La crescita del centrodestra a trazione sovranista in Italia pone l’accento sulla credibilità internazionale della conseguente piattaforma politica. Su questo tema Barbadillo rivendica di aver evidenziato da un lato i limiti nella lettura degli scenari geopolitici da parte delle forze populiste, dall’altro una – al momento – insufficiente vocazione ad affermare una autonomia culturale rispetto a centri di cultura e fondazioni di estrazione conservatrice. Da queste riflessioni parte l’intervista a Massimo Magliaro, direttore della rivista Historica (Pagine) e già direttore di Rai International nonché portavoce del leader del Msi Giorgio Almirante. Magliaro, in questo dialogo con Barbadillo, offre una ricostruzione dettagliata dei rapporti della Fiamma con il mondo conservatore e un racconto poco conosciuto del viaggio di Almirante nel 1983 negli Usa.
Direttore Massimo Magliaro, ha fatto discutere a destra un convegno romano (promosso dalla Fondazione Burke e Nazione Futura) sul conservatorismo internazionale, con conseguente recupero della figura di Donald Reagan. C’è bisogno di una internazionale dei conservatori alla quale iscrivere i partiti delle destre patriottiche italiane?
“Quella dei conservatori è una grande e composita famiglia culturale e politica. Ne fanno parte storie di diversa origine e di differente sviluppo. Occorre perciò valutare a quale di queste storie culturali ci si accosta. Ronald Reagan ad esempio era una cosa diversa da Barry Goldwater: eppure entrambi erano conservatori. Nei giorni scorsi ho sentito dire che la vera destra in Italia è stata quella di Spaventa e, magari, anche quella di Giolitti, l’inventore del trasformismo; e che il Fascismo sarebbe stato un incidente della Storia. Sembrava di leggere Benedetto Croce. Ecco io continuo a preferire Giovanni Gentile, anche per la interpretazione che ha dato proprio del Fascismo”.
Destra e conservatorismo sono sovrapponibili?
“Certo che sono sovrapponibili. Ma bisogna vedere di quale destra parliamo e di quale conservatorismo”.
Il Msi nel dopoguerra è sempre stato su posizioni filo-occidentali. Che rapporti aveva Almirante con gli Stati Uniti? Che ricordi ha dei viaggi oltreoceano?
“Nel Msi c’è stato, sin dalla fondazione (1946, guerra mondiale appena finita), un vivace dibattito tra Occidente sì e Occidente no. Ha prevalso il fronte di chi era pro-Occidente nella convinzione che questa scelta avrebbe messo l’Italia al riparo dal comunismo incombente: ricordiamoci che l’Italia è stato, per tutto il dopoguerra, il partito con il più forte e agguerrito partito comunista di tutto il mondo occidentale. L’apparato militare che faceva capo a Secchia era una struttura parallela a quella sindacale che faceva capo a Di Vittorio, entrambe cinghie di trasmissione del Bottegone, un apparato che faceva davvero paura. Con i titini, allora allineati al Cremlino, a pochi metri da Trieste. Era un dato che condizionava ogni altra scelta. Geopolitica non pervenuta. Almirante effettuò due viaggi negli Usa”.
Quali gli elementi salienti delle due missioni?
“Il primo venne organizzato nel 1975 con il contributo dell’ambasciatore Francesco Cavalletti, un grande diplomatico che ha onorato il nostro Paese, viaggio cui non partecipai; il secondo, nel 1983, immaginato da Mirko Tremaglia, che dirigeva il Settore Esteri del Msi. Il 3 agosto Bettino Craxi aveva fatto una dichiarazione importante presentando il suo Governo: tutti i voti in Parlamento hanno la stessa legittimità. Quindi anche quelli missini. Un mese dopo, l’8 settembre, Tremaglia venne ricevuto da Craxi al quale espose il progetto di presentare la nuova fase del Msi, uscito vittorioso dalla battaglia epocale contro gli scissionisti demonazionali. Parlarono un’ora. Craxi si dichiarò favorevole. Impegnò formalmente Giulio Andreotti, ministro degli Esteri. E Andreotti acconsentì allertando la filiera diplomatica italiana negli Usa, guidata dall’ambasciatore Rinaldo Petrignani, grande diplomatico e vero galantuomo. L’incontro Craxi-Tremaglia fu reso noto da un comunicato della Presidenza del Consiglio che indignò il quotidiano del Pci, l’Unità, che il giorno dopo in prima pagina pubblicò un attacco feroce contro Craxi che “aiutava i fascisti””.
