un intellettuale e un uomo di primo piano degli ambienti tradizionali. Non sono importanti solo i testi che ha scritto di politica, di politologia, sulla Tradizione e sul Mito, ma anche sulle fiabe e sui fumetti. Sì anche sui fumetti perché Alessandro Bàrbera indagava il mondo moderno pur non condividendolo e talvolta individuava sopravvivenze del mondo tradizionale che spiegava, sviscerava con taglio da filologo. Ci lascia importanti saggi su Julius Evola, un testo storico-giuridico sul giurista Alfredo Rocco, due sul mondo di Walt Disney, cen tinaia di articoli pubblicati su varie riviste di destra.
Non ci lascia solo testimonianze del suo impegno intellettuale, ci lascia soprattutto una lezione che pochissimi sanno dare: quella dello stile, del carattere. Di Alessandro questo mi colpì, quando lo conobbi ormai quasi 50 anni fa. Misurato, riservato, attento, esigente soprattutto con se stesso prima che con gli altri. Se di un amico poteva comprendere le debolezze e dare consigli, per sé era inflessibile. E la sua vita è il racconto di questa coerenza, una coerenza che si basa sul concetto di Onore. L’onore è la fedeltà alla norma che ci si è dati, all’immagine che ci si è dati di se stessi. La fedeltà alla parola data era un impegno inderogabile perché, come disse una volta, nei primi anni Ottanta, in una lettera che mi inviò da Feltre dove viveva in quel periodo, “va sempre mantenuta perché ciò che ci impegna è il fatto di aver promesso non il contenuto della promessa né il destinatario”. Lo stesso vale per la fedeltà a un’idea. Vengono alla mente le idee degli eroi dell’Iliade, dove non c’è una lezione morale ma sono offerti esempi etici. E questo è ciò che spesso ha fatto Bàrbera ha offerto esempi, lezioni di comportamento che riflettevano la sua visione del mondo.
Sottolineo questo aspetto perché dell’adesione incondizionata alle proprie idee aveva fatto la propria vita. E’ evidente che parlare di nobiltà di spirito, di onore, di fedeltà ecc. nella società di oggi possa sembrare qualcosa fuori dal mondo ma esiste un sentire – ed era di Alessandro – che elegge una norma dalla quale non si deroga. E forse non era casuale che una delle stampe da lui preferite era proprio “Il cavaliere, la morte e il diavolo” di Albrecht Dürer, che aveva appeso nel suo studio a modello di una visione del mondo. Come se fosse una bussola. Il cavaliere che prosegue diritto per la sua strada fra la morte e il diavolo. Ma va fino in fondo fra il pericolo e la tentazione.
Stamattina un caro amico mi ha detto che con la scomparsa di Alessandro Bàrbera abbiamo perso un grande amico, un punto di riferimento. E’ vero, ma è andato via lasciandoci un esempio, una visione che affiancheremo sempre al suo ricordo. E poi, alcuni mesi fa, in una fresca mattina invernale, capitò di parlare con lui proprio della morte: disse parole che potessero “svelare la morte”, visto che è lei che dà senso alla vita, la definisce. Disse più o meno che va superata concependola come la fine di un percorso e l’inizio di un altro, in un’altra dimensione. Chiamiamola questa dimensione Paradiso, Inferno, Walhalla, altra dimensione, mondo parallelo, insomma come ogni tradizione o filosofia intende chiamarla. E’ comunque un viaggio che ci inizia a un nuovo percorso. Alessandro Bàrbera non ci ha lasciati; ha lasciato una lezione e una testimonianza della Tradizione. Alessandro è tra noi.