Alla RAI Angelo Mellone, dipendente dell’ente, viene nominato capostruttura nel programma tv “La vita in diretta” e sottoposto ad un indecente killeraggio sol perché si scopre essere un “intellettuale di destra”. Al Museo di Rivoli una commissione di “saggi” de sinistra, con una scusa non prende alcuna decisione al fine di favorire alla lunga gli amici degli amici, ovviamente de sinistra. Questi i bei risultati della egemonia derivata da una vera e propria “rivoluzione culturale berlusconiana” iniziata venti anni fa.
Chi sostiene questa brillante idea? Un esimio docente di storia contemporanea della Università di Firenze, e così dopo il criminalizzante Cultura di destra di Furio Jesi ecco a distanza di quasi trentacinque anni il ridicolizzante La cultura delle destre di Gabriele Turi. Nel senso, non solo perché ridicolizza, ma perché sostiene una tesi ridicola, quella sopra accennata.
Se la premessa oltre che ridicola è sbagliata anche le conseguenti deduzioni sono ridicole e sbagliate. Intanto perché non sono esistiti vent’anni di berlusconismo: le legislature, intere o parziali, in cui il Cavaliere ha governato assommano a poco più di dieci anni, la metà, e l’altra metà ha governato il centrosinistra, e questo già dovrebbe far riflettere chi parla per dati che scontati non sono affatto. Per secondo, non si spiegherebbe il motivo per cui un ventennio ininterrotto di berlusconisnmo culturale non abbia consolidato il suo potere politico mentre al contrario ha consentito un’alternanza con ilo centrosinistra sia a livello di governo nazionale, ma soprattutto a livello amministrativo locale. Se ne deve logicamente dedurre che una “rivoluzione culturale berlusconiana” non è mai esista checché si pianga addosso il professor Turi. Se fosse vero, inoltre, chi periodicamente ad ogni sconfitta elettorale del centrodestra su questo giornale e su diversi altri polemizza sulla mancanza di una concreta azione culturale di destra da parte dei partiti di riferimenti dovrebbe considerarsi un ridicolo buffone, oppure un masochista che non si accorge che al contrario esiste e primeggia una “egemonia culturale di destra”.
Non credo che si possa sfuggire da questo ragionamento. L’esimio docente di storia contemporanea dell’Università di Firenze cade, non si capisce se in buona o in mala fede, dall’errore che compiono da anni tutti gli intellettuali di sinistra quando affrontano questo argomento: confondere una miriade di piccole iniziative ristrette e locali, del tutto autonome e slegate fra loro, anzi spesso in contrasto fra loro, e in genere non “berlusconiane”, con un grande e compatto progetto culturale “di destra” che invece purtroppo non esiste per le ragioni spiegata in dettaglio su queste pagine e altrove dal sottoscritto e da altri. Molte iniziative che portano avanti anche progetti ideali e culturali diversi, se non opposti, e che rappresentano le molteplici anime della cultura di destra, e che peraltro l’egregio professor Turi nemmeno esamina tutte, dimenticandone molte e importanti. Ma tant’è, deve sostenere la sua tesi.
Inoltre, si confonde, come al solito (e certamente non è il primo a farlo in questi vent’anni), una vera e profonda Cultura con la maiuscola, con la televisione popolare che cultura in senso proprio non è ma semplice semplice intrattenimento, gettando la croce, chissà per quale recondito motivo che ha certo origini psicologiche (magari da giovane se lo vedeva con piacere) su quel simpatico programma che fu Drive In, peraltro inventato da un uomo di sinistra come Antonio Ricci. Che centrano gli sketch e le ballerine di quel programma con la Cultura vera e propria, di destra o meno che sia?
Il fatto è che non è esistita, come progetto,programma, tattica e strategia una “rivoluzione culturale berlusconiana” degna di questo none al di là delle barzellette del professor Turi Essa ci sarebbe stata se sin dal 1993-4 si fosse puntato sulla vera Cultura: ad esempio, se la maggiore casa editrice italiana, la Mondadori, finita nell’orbita berlusconiana, avesse impostato una vera “rivoluzione culturale” che non dimenticasse ovviamente anche l’aspetto commerciale che consente a un editore di vivere, riequilibrano la vera e unica ”egemonia culturale” che è esistita ed esiste ancora, quella di sinistra, che il nostro mitico professore si ostina, sfidando il ridicolo, a definire “presunta”. Ma Mondadori non lo ha fatto, limitandosi a dare spazio a qualche autore autenticamente e validamente di destra come Veneziani e Buttafuoco, ma non operando in modo diffuso in quella direzione. E lo stesso vale per la Einaudi. Fa sorridere e muove a pena l’alzata di scudi di tutti quelli intellettuali progressisti che l’abbandonarono sdegnati allorché venne acquisita dalla berlusconiana Mondadori, considerando quel che Einaudi, specie nella collana “Stile Libero” continua a pubblicare pescando in un’unica direzione.
Il fatto è che la destra o il centrodestra politico e imprenditoriale non ha mai mosso un dito e un soldo per sostenere (legittimamente s’intende) le iniziative culturali che avrebbero potuto nell’arco di vent’anni consolidare un elettorato italiano moderato, conservatore e tradizionalista che votava i partiti di centrodestra e poi se ne allontanava senza che i politici riuscissero a capire il perché, come si è scritto per anni. Se il Cavaliere, invece di stipendiare povere belle ragazze indigenti e bisognose d’aiuto avesse devoluto i suoi soldi a comprare pubblicità e abbonamenti di riviste di centrodestra non ci sarebbe stata la moria di testate cui abbiano assistito(a cominciare da L’Italia settimanale e de Lo Stato di Veneziani) e non ce ne sarebbero altre che non si sa se continueranno proprio perché, pur essendo valide, non ricevono alcun legittimo aiuto in un momento di crisi come l’attuale (una è proprio la reproba Storia in rete scientificamente ineccepibile ancorché “revisionista”).
Stesso ragionamento vale per gli enti locali governati dal centrodestra. Se si comportassero come quelli governati dal centrosinistra molte niniziativee locali non sarebbero in difficoltà:ad esempio, il Prenio Acqui Storia che si p visto decurtate i contributi dalla leghista Regione Piemonte, che credo non li lesini al Salone del Libro di Torino che nell’ultima edizione è sembrato una succursale del PD, proprio quando in cinaque anni ha dimostrato, sotto la gestione di una avveduta amministrazione di centrodestra, di mettere finalmente in evidenza saggi e romanzi di autori e su temi in precedenza ignorati, ma non per questo meno validi. Della differenza si sono allarmati i politici della sinistra locale e La Stampa, non se ne è proprio accorto il presidente Cota e il suo assessore alla cultura.
Quel che scrive il prof.Turi, così come quello che altri de sinistra in precedenza hanno scritto (ad esempio Eco) ammantandosi di oggettività, è semplicemente un tentativo di mettere all’indice chi ha un’altra concezione della cultura – revisionista, tradizionalista, conservatrice, liberale, cattolica eccetera: le destre sono molte – che in un paese democratico ha ogni legittimità per esistere e che non si può certo denunciare per malefatte che non ha commesso. A meno che avere idee che non siano progressiste e di sinistra non venga considerata dal nostro dovente dell’Università di Firenze, e altri come lui, una malefatta che un’alternanza politica di vent’anni non è riuscita a far ancora accettare. Il che per dei “sinceri democratici” sarebbe alquanto grave.