Come andò la seconda esperienza di Almirante negli Usa?
“Il viaggio durò due settimane. Almirante parlò agli studenti di sei Università americani, fra le quali la Berkeley University di San Francisco, quella nel quale venne tenuto a battesimo il movimento studentesco. Venne ricevuto all’American Enterprise Institute e all’Heritage Foundation, i due più importanti think-thank conservatori. Entrambi a Washington. Ricordo particolarmente il secondo: perché si parlò di temi, come lo scudo spaziale, che successivamente si rivelarono tra le cause principali del crollo del sistema comunista e perché la Fondazione era stata creata peraltro da pochi mesi personalmente da Ronald Reagan. Ci furono anche incontri bilaterali con autorevoli esponenti del Dipartimento di Stato: ad esempio con Thomas A. Longo, capo del desk europeo del Dipartimento, profondo conoscitore delle cose italiane. E quelli con alcuni intellettuali molto importanti, come Angelo Codevilla (Boston University) e A. James Gregor (Berkeley University). Ma il ricordo forse più forte che ho è quello del ricevimento dato da Petrignani a Villa Firenze, a conclusione del viaggio. Fu la prima volta nella quale vidi Almirante commosso. All’Almirante osteggiato in tutte le maniere in Italia, Petrignani disse “Lei, onorevole Almirante, qui è a casa sua”. Un’emozione molto forte”.
La destra reaganiana cosa ha in comune con le radici sociali e tutte europee del Msi?
“Reagan è stato un grande presidente degli Usa. Ma credo che accostarne l’azione interna alla storia e alla cultura sociale del Msi sia un azzardo assoluto”.
Lei ha vissuto la stagione della prima “Euro-destra” di Almirante. La creazione di relazioni con partiti affini in Europa e nel mondo è un tema complesso. Quali errori a suo avviso non vanno ripetuti dopo le troppe svolte dei partiti di destra (prima filolepenisti, poi filo Ppe e ora filo conservatori)?
“L’Eurodestra è stata una grande intuizione. Era nata dalla necessità di dire: in Europa non c’è solo l’Eurosinistra di Berlinguer, Marchais e Carrillo o la palude centrista che, già allora, stava covando questa Europa estranea ai popoli che la compongono. Era l’intesa fra movimenti nazionali che non avrebbero mai potuto dar vita ad una Internazionale nazionalista, e non solo per la evidente contraddizione concettuale. Fu, come spesso capitava ad Almirante, una intuizione arrivata troppo presto. Ma oggi quel seme ha fruttificato. Quella è la strada da percorrere per rifare l’Europa. Anche qui: la barra va tenuta dritta. Non si può procedere a zig zag. Le giravolte possono pagare nel breve. Nel lungo percorso contano solo coerenza e credibilità”.
C’è un leader politico della destra repubblicana studiato con profondità dagli ambienti italiani missini?
“Francamente non credo. Barry Goldwater, un gigante per chi lo ha studiato, è pressocchè sconosciuto in Italia”.
Non crede che accanto al pensiero conservatore di una parte dei repubblicani americani sia altrettanto interessante seguire il filo critico di intellettuali fuori dagli schemi come Cristopher Lasch che con “La ribellione delle elite” hanno prefigurato decenni prima l’esplosione del nazionalpopulismo?
“Il mondo della cultura libera (non liberale) americana è molto composito. Basta saper scegliere con attenzione i compagni di strada e decidere se vogliamo fare gli apripista e i battistrada oppure i gregari se non addirittura gli sherpa, cioè i portatori di valigie”.